Professionisti ed IRAP: attenzione alle spese!

è soggetto al versamento dell’IRAP il professionista che paga elevati costi di gestione relativi alla propria attività professionale, in particolar modo avvalendosi di collaboratori

Con la sentenza n. 15325 del 19 giugno 2013 (ud. 10 aprile 2013) la Corte di Cassazione si è occupata dell’assoggettamento o meno all’Irap di un consulente del lavoro, con ingenti costi.

 

IL PROCESSO

La CTR dell’Emilia Romagna (sezione distaccata di Parma), respingeva l’appello proposto dal contribuente, confermando la sentenza di primo grado che aveva rigettato il ricorso della contribuente avverso la cartella di pagamento relativa ad IRAP per l’anno di imposta 2001.

I Giudici territoriali, sulla base del fatto che il contribuente aveva esercitato l’attività di consulente del lavoro con impiego di personale dipendente (per un costo di £ 60.000.000), con ausilio di collaboratori esterni (per un costo di £ 43.000.000) e con altri costi (per importo di £ 156.000.000), a fronte di ricavi dichiarati per £ 252.000.000, accertavano che il reddito non poteva essere imputato unicamente al lavoro personale ma anche alla presenza di un’autonoma struttura organizzativa.

 

Il pensiero della Corte

In tema di IRAP l’esercizio per professione abituale, ancorchè non esclusiva, di attività di lavoro autonomo diversa dall’impresa commerciale costituisce, secondo l’interpretazione costituzionalmente orientata fornita dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 156 del 2001, presupposto dell’imposta soltanto qualora si tratti di attività autonomamente organizzata. Il requisito dell’autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente che eserciti attività di lavoro autonomo: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione, e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti le quantità che, secondo l’id quod plerumque accidit, costituiscono nell’attualità il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività anche in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui (Cass. n.3677 del 16/02/2007 e Cass. n.3672 del 16/02/2007 con specifico riferimento all’attività di dottore commercialista)”.

La sentenza impugnata, applicando tali principi di diritto, ha evidenziato, ai fini della configurabilità dei presupposti per l’applicazione dell’imposta, i dati dichiarati dalla stessa contribuente (impiego di personale dipendente con costo di £ 60.000.000, ausilio del lavoro di collaboratori esterni per un costo di £ 43.000.000, altri costi per un importo di £ 156.000.000 a fronte di ricavi dichiarati di £ 252.000.000).

Né le doglianze mosse dalla ricorrente alla sentenza, in punto di vizio motivazionale, per omessa valutazione di fatti decisivi sono apparse idonee allo scopo. La valutazione della diversa “qualificazione” dei costi prospettati dalla ricorrente spetta, infatti, sempre al giudice di merito; e in ogni caso, non è detto che avrebbero necessariamente portato ad una ricostruzione fattuale idonea a dare luogo ad una soluzione della controversia diversa da quella adottata in sede di merito.

 

Brevi note

Con circolare n. 28 del 28 maggio 2010, facendo seguito alle istruzioni fornite con la circolare n.45/E del 13 giugno 2008, l’Agenzia delle Entrate ha fornito una serie di indicazioni operative in ordine alla gestione del contenzioso pendente in materia di IRAP.

La citata circolare n. 45/E del 2008 – punto 5.4.1 – ha precisato che “l’affidamento a terzi, in modo non occasionale, di incombenze tipiche dell’attività artistica o professionale, normalmente svolte all’interno dello studio, deve essere valutata ai fini della sussistenza dell’autonoma organizzazione”.

Inoltre, al punto 5.4.2, ha puntualizzato che “ai fini della verifica dell’autonoma organizzazione rileva comunque la disponibilità di beni strumentali eccedenti il minimo indispensabile per lo svolgimento dell’attività, anche qualora non vengano acquisiti direttamente, ma siano forniti da terzi, a qualunque titolo”.

Tale posizione – per le Entrate – risulta avvalorata dalla Corte di cassazione, la quale ha rilevato come agli effetti impositivi IRAP ciò che rileva è “la sussistenza di una organizzazione autonoma, restando indifferente il mezzo giuridico col quale quest’ultima è attuata (dipendenti ovvero società di servizi), che rende possibile lo svolgimento dell’attività dei professionisti, attraverso la disponibilità di beni strumentali, capitali e stabili forme di collaborazione, funzionali all’espletamento delle particolari incombenze; il che si realizza, come nel caso, con il contratto di outsourcing che impegna le parti a collaborare affinché la clientela percepisca la attività come organizzazione unitaria fornitrice di più servizi” (Cass. 25 maggio 2009, n. 12078).

Ricordiamo che con la sentenza n. 8962 del 12 aprile 2013 (ud. 21 febbraio 2013) la Corte di Cassazione ha ritenuto soggetto Irap il commercialista che si appoggiava, per tutta una serie di servizi, ad una società esterna di cui è socio (da un lato il professionista aveva indicato, nella dichiarazione dei redditi, notevoli compensi corrisposti a terzi – per il 2001 £ 134.473.000, per il 2002 € 66.222,00, per il 2003 € 94.109,00, ed anche negli anni successivi e tali dati dimostravano “la non occasionante delle prestazioni dei soggetti terzi” e, dall’altro, che detti professionisti rendevano conto del loro operato al professionista “socio di minoranza della società D.P.” ed “anche membro del consiglio di amministrazione“).Come più volte chiarito da questa Corte (Cass. 36678/07, SSUU 12108/09, 10240/10, 21122/10), in tema di IRAP, l’esercizio per professione abituale, ancorchè non esclusiva, di attività di lavoro autonomo diversa dall’impresa commerciale costituisce, secondo l’interpretazione costituzionalmente orientata fornita dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 156 del 2001, presupposto dell’imposta soltanto qualora si tratti di attività autonomamente organizzata. Il requisito dell’autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente che eserciti attività di lavoro autonomo: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione, e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti le quantità che, secondo l”id quod plerumque accidit’, costituiscono nell’attualità il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività anche in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui”. Pertanto, costituisce onere del contribuente che chieda il rimborso dell’imposta asseritamente non dovuta dare la prova dell’assenza delle predette condizioni. Alla stregua di tali consolidali principi l’impiego non occasionale di lavoro altrui deve ritenersi di per sè integrativo del requisito dell’autonoma organizzazione; si veda, in particolare, Cass. 10151/10: “In tema di IRAP, il ricorso al lavoro di terzi per la fornitura di tutti i necessari servizi (dalla telefonia al segretariato) in forma rilevante e non occasionale, ma continuativa, integra il presupposto dell’esercizio abituale di una attività autonomamente organizzata, previsto dal D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 2, comma 1, non rilevando che la struttura posta a sostegno e potenziamento dell’attività professionale del contribuente sia fornita da personale dipendente o da un terzo in base ad un contratto di fornitura“. Anche in quel caso, il ricorso al lavoro di terzi collaboratori, con carattere di continuità, come risultante dai compensi versati, per diverse decine di migliaia di lire e di euro annuali, nel corso degli anni, con carattere sistematico, ha portato la Corte a ritenere il contribuente soggetto Irap.

 

1 agosto 2013

Roberta De Marchi