Decreto Enti Locali: novità sulle società partecipate

Il decreto che fornisce Disposizioni urgenti in materia di enti territoriali introduce alcune norme per facilitare l’uscita degli enti dalle società che non risultavano strettamente necessarie al perseguimento delle finalità istituzionali.

La Legge 125/2015, di conversione del D.L. 78/2015 recante «Disposizioni urgenti in materia di enti territoriali», presenta – tra i diversi contenuti – alcune importanti novità (definite esplicitamente come interpretative) in ordine all’applicazione del comma 569 dell’art. 1 della L. 147/2013, che aveva introdotto una disciplina eccezionale e transitoria per garantire agli enti locali la possibilità di “uscire” dalle società che non risultavano strettamente necessarie al perseguimento delle finalità istituzionali.

Si stabilisce, anzitutto, che tali disposizioni normative

«non si applicano agli enti che, ai sensi dell’articolo 1, commi 611 e 612, della legge 23 dicembre 2014. n. 190, abbiano mantenuto la propria partecipazione, mediante approvazione di apposito piano operativo di razionalizzazione, in società ed altri organismi aventi per oggetto attività di produzione di beni e servizi indispensabili al perseguimento delle proprie finalità istituzionali, anche solo limitatamente ad alcune attività o rami d’impresa».

Il senso sembrerebbe piuttosto logico, ossia evitare che si interrompa un rapporto di partecipazione per i casi in cui l’ente (nel 2015) abbia incluso le società nell’ambito del piano di razionalizzazione previsto dalla L. 190/2014, rivedendo (in modo esplicito) la propria precedente valutazione effettuata in ordine alla stretta necessarietà rispetto al perseguimento delle finalità istituzionali (se, infatti, il problema riguarda l’applicazione del 569 è evidente che in una precedente deliberazione l’ente ha escluso la stretta necessarietà).

Tra l’altro, con una semplificazione notevole, in quanto non risulta necessario il mantenimento dell’intera partecipazione essendo sufficiente la dichiarazione di indispensabilità per il perseguimento delle finalità istituzionale anche «limitatamente ad alcune attività o rami di impresa».

In secondo luogo, viene introdotta la precisazione (di rilevante contenuto sostanziale) secondo cui «la competenza relativa all’approvazione del provvedimento di cessazione della partecipazione societaria», sostanzialmente automatico nel previgente assetto normativo, «appartiene, in ogni caso, all’assemblea dei soci».

In effetti, la risoluzione automatica precedentemente prevista creava non pochi problemi formali nell’individuazione del momento di decorrenza ma anche nell’adempimento di una serie di obblighi pubblicitari legati alla nuova composizione societaria (mancando un atto espresso).

La soluzione accolta, però, non è certamente scevra da criticità alla luce della circostanza che, in situazioni conflittuali, soprattutto in presenza di una partecipazione marginale, può risultare complesso indurre l’assemblea ad adottare la richiesta deliberazione relativa all’interruzione del rapporto societario (con la conseguenza di dover attivare un rilevante contenzioso).

L’ultimo aspetto introdotto, poi, concerne una generale sanzione di nullità ed inefficacia per «qualunque delibera degli organi amministrativi e di controllo interni alle società oggetto di partecipazione che si ponga in contrasto con le determinazioni assunte e contenute nel piano operativo di razionalizzazione».

Ad evidenza, si tratta di una misura orientata (a livello teorico) a rafforzare l’attuazione degli stessi piani di razionalizzazione ed a garantire il conseguimento degli obiettivi indicati, in coerenza con la previsione contenuta nella Legge di Stabilità 2015 che ne ha richiesto la redazione, stabilendo la nullità delle decisioni che sono in contrasto.

In realtà, è una disposizione che presenta non poche criticità applicative in concreto, che tendono a svilirne l’effetto e, potenzialmente, a moltiplicare il contenzioso conseguente agli eventuali conflitti.

Intanto, il perimetro di riferimento concerne le società oggetto di partecipazione pubblica e non soltanto le società sottoposte ad un controllo pubblico, con la conseguenza che (applicando la norma) potrebbero essere considerate nulle e inefficaci le decisioni anche di società con una presenza minimale di un ente pubblico per contrasto con il piano di razionalizzazione da quest’ultimo redatto.

Inoltre, e si tratta forse del problema più sostanziale, può non risultare sempre agevole individuare le delibere degli organi amministrativi e di controllo interni alla società che si collocano in contrasto con le indicazioni riportate nell’ambito dei piani di razionalizzazione, sia perché la formulazione di queste ultime può rivelarsi generica sia perché il contrasto può scaturire (non da un singolo provvedimento) bensì da una pluralità di decisioni.

Con il rischio di alimentare un pesantissimo (e talvolta oneroso) contenzioso tra società e taluni soci in ordine alla validità delle deliberazioni (in quanto conformi ai piani di razionalizzazione) ovvero alla loro invalidità (in quanto non conformi ai piani di razionalizzazione).

Senza dimenticare l’effetto sulla “certezza” delle posizioni della società e dei terzi, soggetto ad una potenzialità dichiarazione di nullità che, come noto, non risulta sanabile e può essere fatto valere in qualsiasi momento (anche a distanza di molto tempo).

 

13 ottobre 2015

Marco Rossi