I casi di incompatibilità del giudice tributario

anche per i giudici tributari sono possibili cause di incompatibilità con la funzione giudicante: analisi delle cause, evoluzione giurisprudenziale e cenni sulla delaratoria di incompatibilità

 

Premessa

Gli artt. 4 e 5 del D.Lgs n. 545/1992 elencano i soggetti che possono essere nominati giudici delle commissioni tributarie provinciali e regionali; dette disposizioni consentono lo svolgimento di detta funzione a numerosi iscritti ad albi professionali, tuttavia la possibilità, riconosciuta dalla legge, di nominare giudici ai quali è permesso lo svolgimento e la continuazione della propria attività privata, è “mitigata”, come accade puntualmente in regolamentazioni similari, da unanormativa che compone un sistema di incompatibilità tra lo svolgimento di alcune attività professionali (o il possesso di determinati titoli) e la carica di giudice .

Nel processo che ci interessa, la predetta barriera ex lege – evidentemente finalizzata al tentativo di preservare quel requisito di imparzialità che ogni giudice del nostro ordinamento deve vantare – ha trovato riferimento nell’art. 8 del D.Lgs n.545 del 1992.

 

Detta norma, dopo la propria entrata in vigore, è stata assistita, da un “aggiustamento” verso una più rigorosa formulazione della nozione di incompatibilità: basti ricordare gli interventi di cui all’art. 31 L. 31/12/1997 e art. 84 L. 21/11/2000 n.342, e, successivamente all’art. 39, c. 2, lett. c, n. 2, D.L. 6 luglio 2011, n. 98 , convertito, con modificazioni, dalla L. 15 luglio 2011, n. 111; tali incisioni legislative hanno ricomposto il predetto art. 8 con delle formule che hanno meglio specificato ovvero hanno allargato le ipotesi di incompatibilità derivanti da attività di consulenza, assistenza o rappresentanzae oggi alcune delle più rilevanti ipotesi di incompatibilità sono rinvenibili alla lettera i (“coloro che in qualsiasi forma, anche se in modo saltuario o accessorio ad altra prestazione, esercitano la consulenza tributaria, detengono le scritture contabili e redigono i bilanci, ovvero svolgono attività di consulenza, assistenza o di rappresentanza, a qualsiasi titolo e anche nelle controversie di carattere tributario, di contribuenti singoli o associazioni di contribuenti, di società di riscossione dei tributi o di altri enti impositori”) e alla lettera m-bis (“coloro che sono iscritti in albi professionali, elenchi, ruoli e il personale dipendente individuati nell’articolo 12 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, e successive modificazioni, ed esercitano, anche in forma non individuale, le attività individuate nella lettera i”) dell’art. 8, primo comma, citato decreto.

Le predette accortenze non si sono rivelate pienamente efficaci ma non si ha qui la pretesa di affrontare le ragioni dell’insuccesso e le eventuali soluzioni relative a quest’aspetto; certo è che troppo spesso alcuni giudici tributari incorrono in dichiarazioni di incompatibilità, forse anche in ragione dell’allargamento delle materie affidabili, ex art. 19 D.Lgs 546/92, al vaglio delle commissioni tributarie, poiché appare come un evento “fisiologico” che ad un maggior raggio d’azione della giurisdizione tributaria faccia “seguito” la crescita delle ipotesi di incompatibilità dei giudici non togati.

L’evoluzione giurisprudenziale

Le intuizioni della dottrina, relative alla previsione di un congruo numero di incompatibilità derivanti dal rispetto dell’ art. 8 D.Lgs 545792, sono state puntualmente confermate dai responsi della giurisprudenza, sia antecedenti gli ultimi interventi del legislatore del 2011 sia successivi a tale data.

In tal senso, si rammenta che, nel 2010, il Consiglio di Stato, affermava che:

qualsiasi forma di consulenza tributaria deve ritenersi incompatibile con la carica di giudice tributario” ricomprendendosi nella predetta attività privatistica anche la prestazione “sporadica, occasionale , o meramente accessoria alla principale” (C.d.S. n. 466 del 2 febbraio 2010)

le cause di incompatibilità, previste dalla normativa richiamata rispondono all’esigenza di evitare la compromissione della necessaria trasparenza ed imparzialità dell’operato del giudice tributario” (C.d.S. n. 1183 del 1 marzo 2010).

