anche la comunicazione con la quale l’ufficio finanziario differisce l’esecuzione del rimborso d’imposta è impugnabile dinanzi al giudice tributario
La comunicazione con la quale l’ufficio finanziario differisce l’esecuzione del rimborso d’imposta è impugnabile dinanzi al giudice tributario.
Quanto precede è contenuto nella sent.n. 13548/15 da cui emerge che sono impugnabili dinanzi al giudice tributario tutti gli atti che prospettano una ben definita pretesa tributaria.
In tema di atti impugnabili l’oggetto della giurisdizione tributaria è stato notevolmente ampliato a seguito della modifica dell’art. 2 D Lgs n. 546 del 1992 in quanto in essa vi rientrano attualmente “i tributi di ogni genere e specie” ivi compreso il contributo al SSN. Con la nuova formulazione della norma, pertanto, l’elenco degli atti impugnabili di cui all’art. 19 del medesimo decreto non va ritenuto esaustivo ma da aggiornare in relazione ai pronunciamenti della giurisprudenza.
Il preavviso di fermo amministrativo, ad esempio, concernente una pretesa creditoria di natura tributaria è impugnabile dinanzi al giudice tributario in quanto atto funzionale a portare a conoscenza del contribuente, destinatario del fermo; è un provvedimento a pieno titolo impugnabile dinanzi al giudice tributario, atteso che è stato incluso tra gli atti impugnabili nel processo tributario di cui all’art 19, lett. e-ter, del d.lgs. n. 546/1992, come modificato dal D.L n.16 del 02/02/2012. A tale riguardo i giudici di legittimità hanno affermato la natura meramente interpretativa di tale modifica con conseguente impugnabilità dinanzi al giudice tributario pure dei provvedimenti emessi ante D.L. n. 223/2006 (cfr. Cass. civ. Sez. Unite, n. 15592/2014).,
Nel caso di specie la società ha richiesto un rimborso IVA di cui era cessionaria e l’ufficio finanziario ha respinto l’istanza atteso che, come sostenuto dai giudici di primo grado, non si può configurare come provvedimento di diniego e quindi non impugnabile ex art. 19 d. lgs n.546/92, la comunicazione con cui l’ufficio stesso l’aveva invitata a trasmettere la quietanza di pagamento del debito oppure l’autorizzazione ad andare a compensazione.
La società ha presentato ricorso alla Suprema Corte che ha riconosciuto il valore di atto impugnatorio alla comunicazione inviata dall’ufficio finanziario, in quanto risultava sottratto alla parte contribuente l’esercizio del diritto di impugnazione riconosciuto dall’art. 23 del D.lgs. n. 472/1997 (che attribuisce all’Amministrazione la facoltà di sospendere il rimborso di imposta nei limiti delle somme che sono oggetto di atti di contestazione o di irrogazione di sanzioni). Tale norma stabilisce che i provvedimenti di cui ai commi 1 e 2 sono impugnabili dinanzi alla commissione tributaria, che può disporne la sospensione ex art. 47 D.Lgs. n. 546/1992.
La giurisprudenza della Corte è ferma nel riconoscere al provvedimento di sospensione della procedura di sospensione credito IVA la natura di atto impugnabile, in quanto riconducibile alla categoria di cui all’art. 19, c. 1 (Cass. n. 19755/2013); allo stesso modo va riaffermato l’insegnamento di legittimità secondo cui la tassatività ivi contenuta deve intendersi riferita non a singoli provvedimenti, ma alla individuazione di categorie di atti considerate in relazione agli effetti giuridici da quelli prodotti, per cui si possono ricondurre nelle predette categorie anche atti atipici o individuati con “nomen juris” diversi da quelli indicati nel suddetto elenco.
Secondo i giudici di legittimità analoga natura può essere attribuita alla comunicazione con cui l’Amministrazione differisca concretamente l’esecuzione del rimborso, atteso che anche in questo modo trova esercizio il potere di dell’Amministrazione di incisione nella sfera patrimoniale del contribuente. Un tale esercizio della potestà impositiva non può costituire una valida ragione per non riconoscere all’atto la qualità di atto impugnabile per vizi propri, vizi tra i quali la giurisprudenza ha incluso il difetto necessario della dimostrazione delle ragioni ostative al rimborso (cfr. Cass nn. 19755/2013 e 23601/2011).
22 luglio 2015
Enzo Di Giacomo