L'inammissibilità del ricorso successivo all'adempimento spontaneo del contribuente

quando il contribuente, pagando quanto richiesto, riconosce le richieste dell’avviso di accertamento, non può successivamente fare ricorso (Maurizio Lemetre)

Con la recente pronuncia n. 248/05/2011 dep. il 11/07/2011, la CTP di Roma affronta la questione dell’ammissibilità o meno del ricorso proposto da parte del contribuente successivamente al pagamento per intero di quanto dovuto in base all’accertamento.

La vertenza all’esame dei Giudici capitolini ha come antefatto la notifica di alcuni avvisi di accertamento riguardanti il disconoscimento di costi sostenuti da una società in nome collettivo. I destinatari dei predetti atti impositivi proponevano ricorso avverso gli stessi, ritenendone la non conformità alla legge, prima ancora di procedere all’impugnazione provvedevano, tuttavia, ad effettuare l’integrale versamento di quanto richiesto dall’ufficio. Quest’ultimo accertato l’avvenuto pagamento e, quindi, il venir meno della materia del contendere, faceva richiesta venisse dichiarata la conseguente inammissibilità dell’impugnazione.

 

1. Sulla natura del processo e dell’obbligazione tributaria

Ai cultori della materia non sfugge come il processo tributario, nella sua attuale dimensione, presenti caratteristiche tali da farlo avvicinare talvolta al giudizio civile altre a quello amministrativo. Tale situazione trae origine evidentemente dall’incontro fra la natura sostanzialmente civilistica del debito tributario e la dimensione amministrativa e provvedimentale dell’atto che accerta la sussistenza del debito medesimo; con la conseguenza che il giudizio tributario viene ad assumere natura formalmente impugnatoria avverso un atto amministrativo, con l’inevitabile corollario di decadenze connesse alla mancata proposizione, rituale e tempestiva, di un eventuale ricorso.

Parte della dottrina1 ha chiarito che il rapporto di obbligazione pubblica (nell’ambito della quale quella tributaria di dare è certamente la più diffusa ed importante, attesa la sua rilevanza sotto il profilo pecuniario ex art. 53 della Costituzione) sorge dopo che si è perfezionata una sequenza di atti che forma un procedimento amministrativo.

Si ha così la successione di due fasi: la prima è un procedimento amministrativo, la seconda il rapporto di obbligazione. Sotto l’aspetto giuridico potrebbe ritenersi che le due fasi siano di pari importanza: ma al di là della circostanza secondo cui la prima fase, quella procedimentale previa, si conclude sempre con un atto non necessariamente autoritativo, occorre evidenziare che la fase del rapporto obbligatorio2 è soggetta in buona parte3 alle disposizioni del codice civile quali norme di diritto comune a pubblici e privati operatori. È appena il caso di osservare, infatti, che sotto l’aspetto economico (e sotto quello del risultato patrimoniale finale) ha preminenza il rapporto obbligatorio e l’adempimento del debito.

In altre parole, ancorché l’obbligazione tributaria, sotto l’aspetto funzionale sia diversa da quella di diritto privato per essere un modo di cura diretta ed immediata di interessi pubblici, e non manifestazione di autonomia privata (sicché si comprende come il rapporto obbligatorio si ponga in una posizione subordinata rispetto ad un procedimento amministrativo); essa – al pari di quella civilistica – è comunque un rapporto tendenzialmente temporaneo, destinato ad estinguersi. Ed il tipico fatto estintivo del rapporto obbligatorio è l’adempimento (disciplinato dagli artt. 1176-1217 del codice civile), ossia la realizzazione della prestazione dovuta che consente al creditore di ottenere il risultato utile perseguito.

 

  1. La fattispecie

Quid iuris, tuttavia, nell’ipotesi in cui il contribuente, pur asserendo di essere stato ingiustamente destinatario della pretesa creditoria dell’Amministrazione Finanziaria, antecedentemente alla proposizione del ricorso provveda al pagamento integrale di quanto richiesto nell’atto impositivo a lui notificato, ovvero provveda all’adempimento dell’obbligazione tributaria di cui è parte?

La pronuncia in commento affronta la problematica, fornendo una interpretazione che pare in linea con la descritta natura “mista” del processo tributario, da intendersi come luogo di “giustizia” fiscale.

Invero la Commissione adita, stimolata in proposito dalle controdeduzioni dell’Ufficio, si pronuncia giusta il seguente passo motivo della sentenza: «…L’avvenuto pagamento incondizionato dell’IVA e dell’IRAP costituisce innegabile accettazione da parte della società (omissis) delle determinazioni dell’Ufficio delle entrate e della fondatezza delle sue pretese tributarie. Appare quindi inammissibile che un contribuente dapprima onori, mediante il pagamento, le pretese avanzate dal Fisco nei suoi confronti, e poi contesti, a pagamento avvenuto, la legittimità e la fondatezza delle dette pretese, chiedendo l’annullamento di atti oramai definitivi…».