Tali indirizzi e pronuncia si contestualizzavano in quel novero di responsi (Consiglio di Stato nn. 3760/07, 1478/09, 6519/09, T.A.R. Campania n.2454/09) che aveva già segnato una costante evoluzione dell’orientamento giurisprudenziale nella direzione della interpretazione più severa dell’art. 8 citato e quindi del progressivo “sgombero” di qualsivoglia dubbio sulla imparzialità del giudice tributario. Ancora, in precedenza, era stato il T.A.R. Lazio, precisamente nella decisione n. 132 del 7 febbraio 2006, a sottolineare come la ratio legis dell’art. 8 D.Lgs 545/92 doveva individuarsi nella finalità di evitare qualsiasi conflitto o tensione, anche solo potenziale, tra la sfera dell’interesse personale e quella dell’esercizio della funzione giurisdizionale, così come esaltata dal recepimento dell’art.111 Cost. Nell’occasione, i giudicievidenziavano che in funzione dell’interesse pubblico tutelato dalla disposizione sull’incompatibilità, polarizzato non soltanto sulla sostanza sebbene anche sulla doverosa apparenza d’imparzialità richiesta a qualsiasi giudice e a quello tributario in specie…”.

La giurisprudenza più recente si è attestata su una linea di altrettanto rigore, come dimostra il responso n. 212, del 28 gennaio 2013, del T.A.R. Lecce “Stante l’estrema latitudine della formula recata dall’art. 8 comma 1, d.lg. 31 dicembre 1992 n. 545, sia nel testo originario che in quello novellato dalla l. 27 dicembre 1997 n. 449 , qualsiasi forma di consulenza o assistenza tributaria deve ritenersi incompatibile con la carica di Giudice Tributario, senza che sia necessario verificare in concreto se il suo contenuto qualitativo o la continuità nel suo svolgimento compromettano il requisito della terzietà e dell’indipendenza del giudice, essendo siffatta verifica puntuale propria dei soli istituti della ricusazione e dell’astensione del giudice; e ciò in quanto le cause di incompatibilità sono legate all’esigenza di evitare la compromissione della necessaria trasparenza ed imparzialità dell’operato del Giudice Tributario, compromissione che sarebbe inevitabile laddove egli si trovasse nella condizione di doversi pronunciare su controversie, nelle quali ha già avuto modo di indirizzare il proprio orientamento (o quello dello studio in cui opera e di cui fa parte) in occasione dello svolgimento della propria (o riferita ad altri professionisti dello stesso studio) attività di prestatore di opera professionale.”

 

Brevi cenni sul procedimento che determina la declaratoria di incompatibilità

E’ bene premettere che il ricorso al procedimento – valido ad invocare l’incompatibilità del giudice – avviene con larghissima frequenza sia nel caso (sostanziale) dell’esercizio delle attività di consulenza e rappresentanza da parte dello stesso, sia a fronte della sussistenza di una causa (formale) come la mera iscrizione di un parente o di un affine, di un componente di Commissione, in un albo od elenco utile a consentire l’esercizio delle descritte attività professionali ovvero l’assistenza nelle controversie di carattere tributario (art. 1, lett. m) primo comma, D.Lgs 545/92)

Il provvedimento di decadenza, ex art. 16 D.Lgs n. 545/92, che consegue ad una delle ipotesi di incompatibilità di cui all’art. 8 (escluse lett. a e b) medesimo decreto, viene avviato, salvo il potere di agire di propria iniziativa da parte del Consiglio di presidenza della Giustizia tributaria, da uno di coloro che detengono, rispettivamente, il potere di vigilanza (art. 15) e di alta sorveglianza (art.29): il presidente della Commissione tributaria e il Presidente del Consiglio dei Ministri.

Costoro devono segnalare il caso, individuante l’incompatibilità di specie, al Consiglio di presidenza di Giustizia tributaria e quest’organo, se non occorre effettuare accertamenti preliminari, contesta i fatti all’interessato concedendogli un termine per presentare difese ovvero per sentirlo.

Alla fine dell’istruttoria, e comunque entro il termine di novanta giorni dall’inizio del procedimento, il Presidente del suindicato Consiglio fissa la data della discussione con decreto da notificare al soggetto afflitto dall’ipotesi di incompatibilità, osservando il termine di quaranta giorni tra la suindicata notifica e la trattazione.

Il decreto è corredato dall’invito al destinatario a presentare le proprie difese prima dei dieci giorni antecedenti la discussione stessa.

Analogamente a quanto disposto nel procedimento disciplinare innanzi il Consiglio Superiore della Magistratura, il giudice che rischia di vedersi infliggere una sanzione di decadenza non può farsi assistere – nella seduta di discussione – da un avvocato ma solo da un altro membro della Commissioni tributari.

Il Consiglio di Presidenza delibera la decisione e la trasmette al Ministro dell’Economia e delle Finanze cui compete l’adozione dell’apposito decreto di cui all’art. 12, u.c., D.Lgs. n. 545/92 e avverso tale decreto può essere proposto ricorso al giudice amministrativo.

6 maggio 2015

Antonino Russo