Il professionista che eroga compensi occasionali a terzi è soggetto ad IRAP?

una recente sentenza di Cassazione in ambito IRAP merita particolare attenzione, in quanto tratta del caso del professionista che paga a terzi compensi occasionali e della sua eventuale assoggettabilità ad IRAP

La recente sentenza della Corte di Cassazione n. 8119 del 23.05.2012 sembra volere ammettere a tassazione Irap anche i professionisti che pagano a terzi solo dei compensi occasionali, evidenziati nel quadro RE del Modello Unico.

Tuttavia, nel caso di specie, pare di capire che si sia trattato di compensi a terzi per prestazioni afferenti all’esercizio dell’attività professionale erogati sistematicamente e continuativamente. Cosi come si legge in una parte della sentenza.

A parere di chi scrive, non sono, quindi, tutti “incriminati” i compensi occasionali erogati dai professionisti a terzi.

Ad es. potrebbero fare perdere l’esenzione da Irap le continue ricevute occasionali ricevute da terzi che testimoniano prestazioni svolte in maniera sistematica e in un certo senso continuative.

Ma non, invece, quelle veramente occasionali. Ciò significa, in conclusione, che la circostanza che sia stato indicato un dato importo nel rigo delle spese “prestazioni a terzi” del quadro RE (determinazione del reddito di lavoro autonomo) del Modello Unico, non vuol dire in automatico che il professionista perde il diritto a potere essere escluso dall’Irap.

Da tenere presente, infine, che giurisprudenza consolidata ha sempre ritenuto che l’erogazione di compensi prettamente occasionali a terzi non giustifica l’assoggettamento ad Irap del professionista.

Per maggiori approfondimenti sul caso, si riporta di seguito il testo della sentenza (con in evidenza le parti più interessanti):

 

CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 23 maggio 2012, n. 8119

 

IRAP – Il professionista paga l’Irap se dal quadro RE emergono compensi per collaboratori occasionali

 

Premesso in fatto.

 

1. Con sentenza n. 59/04/09, depositata l’8.07.09, la Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate – Ufficio di Bologna 3 avverso la sentenza della Commissione ‘Tributaria Provinciale, con la quale era stato accolto il ricorso proposto dall’ingegnere (…) avverso il silenzio rifiuto formatosi sull’istanza di rimborso dell’IRAP, versata per gli anni ai imposta 2000-2004.

2. La CTR, invero, riteneva insussistente il requisito dell’autonoma organizzazione, costituente il presupposto per l’applicabilità dell’imposta in questione.

3. Per la cassazione della sentenza n. 59/4/09 ha proposto ricorso l’Agenzia delle Entrate, affidato a due motivi. L’intimato non ha svolto attività difensiva.

Osserva in diritto.

1. Con il primo e secondo motivo di ricorso – da esaminare congiuntamente, attesa la loro evidente connessione l’Agenzia delle Entrate deduce la violazione degli artt. 2 e 3 del d.lgs. n. 449/97, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., nonché l’insufficiente motivazione su un fatto decisivo della controversia, in relazione, all’art. 360 n. 5 c.p.c.

1.1. La CTR avrebbe, invero, ad avviso dell’amministrazione finanziaria, individuato il quid pluris per l’applicazione dell’imposta nel valore aggiunto fornite da un’organizzazione che sia “assimilabile all’organizzazione dei fattori della produzione o dello scambio di beni o di servizi occorrente per esercì tare l’attività della impresa”.

Tale assunto costituirebbe, peraltro, – secondo la ricorrente – una palese violazione degli artt. 2 e 3 del d.lgs. n. 449/97, attesa che il plusvalore apportato all’attività dei singolo professionista, suscettibile di accrescere la sua capacità produttiva, non deve necessariamente coincidere con l’organizzazione dei fattori dei fattori della produzione, necessari all’esercizio di un’attività di impresa. Diversamente opinandosi, infatti, si verrebbe a ridurre significativamente ed ingiustificatamente la portata applicativa della norma, che finirebbe – di conseguenza – per poter essere applicata alle sole attività imprenditoriali in senso stretto.

1.2. L’impugnata sentenza si paleserebbe, poi, a parere dell’amministrazione ricorrente, del tutto carente sul piano motivazionale.

Ed invero, la CTR non avrebbe affatto tenuto cento degli elementi di carattere documentale fomiti dall’Ufficio, e segnai amante dei quadri RE, relativi agli anni di imposta in oggetto, dai quali era possibile desumere con evidenza l’erogazione, da parte del (…) , di compensi a terzi in modo continuativo e sistematico; elemento, questo, ad avviso dell’Agenzia delle Entrate, certamente sintomatico dell’esistenza di un’organizzazione autonoma imputabile allo stesso contribuente.

2. Le censure sono fondate e vanno accolto.

2.1. Va anzitutto escluso, infarti, che l’organizzazione autonoma costituente il presupposto essenziale per l’applicabilità del l’imposta in discussione debba necessariamente essere quella di impresa, come erroneamente ritenuto dal giudice di appello.