I giudici, in pratica, hanno ritenuto che è ontologicamente incompatibile il comportamento di quel contribuente che, subito dopo aver assolto l’obbligazione tributaria su di esso gravante, ritenga di rivolgersi al giudice tributario sostenendo che il rapporto tributario di cui è parte debba essere regolato in termini distinti da quelli oggetto di specifica contestazione da parte dell’ente impositore. E ciò in quanto con l’adempimento (o pagamento, che ne è sinonimo), l’obbligazione si estingue e il debitore consegue la liberazione dal vincolo obbligatorio, vincolo di cui non può più lamentare l’ingiustizia.

I giudici di prime cure, dunque, a fronte della apparente semplicità della loro statuizione, hanno fatto corretto uso degli istituti civilistici, rammentando al ricorrente che l’adempimento è il modo ordinario e per così dire naturale di estinzione dell’obbligazione, ivi inclusa quella tributaria.

Ed in virtù della sua natura giuridica di atto materiale e non di negozio giuridico, si prescinde dalla valutazione in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo, configurandosi come semplice acquiescenza all’accertamento. E ben si comprende il motivo: poiché trattasi di prestazione dovuta, poco importa la volontà del debitore4.

Corollario obbligato di quanto appena affermato è che a nulla varrebbe un’eventuale error in cui fosse incorso il contribuente, nel caso di specie peraltro assente avendo egli asserito di aver pagato “… soltanto per sottrarsi ad ulteriori aggravi fiscali e non perché avesse riconosciuto la fondatezza della pretesa fiscale…”.

Error che, al contrario, potrebbe legittimare esclusivamente l’instaurazione di una distinta procedura di rimborso. Ed invero sono gli stessi giudici, evidentemente sorpresi dell’operato del ricorrente, ad esplicitare tale possibilità allorquando affermano “salva ogni sua successiva riflessione, entro i termini di legge, sull’eventuale erroneità dei pagamenti come sopra effettuati e sulla possibilità di ottenerne l’eventuale rimborso a mezzo delle previste procedure…”.

Val la pena di evidenziare, tuttavia, che a ben vedere il contribuente potrebbe essere incorso non già in un errore materiale (proprio in quanto il pagamento era voluto) ma in un errore sulla interpretazione della legge.

A tal proposito l’art. 15 del D.Lgs. n. 218 del 19975, titolato “Sanzioni applicabili nel caso di omessa impugnazione”, dispone al comma 1 che “Le sanzioni irrogate per le violazioni (…) sono ridotte a un quarto se il contribuente rinuncia ad impugnare l’avviso di accertamento o di liquidazione e a formulare istanza di accertamento con adesione, provvedendo a pagare, entro il termine per la proposizione del ricorso, le somme complessivamente dovute, tenuto conto della predetta riduzione. In ogni caso la misura delle sanzioni non può essere inferiore ad un quarto dei minimi edittali previsti per le violazioni più gravi relative a ciascun tributo”.

In altre parole il beneficio della riduzione delle sanzioni – legato alla rinuncia alla proposizione del ricorso – è sottoposto a determinate condizioni:

  • pagamento delle somme emergenti dall’avviso di accertamento, entro i termini per la proposizione del ricorso (60 giorni dalla notificazione dell’atto);

  • integrale accettazione del contenuto dell’atto impositivo;

  • rinuncia alla presentazione dell’istanza per l’accertamento con adesione.

Ciò posto, nel caso di specie il contribuente al solo fine di “sottrarsi ad ulteriori aggravi fiscali6 potrebbe essere stato tratto in inganno dal citato istituto7, confondendolo probabilmente con quello ben diverso di cui all’art. 17, comma 2, del D.Lgs. n. 472/97 il quale consente una definizione agevolata con il pagamento di un importo pari ad un quarto della sanzione irrogata e comunque non inferiore ad un quarto dei minimi edittali previsti per le violazioni più gravi relative a ciascun tributo. Ma in tale fattispecie il contribuente, a differenza di quanto previsto dal citato art. 15, nel termine concesso per la presentazione del ricorso, ha diritto a definire l’aspetto sanzionatorio, ferma restando la possibilità di instaurare il procedimento di adesione, il cui esito non rileva ai fini dell’aspetto sanzionatorio, ormai definito, e salva la possibilità di vedere riconosciute in giudizio le proprie ragioni in ordine alla debenza del tributo accertato8.

 

  1. I precedenti giurisprudenziali

Esigue risultano essere, ad oggi, le pronunce giurisprudenziali di merito intervenute sulla problematica in esame.

