Note di credito IVA su prestazioni di servizi successivamente annullate

non sussistono le condizioni legittimanti l’emissione delle note di credito quando la variazione operata non deriva dalla rilevazione di inesattezze o accordi o eventi sopravvenuti, ma da un totale azzeramento di operazioni imponibili fatturate, in ordine alle quali nessuna convincente spiegazione è stata fornita dalla parte

Premessa

La sentenza emessa dai Giudici siracusani (CTP di Siracusa, Sez. I, Pres. Benanti, Rel. Verga, 5 aprile 2012, dep. il 8 maggio 2012, sent. n. 200-1-12) affronta la problematica concernente l’operatività delle ipotesi di variazione in diminuzione ai fini iva, disciplinate nei commi secondo e terzo dell’articolo 26 D.P.R 26.10.1972, n. 633. In via preliminare occorre delineare i contorni della specifica fattispecie posta all’esame del collegio giudicante, per poi verificare se il contenuto del dispositivo risulti aderente alla disciplina normativa di riferimento .

 

La vicenda processuale

Nel corso dell’anno 2003, la società stipulava contratto di subappalto per la realizzazione di impianti meccanici all’interno di un centro commerciale. L’ammontare dei lavori appaltati, originariamente concordato in € 1.816.629,91, oltre ad Iva, veniva successivamente modificato, con contratti aggiuntivi, in € 2.048.694,81, oltre ad Iva.

In data 9.01.2004, la società emetteva fattura per un totale di € 300.000, oltre ad Iva, avente per oggetto un importo presuntivo, a titolo di acconto, in base a stati avanzamento lavori eseguiti per la realizzazione degli impianti medesimi.

Successivamente, nelle more della definizione ma entro l’anno dall’effettuazione dell’operazione (14/06/2004), in contraddittorio della contabilità finale dei lavori, l’appaltante disconosceva, ai sensi di apposita norma contrattuale, l’importo fatturato in acconto ed invitava la società ricorrente ad emettere (ed a registrare in contabilità) la relativa nota di credito in completa aderenza allo schema normativo codificato dai commi 2 e 3 dell’articolo 26 del decreto iva.

Secondo tali disposizioni, “… Se per un operazione per la quale sia stata emessa fattura, successivamente alla registrazione di cui agli artt. 23, e 24, viene meno in tutto o in parte, o se ne riduce l’imponibile … in dipendenza di un sopravvenuto accordo tra le partiil cedente del bene o il prestatore del servizio ha diritto di portare in detrazione, ai sensi dell’art. 19 l’imposta corrispondente alla variazione, registrandola a norma dell’art. 25…”. Analogamente “… Il cessionario o committente, che abbia registrato l’operazione ai sensi di quest’ultimo articolo, deve in tal caso registrare la variazione a norma dell’art. 23 o dell’art. 24, salvo il suo diritto alla restituzione dell’importo pagato al cedente o prestatore a titolo di rivalsa…”.

La società appaltante, pertanto, alla ricezione della nota di credito provvedeva ai corrispondenti adempimenti con rettifica dell’Iva originariamente a credito.

Analoga operazione di fatturazione, sempre in acconto sulla contabilità finale dei lavori, veniva operata qualche settimana più tardi (20.07.2004), ma, anche in questo caso, la committente disconosceva a norma contrattuale la liquidazione degli stati avanzamento lavori, ed ordinava, a seguito di sopravvenuto accordo con la ricorrente, l’emissione di nota di credito (31.12.2004).

A seguito di p.v.c. emesso dal competente Nucleo di Polizia tributaria, l’ufficio delle entrate di Augusta disattendeva la due note di credito perchè, nell’interpretazione dell’Amministrazione finanziaria, prive dei presupposti che giustifica(vano) la loro emissione. Astendendosi dal contestare la fittizietà delle operazioni sottostanti all’emissione delle fatture e delle relative note di credito (che avrebbe certamente consentito ai verificatori il recupero dell’Iva ai sensi del comma 7, articolo 21, D.P.R. n. 633/72), i verbalizzanti lamentavano la non corretta applicazione delle disposizioni contenute nell’ambito dell’art. 26 D.P.R. n. 633/72, perchè aventi per oggetto “… non una variazione di importo, ma bensì di un totale azzeramento di operazioni imponibili fatturate che certificano prestazioni di servizio già effettuate dalla parte…”.

In sostanza, secondo il ragionamento dei militi delle Fiamme gialle, condiviso dai funzionari dell’ufficio finanziario, in tema di prestazioni di servizi l’articolo 26 D.P.R. n. 633/72, non consentirebbe, al di là dei sopravvenuti accordi contrattuali, di azzerare “in tutto” l’operazione commerciale originariamente pattuita, ma solo di rettificare specifiche inesattezze e/o errori di calcolo nell’imposta.

