Inammissibile il ricorso “compilativo” del Fisco

quando il Fisco intende ricorrere in Cassazione, deve produrre un “vero” ricorso, non può limitarsi a riportare i precedenti atti processuali

Il ricorso proposto dal Fisco non contenente una precisa ricostruzione dei fatti di causa ma meramente compilativo è inammissibile.

Quanto precede è contenuto nella sentenza 19 luglio 2012, n. 12580, della Corte di Cassazione da cui emerge che il ricorso per cassazione deve contenere una compiuta esposizione dei fatti di causa e non limitarsi a riprodurre il testo degli atti di giudizio, nel qual caso è da considerare inammissibile.

 

Ricorso per cassazione: natura giuridica

Il ricorso deve contenere l’esposizione sommaria dei fatti di causa. Ove il ricorrente non esponga i motivi della vicenda processuale, né esponga l’oggetto della pretesa, limitandosi a riportare, nel corpo del ricorso, il testo integrale degli atti di causa, si rende ardua l’individuazione la materia del contendere. L’esposizione sommaria dei fatti di causa – secondo le intenzioni del legislatore – non risponde ad una esigenza di mero formalismo, ma a quella di consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, sostanziali e processuali, per permettere alla Corte di Cassazione di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato. La giurisprudenza di legittimità ha affermato che il requisito della esposizione sommaria dei fatti, prescritto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366, c. 1, n. 3, c.p.c., è volto a garantire la regolare e completa instaurazione del contraddittorio e può ritenersi soddisfatto, senza necessità che esso dia luogo ad una premessa autonoma e distinta rispetto ai motivi, laddove il contenuto del ricorso consenta al giudice di legittimità, in relazione ai motivi proposti, di avere una chiara e completa cognizione dei fatti che hanno originato la controversia e dell’oggetto dell’impugnazione, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata (Cass., Sez. III, 25 maggio 2010, n. 12713; 18 maggio 2006 n. 11653).

 

Il caso

Il contribuente ha proposto ricorso avverso un avviso di accertamento per Iva, Irpeg ed Irap ottenendo l’annullamento dello stesso sia in primo che secondo grado , mentre l’ufficio ha presentato ricorso per cassazione.

La SC, nel rilevare che al ricorso è allegata copia fotostatica dell’accertamento, della comparsa di costituzione, della sentenza di primo grado, di quella impugnata, ha constatato che nel ricorso stesso manca il requisito di cui all’art. 366, c. 3, c.p.c., ovvero una esposizione sommaria dei fatti rilevanti per la comprensione dei fatti di causa. I giudici, avallando un orientamento consolidato della giurisprudenza, hanno affermato che la prescrizione contenuta nel citato art. 366 c.p.c., secondo cui il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, l’esposizione sommaria dei fatti di causa, la cui inosservanza è un modus operandi che contravviene allo scopo della norma in esame, finalizzata alla comprensione dell’oggetto della pretesa e del tenore della sentenza impugnata.

Peraltro, la pedissequa riproduzione di tutto il dato letterale contenuto negli atti processuali è, per un verso, del tutto superflua, non essendo affatto richiesto che si dia meticoloso conto di tutti i momenti nei quali la vicenda processuale s’è articolata, per altro verso, è inidonea a tener il luogo della sintetica esposizione dei fatti, in quanto equivale ad affidare alla Corte, dopo averla costretta a leggere tutto, la scelta di quanto effettivamente rileva in relazione ai motivi di ricorso (Cass. 8 maggio 2012, n. 6909; S.U. 11 aprile 2012, n. 5968; Cass. 29 agosto 2011, n. 17646). Il rilievo che la sintesi ha assunto nell’ordinamento è del resto attestato anche dall’art. 3, n. 2, del codice del processo amministrativo (di cui al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104), il quale prescrive anche alle parti di redigere gli atti in modo chiaro e sintetico, mentre la testuale riproduzione (in tutto o in parte) degli atti e dei documenti è richiesta quando si assume che la sentenza è censurabile per non averne tenuto conto e, che se lo avesse fatto, la decisione sarebbe stata diversa. 

In sostanza, la Corte deve poter verificare che quanto affermato dalla parti trovi riscontro negli atti, ma non è tenuta a cercarli o stabilire in quale parte siano rilevanti o leggerli interamente, in quanto gravare la stessa di tale ulteriore compito finirebbe con il compromettere il ruolo di terzietà che rappresenta il carattere di ogni giudice ex art. 111 Cost..

 

27 luglio 2012

Enzo Di Giacomo