Degne di attenzione appaiono in particolare due recenti arresti della CTP di Novara e della CTP di Torino i quali – mutatis mutandis – hanno delineato un quadro opposto per fattispecie sostanzialmente analoghe.

Più in particolare, con sentenza n. 5 del 21 gennaio 2010 la Sez. III della CTP di Novara, ha affrontato la questione dichiarando anch’essa inammissibile il ricorso introduttivo proposto dopo il pagamento delle imposte e delle sanzioni, ridotte ad un quarto, indicate nell’atto impositivo.

Nel caso di specie, l’ente impositore notificava l’avviso di accertamento che veniva definito con il pagamento delle imposte, sanzioni ed interessi. Subito dopo, però, il contribuente presentava ricorso. La Commissione constatava in particolare “…che effettivamente il contribuente in data 10 Febbraio 2009, due giorni antecedenti la presentazione del ricorso all’Agenzia, aveva definito l’accertamento, ai sensi dell’art. 15 del D.Lgs. 19 Giugno 1997 n. 218, come indicato nell’avviso di accertamento al n. 1) delle avvertenze, con il pagamento di quanto richiesto come tributo e della sanzione ridotta ad un quarto. La Commissione rileva che il suddetto art. 15 precisa che la riduzione delle sanzioni ad un quarto è consentita se Il contribuente rinuncia ad impugnare l’avviso di accertamento”.

In tale circostanza il Collegio ha quindi ritenuto che la definizione dell’accertamento con il pagamento delle somme dovute come tributo e con la riduzione ad un quarto della sanzione comporti la rinunzia ad impugnare il provvedimento dell’Agenzia e che tale comportamento sia ostativo all’instaurazione del contenzioso tributario.

Ancorché non si riesca a comprendere, come già evidenziato in precedenza, se anche nel giudizio sottoposto ai giudici capitolini il contribuente abbia fatto uso dell’istituto di cui al più volte menzionato art. 15, deve comunque ritenersi che l’iter logico giuridico seguito dalla Commissione novarese sia il medesimo che abbia dato la stura alla pronunzia in commento: il pagamento del tributo rende inammissibile la contestazione dello stesso in sede giurisdizionale.

A conclusioni opposte giunge invece la Xª sez. della CTP di Torino la quale, con sentenza n. 48 del 18 maggio 2009, ha affermato che il pagamento spontaneo delle imposte, degli interessi e delle sanzioni (non ridotte), non costituisce acquiescenza alla pretesa tributaria, e deve essere esclusa l’improponibilità del ricorso introduttivo per carenza di interesse.

La ricorrente, nell’impugnare l’avviso di accertamento con il quale, ai fini IRPEF, erano stati accertati maggiori utili non assoggettati a tassazione, precisava nel ricorso “di aver, nel frattempo, corrisposto le imposte richieste e le sanzioni delle quali chiede la restituzione”. Anche in tale fattispecie, l’Agenzia delle Entrate eccepiva l’improponibilità del ricorso in quanto la ricorrente avrebbe prestato acquiescenza all’accertamento nel versare le imposte e le sanzioni nei termini concesso per l’impugnazione dell’avviso, rendendo così quest’ultimo non più impugnabile.

I giudici torinesi, tuttavia, ritenevano il ricorso fondato, affermando di non condividere “l’interpretazione che l’A.E. ha attribuito al pagamento ad opera della contribuente delle imposte e delle sanzioni prima che scadesse il termine della proposizione del ricorso. Al contrario, la stessa definizione letterale dell’art. 15 D.Lgs. 218/97 porta ad altra ed opposta interpretazione; ed infatti, laddove tale norma afferma che le sanzioni sono ridotte a un quarto se il contribuente rinuncia ad impugnare l’avviso e a presentare istanza di accertamento con adesione, provvedendo a pagare le somme complessivamente dovute (vale a dire le imposte e le sanzioni ridotte) significa che il solo pagamento delle imposte e delle sanzioni – non ridotte – non comporta la rinuncia al ricorso. In altre parole, il pagamento entro il termine per la proposizione del ricorso e la tempestiva proposizione dello stesso non attribuirà al contribuente il beneficio della riduzione delle sanzioni. In definitiva, non solo il ricorso è proponibile ma è anche fondato nel merito …”.

In tale specifico caso, il collegio torinese ha ritenuto di dover differenziare gli effetti del pagamento del tributo in ragione dell’importo delle sanzioni versate: a detta dei giudici, la corresponsione delle sanzioni non ridotte impedirebbe l’integrazione della fattispecie normativa di cui all’art. 15 del D.Lgs. n. 218/97, esplicitando la chiara volontà del contribuente di intraprendere l’iter giudiziario al fine di veder riconosciuta l’eccepita illegittimità dell’atto impositivo.