In definitiva l’atto di accertamento disconosceva le detrazioni Iva operate dalla ricorrente in funzione delle note di credito emesse ed irrogava relative sanzioni ed interessi.

 

L’orientamento dei Giudici di prima istanza

Chiamata a giudicare la fattispecie proposta i Giudici di merito della Corte aretusea hanno respinto la tesi del ricorrente tesa a dimostrare la validità delle procedure di emissione delle note di credito (entro l’anno dall’emissione delle relative fatture) a seguito di sopravvenuti accordi tra le parti, e confermato la ripresa operata dall’Amministrazione finanziaria.

La parte motiva della sentenza, dopo aver esposto le distinte prospettazioni delle parti e gli argomenti a sostegno delle rispettive richieste, riprende – più volte – la disciplina di riferimento vale a dire i commi 2 e 3 dell’articolo 26 D.P.R. n. 633/72, confermando la peculiarità delle note di credito rispetto alle fatture di cui all’art. 21, medesimo decreto e la loro rilevanza in funzione delle ragioni per le quali vengono emesse.

Nella parte conclusiva della dissertazione, riproduttiva essenzialmente del testo normativo, il Relatore fa espresso riferimento alla possibilità di emissione delle note di credito “… in dipendenza di sopravvenuto accordo tra le parti…” (art. 26, c. 3, D.P.R. n. 633/72) preoccupandosi opportunamente di avvertire che, in tali casi, occorre che “… questa non possa più essere emessa dopo il decorrere di un anno…”.

Trattandosi della fattispecie proposta dal ricorrente, vale a dire ipotesi di emissione di note di credito a seguito di sopravvenuto accordo tra le parti, emesse entrambe – lo ripetiamo – entro l’anno dalla data di effettuazione delle operazioni, tutto lasciava presupporre, coerentemente con l’impostazione data nella parte motiva riproduttiva del testo normativo, l’emissione di sentenza di accoglimento delle istanze del contribuente.

Senonchè il Relatore, in piena aderenza alla posizione sostenuta dall’Amministrazione finanziaria ha rigettato il ricorso non sussistendo “le condizioni legittimanti l’emissione delle note di credito, in quanto la variazione operata dalla nota di credito emessa non deriva dalla rilevazione o accordi (? N.d.a.) o eventi sopravvenuti, ma da un totale azzeramento di operazioni fatturate in ordine alle quali nessuna convincente spiegazione è stata fornita dalla parte…”.

A sostegno di tale interpretazione il Relatore cita la massima della sentenza di Corte di Cassazione del 15.01.2007, n. 715, che detta le condizioni per l’effettuazione delle variazioni in diminuzione ai fini iva. Nell’interpretazione del Supremo Collegio la nota di credito è legittima se “… riferita ad eventi successivi all’emissione (della fattura, n.d.a.) …se vengono modificati gli estremi di una determinata …. di prestazione di servizi … e non già quando muta per una qualsiasi causa il quadro complessivo dei rapporti tra i soggetti interessati…”.

 

Note di commento

La stringata motivazione licenziata dai Giudici aretusei, non consente di individuare con certezza quale sia stato il percorso logico su cui si fondano le conclusioni raggiunte; tuttavia, sembra di capire, che la Commissione provinciale di merito siracusana abbia ritenuto nulle le note di credito emesse per acconti sulle prestazioni eseguite non riconosciute dalla committente.

Proprio per tale motivo, sotto un profilo strettamente processuale, la decisione in argomento non sembra esente da difetto di motivazione.

Come noto, infatti, la motivazione della sentenza tributaria ne costituisce la ratio decidendi ed è la rappresentazione e documentazione dell’iter logico-argomentativo seguito dal giudice per giungere alla decisione e consiste nell’esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione (art. 118, c. 1, disp. att. c.p.c.).

Tanto la giurisprudenza quanto la dottrina sono concordi nel ritenere che il vizio di insufficiente motivazione della sentenza sussiste ogniqualvolta “… l’estrema concisione della motivazione in diritto renda impossibile l’individuazione del thema decidendum e delle ragioni che stanno a fondamento del dispositivo” (ex pluribus, Cassazione n. 2711/1990, n. 3282/1990, n. 5612/1998, n. 5101/1999, n. 1944/2001).

Ed ancora, secondo il Supremo Collegio, il difetto di motivazione, che costituisce violazione di legge allorché si traduce nella radicale inidoneità della motivazione a esprimere la ratio decidendi, determina la nullità della sentenza per carenza assoluta di un requisito di forma essenziale. (cfr. Cassazione n. 319/1999, n. 7233/2003, n. 21808/2004).