Dall’esame della norma di cui all’art. 3 del d.lgs. n. 447/97 si evince, invero, che soggetti passivi dell’IRAP sono, oltre che le società e gli imprenditori individuali, anche i soggetti “esercenti arti e professioni”. Per questi ultimi, l’IRAP trova, per vero, applicazione ogni qual volta si avvalgano, nell’esercizio dell’attività di lavoro autonomo, di una struttura organizzata in un complesso di fattori che – per la loro rilevanza, anche sul piano economico – siano suscettibili di creare un valore aggiunto rispetto alla nera attività individuale; si che debba escludersi che il risultate economico conseguito trovi ragione esclusivamente nella capacità gestionale del solo professionista (v. Cass. 30753/11).

Ne discende che, per quanto concerne il prestatore d’opera professionale – soggetto giuridico diverso e distinto dall’imprenditore, in quanto a differenza di quest’ultimo r.on esercita professionalmente un’attività economica (art. 2082 c.c.), ma espleta una attività , libero professionale per la quale é necessaria l’iscrizione in appositi albi o elenchi (artt. 2229 e .ss. cc.) – il requisito dell’organizzazione si atteggia in maniera autonoma e differenziata, rispetto all’organizzazione ai impresa che connota l’attività dell’imprenditore. Sotto il profilo in esame, dunque, l’impugnata sentenza va certamente censurata.

2.2. Pienamente fondata si palesa, peraltro, anche la doglianza dell’amministrazione relativa all’insufficiente motivazione della decisione di secondo grado, proprio in relazione al fatto controverso e decisivo del giudizio, costituito dallo stabilire se l’attività professionale svolta dal contribuente fosse qualificabile, o meno, come autonomamente organizzata, ai sensi dell’artt. 2 e 3 del d.lgs. n. 446/97.

Ed invero, come dianzi detto, l’attività libero – professionale – svolta, nella specie, dal (…) – in forza delle disposizioni succitate può essere esclusa dall’applicazione dell’IRAP esclusivamente quando si -ratti di attività non autonomamente organizzata. Tale organizzazione sussiste quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione, e non sia quindi inserito in strutture organizzativo riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) Impieghi beni strumentai eccedenti, secondo l'”id quod plerumque accidit”, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui. Costituisce, in ogni caso, onere del contribuente, che chieda il rimborso dell’imposta asseritameli te non dovuta, dare la prova dell’assenza delle predette condizioni (Cass. S.U. 12111/09, Cass.21122/10, 21123/10, 26161/11).

2.3. Ebbene, nel caso concreto, non risulta in alcun modo, dall’esame della sentenza impugnata, che tale onere della prova sia stato adempiuto dal contribuente, atteso il carattere del tutto apodittico delle affermazioni, circa l’inesistenza di un’organizzazione della quale possa essersi avvalso il (…), contenuta nella, più che stringata, motivazione della decisione di appello.

Per di più, siffatta motivazione – laddove afferma che l’esame delle dichiarazioni di imposta per gli anni in contestazione escluderebbero la sussistenza di costo organizzativi, e segnatamente di “retribuzioni a collaboratori” – si pone in netto e stridente contrasto con le risultanze dei quadri RE, debitamente trascritte nel ricorso dall’Agenzia delle Entrate. Da tali sezioni del quadro RE – che specificano la composizione dei costi sopportati nell’esercizio dell’attività professionale – si evince, infatti, che il (…), negli anni dal 2000 al 2003, ha erogato sistematicamente e continuativamente compensi a terzi per prestazioni afferenti all’esercizio dell’attività professionale.

E tuttavia, siffatte risultanze istruttorie – che evidenziavano uno degli elementi decisivi per il riscontro di un’autonoma organizzazione ascrivibile al professionista, costituite dall’essersi il medesimo avvalso, in modo occasionale, del lavoro altrui (cfr., tra le tante, Cass. S.U. 12103/09, Cass. 26161/11) – sono state del tutto pretermesse e travisate dalla CTR nell’impugnata senza.

Per il che, il dedotto vizio motivazionale – a giudizio della Corte – deve ritenersi senz’altro sussistente.

3. L’accoglimento del ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate comporta la cassazione della sentenza impugnata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la Corte, nell’esercizio del potere di decisione nel merito di cui all’art. 334, co. 2, c.p.c., rigetta il ricorso introduttivo del contribuente.

4. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno posto a carico del resistente soccombente, nella misura di cui in dispositivo. Concorrono giusti motivi per dichiarare interamente compensate fra le parti le spese dei gradi di merito.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso; cassa l’impugnata sentenza e, decidendo nel merito, rigetta li ricorso introduttivo proposto dal contribuente; condanna il resistente al rimborso delle spese del presente giudizio, che liquida in € 1.500,00, oltre alle spose prenotate a debito; dichiara compensate tra le parti le spese dei giudizi di merito.

 

 

29 maggio 2012

Vincenzo D’Andò