 

  1. Conclusioni

Alla luce delle difformi interpretazioni rese dai giudici di merito, sebbene nel solo ambito provinciale, non può che auspicarsi l’intervento dei giudici di nomifilachia9. In un ottica di certezza del diritto, appare evidentemente imprescindibile la necessità di comprendere se la disposizione dell’art. 15 del D.Lgs. n. 218/97 possa realmente assumere il significato e la portata attribuita dalla CTP di Torino.

A parere di chi scrive, il consesso romano con la pronuncia in commento, appare aver fatto buon uso degli strumenti giuridici a disposizione, anche considerando che il comportamento del contribuente, prima adempiente poi ricorrente, qualora non fosse oggetto di censura in sede giurisdizionale, finirebbe per introdurre uno specifico contegno privo di copertura normativa e terzo rispetto alla duplice soluzione proposta dal legislatore.

 

6 febbraio 2012

Maurizio Lemetre

1M. Stipo, L’accertamento con adesione del contribuente ex D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218, nel quadro generale delle obbligazioni di diritto pubblico e il problema della natura giuridica, in Rassegna tributaria n. 5 di settembre-ottobre 1998, pag. 1231.

2Senza contare le varie posizioni di vantaggio che sono riservate alla Pubblica Amministrazione per l’evenienza dell’inadempimento.

3 Per quanto concerne il tema del rinvio alle norme codicistiche, vale la pena evidenziare che in materia di esatto adempimento il codice civile (art. 1181 c.c.) prevede che il creditore – se vuole – può rifiutare un pagamento parziale che il debitore abbia ad offrirgli; e ciò anche se la prestazione è divisibile. Al contrario, l’art. 31 del D.P.R. n. 602/1973, in deroga alla disciplina civilistica, stabilisce che l’agente della riscossione (rectius il concessionario) non può rifiutare pagamenti parziali di rate scadute e pagamenti in acconto per rate di imposte non ancora scadute. Tale ultima norma, tuttavia, nel disciplinare l’imputazione dei pagamenti, rinvia espressamente, per quanto da essa non regolato, alle disposizioni degli artt. 1193 e 1194 cc..

4Tant’è che, in mancanza dell’adempimento, si può ottenere l’esecuzione forzata contro la volontà del debitore.

5 L’art. 27, c. 4-ter, del decreto legge n. 185 del 2008, aggiunto in sede di conversione in legge n. 2/2009, ha integrato l’art. 15 del decreto legislativo n. 218 del 1997, inserendo il nuovo comma 2-bis per il quale “Fermo restando quanto previsto dal comma 1, le sanzioni ivi indicate sono ridotte alla metà se l’avviso d’accertamento e di liquidazione non è stato preceduto dall’invito di cui all’articolo 5 o di cui all’articolo 11. La disposizione di cui al periodo precedente non si applica nei casi in cui il contribuente non abbia prestato adesione ai sensi dell’articolo 5-bis e con riferimento alle maggiori imposte ed altre somme relative alle violazioni indicate nei processi verbali che consentono l’emissione degli accertamenti di cui all’articolo 41-bisdel decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 e successive modificazioni e all’articolo, quarto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 e successive modificazioni”.

6 Ancorché dalla sentenza non si evinca chiaramente in che misura siano state pagate le sanzioni, ben potrebbe essere che il contribuente, con la propria acquiescenza sostanziale, abbia inteso beneficiare delle sanzioni ridotte.

7 Incorrendo nella relativa preclusione normativa che impone al contribuente, destinatario di avviso di accertamento, di operare una scelta tra la chiusura dell’aspetto sanzionatorio con contestazione del merito (art. 17 del D.Lgs. n. 472 del 97) e la definizione integrale di imposte e sanzioni con rinuncia alla contestazione(art. 15 del D.Lgs. n. 218 del 97), manifestando un’integrale accettazione del contenuto dell’atto impositivo.

8 Fermo restando che il contribuente, anche se vittorioso, non potrà chiedere il rimborso delle sanzioni versate.

9 Alla indubbia posizione di indipendenza della Corte di Cassazione, si accompagna il sicuro “riconoscimento del “ruolo di supremo giudice di legittimità ad essa affidato dalla stessa Costituzione” (Corte Cost., sent. n. 294 del 1995) e … rilevanza costituzionale ex art. 111, comma 7, della Costituzione della funzione di nomofilachia, prevista dall’art. 65 ord. giud., e del peculiare ruolo della Corte di legittimità all’interno dell’ordinamento processuale (Corte Cost., sent. n. 21 del 1982)” Cassazione, SS.UU., Sent. n. 7/23016 del 17 maggio 2004.