In ogni caso, volendo cercare di ricostruire il percorso logico-interpretativo seguito dai Giudici siracusani, parrebbe, a parere di chi scrive, che la corte di prime cure, nonostante abbia ben chiaro il testo normativo di cui all’art. 26, commi 2 e 3, più volte riprodotto nel corpo della decisione, delegittimi il diritto del contribuente ad essere sgravato, mediante il meccanismo della detrazione dell’iva dovuta una operazione (cessione di beni e/o prestazione di servizi) venuta meno “…in tutto…” nonostante il “… sopravvenuto accordo tra le parti…”.

In tale direzione, ed è ovvio, l’origine negoziale della modificazione contrattuale (articolo 14 del contratto di appalto) assume certamente rilievo nel senso che il legislatore, per evidenti ragioni di cautela fiscale, correlate alla certezza dei rapporti con il fisco, consente la valorizzabilità della intervenuta variazione in diminuzione solo entro un tempo determinato, che è fissato in un anno dalla data di effettuazione della medesima operazione (cfr. G. MANDO’, D. MANDO’, Manuale dell’imposta sul valore aggiunto, IPSOA Editore, XXX Edizione, pag. 674).

La cd. “… convincente spiegazione…” sul disconoscimento delle fatture originarie emesse dalla ricorrente, e sulla conseguenziale emissione delle note di credito, appare, quindi, frase priva di pregio se letta alla luce del più volte riprodotto testo normativo (art.. 26, commi 2 e 3, D.P.R. n. 633/72) che, puntualmente, riconosce rilevanza (a tempo) alle variazioni in diminuzione dipendenti, come nella fattispecie in esame, da sopravvenuto accordo tra le parti, di modo che la caducazione totale degli effetti contrattuali si ricolleghi causalmente ad un ulteriore atto negoziale consensuale.

Anche la massima della sentenza di Corte di Cassazione citata n. 715/2007, che identifica le condizioni legittimanti l’emissione delle note di credito non fà che confermare la ratio del più volte citato art. 26, cc. 2 e 3, D.P.R. n. 633/72, laddove esclude la validità delle variazioni in diminuzione se “… le operazioni imponibili oggetto delle note di credito sono diverse da quelle per cui erano state emesse le fatture…”.

Sol se i Giudici avessero avuto l’accortezza di esaminare i motivi della decisione citata (e non solo la massima), avrebbero agevolmente verificato la diversità della fattispecie rispetto a quella decisa. Difatti, nel caso risolto dalla citata sentenza n. 715/2007, un contribuente, titolare di ditta di commercio all’ingrosso e manutenzione di impianti refrigeranti, aveva provveduto ad emettere fatture per forniture di merce e note di credito (sulle fatture attive emesse) con causale riferita a prestazioni di servizi (manutenzioni). Opportunamente la Corte di Cassazione osservava come le pretese variazioni non conseguivano “… al rilevamento di inesattezze o ad accordi o eventi sopravvenuti…” ma determinate da “… un complessivo e contestuale accordo preesistente che comprendeva sia le forniture di merce da parte del ricorrente che il servizio di manutenzione della controparte…” Soluzione ineccepibile ma essenzialmente estranea alla vicenda processuale in esame.

 

Conclusioni

Assodata la legittimità del comportamento adottato dalla ricorrente, coerente con la disciplina normativa del decreto iva, si osserva, con disappunto, che la controversia oggetto del presente gravame non avrebbe avuto ragion d’essere solo se i verificatori della Guardia di finanza, o i funzionari dell’ufficio delle entrate (magari in sede di istanza di adesione presentata prima dell’instaurazione del contenzioso) avessero attivato procedura di controllo incrociato società appaltante/committente in ordine alla registrazione delle fatture e delle note di credito e verificato la sostanziale neutralità dell’imposta. Ma così non è stato.

L’appiattimento da parte dei funzionari delle entrate sulla tesi elaborata dalla Guardia di finanza, pienamente condiviso dalla I° sezione della CTP di Siracusa, ha già determinato il sostenimento di costi e spese processuali per la società ricorrente, e produrrà in futuro costi pubblici aggiuntivi per la collettività perchè la vicenda vedrà ancora coinvolti uffici finanziari, segreterie delle corti di giustizia tributaria e giudici. Con buona pace dei criteri di razionalizzazione della spesa pubblica cd. spending review.

A questo punto, attendiamo con curiosità il parere dei giudici d’appello sulla questione.

 

27 ottobre 2012

Attilio Romano ed Antonino Romano