Indagini finanziarie: non è necessaria l'allegazione dell'autorizzazione

nel processo tributario, a differenza che in quello penale, le prove raccolte irritualmente (nel caso indagini finanziarie carenti di autorizzazioni) possono lo stesso essere utilizzate contro il contribuente

La sentenza n. 85 del 22 luglio 2011 (ud. del 23 giugno 2011) della CTR di Genova, Sez. I – ci consente di esaminare una questione di particolare interesse, legata all’autorizzazione alle indagini bancarie, ed in particolare la mancata allegazione del provvedimento di autorizzazione alle indagini finanziarie.

 

Il principio espresso dai giudici genovesi

La Commissione rileva – innanzitutto – che la legge n. 413/91 non richiede l’allegazione del provvedimento di autorizzazione, limitandosi a presupporne l’esistenza.

I giudici richiamano, inoltre, la decisione n. 264/1995 del Consiglio di Stato, che afferma che l’autorizzazione si inserisce all’apice di un sub-procedimento interno, concretizzandosi in un atto preparatorio all’avviso di accertamento, con conseguente impossibilità di conoscenza immediata.

Oltretutto, viene richiamata la sentenza della Corte di Cassazione n.4987/2003 che aveva affermato che poiché l’autorizzazione attiene ai rapporti interni e in materia tributaria non vige il principio, presente nel codice di procedura penale della inutilizzabilità della prova irritualmente acquisita, ben possono essere utilizzati ai fini dell’emissione dell’avviso di accertamento le copie dei conti bancari intrattenuti dalla banca col contribuente, acquisite dall’ufficio pur in difetto di tale autorizzazione.

 

Il nostro pensiero

Per avviare le indagini finanziarie, ai fini della tutela del contribuente, è previsto l’obbligo per l’Ufficio procedente di richiedere una preventiva autorizzazione all’organo sovraordinato.

L’A.F. ha avuto modo di evidenziare (C.M. n.32/2006) che l’autorizzazione, “quale atto preparatorio allo svolgimento della fase endoprocedimentale dell’istruttoria“, non assume rilevanza esterna, “autonoma ai fini della sua eventuale impugnazione, in quanto non immediatamente lesiva sotto il profilo tributario della posizione del contribuente interessato”, che non ha ancora subito – e potrebbe non subire – alcun atto di accertamento.

Si tratta, dunque, di atto non soggetto a sindacato di legittimità giurisdizionale, potendo lo stesso essere contestato nella successiva fase contenziosa, innanzi alla Commissione tributaria competente.

Tale limitazione temporanea – precisa la C.M. 32/E/2006 – non attenua il valore di garanzia che l’autorizzazione riveste nell’ambito di indagini così profonde, atteso che essa, quale atto amministrativo preparatorio, consente al contribuente di valutarne l’iter logico-giuridico, con la connessa documentazione, in sede di accesso, esperibile, presso l’Ufficio che lo detiene, ai sensi della L. 241/1990, a conclusione dell’intero procedimento di formazione dell’atto di accertamento.

L’autorizzazione alle indagini finanziarie avanzata dal soggetto che esegue i controlli al proprio ente sovraordinato deve essere richiesta prima di iniziare l’attività, secondo il rigido schema previsto dalla legge (puntualizzato dalla citata C.M. n. 32/2006), e “deve contemplare in modo indefettibile il requisito essenziale dei motivi sottostanti l’indagine, in ossequio al principio di trasparenza e di effettività della tutela giurisdizionale di ogni soggetto”.

L’allegazione di tale atto non risulta però necessaria, mancando per l’intermediario un interesse a conoscere le motivazioni istruttorie specifiche di un accertamento fiscale in corso.

La richiesta di autorizzazione è quindi un atto istruttorio non impugnabile autonomamente, che deve contenere i motivi che suggeriscono l’indagine bancaria.

Essa deve indicare il contribuente da sottoporre ad indagini, il periodo temporale da controllare, e deve riferirsi alla copia dei suoi conti intrattenuti con la banca, con la specificazione dei rapporti inerenti e connessi, e gli istituti di credito, postali e gli altri organismi cui si intende inoltrare la richiesta.

Gli organi competenti al rilascio dell’autorizzazione devono valutare la sussistenza dei requisiti di legittimazione e di merito, dandone atto nella motivazione dello stesso atto autorizzativo.

Ciò è da rienere maggiormente necessario, all’indomani dell’entrata in vigore della L. 7.9.1990, n. 241, che modificando l’orientamento giurisprudenziale che non lo considerava necessario, ha imposto un obbligo generalizzato di motivazione.

La stessa Agenzia delle Entrate, nella circolare n.32/2006 ( par. 4.2.1), ritiene necessaria e obbligatoria la motivazione.

Si rileva che, con sentenza n. 14023 del 9.5.2007 (dep. il 15.6.2007), la Corte di Cassazione, partendo dal dettato normativo di riferimento – art. 51, c. 2, n. 7), del D.P.R. n. 633/72 -, evidenzia che la norma subordina lalegittimità delle indagini bancarie e delle relative risultanzeall’esistenza dell’autorizzazione e non anche alla relativa esibizioneall’interessato (neppure il contribuente nega l’esistenza, nella specie, della prescritta autorizzazione). In particolare, osserva la Corte “che né dalla previsione dell’art. 6 né da quella dell’art. 12 della L. n. 212/2000 si desume che le risultanze delle indagini bancarie vadano poste nel nulla in conseguenza della mancata esibizione della pur esistente autorizzazione. Inoltre, proseguono i Giudici, “atteso che, comunque, non risulta prospettato dal contribuente quale concreto pregiudizio abbia subito il suo diritto di difesa a causa della lamentata mancata esibizione, va, poi, considerato che eventuali illegittimità nell’ambito del procedimento amministrativo di accertamento diventano censurabili davanti al giudice tributario soltanto quando – traducendosi in un concreto pregiudizio per il contribuente – vengano ad inficiare il risultato finale del procedimento e, quindi, l’accertamento medesimo (cfr. Cass. n. 18836/2006)“. Pertanto, “la mancata esibizione dell’autorizzazione non costituisce di per se stessa motivo di illegittimità dell’accertamento.

La sentenza della Cassazione sopra citata prende atto del dettato normativo tributario di riferimento – art. 51, c. 2, n. 7, del D.P.R. n. 633/72 e l’art. 32, c. 1, n. 7, del D.P.R. n. 600/73 -, che si limita a prevedere che le indagini finanziarie sono esperibili, previa autorizzazione dell’organo sovraordinato ivi previsto.

La lettura forte che se ne potrebbe dare di tale sentenza è che se l’esibizione dell’autorizzazione non è necessaria (e quindi, di fatto, il contribuente non conosce i motivi che stanno alla base delle indagini), è perché proprio il dettato normativo di riferimento e lo statuto del contribuente non prevedono espressamente che l’atto autorizzativo debba spiegare le ragioni del controllo avviato, dovendosi ravvisare nell’organo deputato al rilascio dell’autorizzazione solo un potere di controllo di legittimità (che l’ufficio richiedente, per esempio, abbia inoltrato la richiesta alla Direzione regionale competente territorialmente) e non di merito.

Tale obbligo, oggi, invece, unanimamente, si fa discendere dal fatto che il provvedimento di autorizzazione ad acquisire i dati bancari è un atto amministrativo, che al pari di tutti gli atti va motivato, per garantire la difesa del contribuente, come osservato dall’Agenzia delle Entrate.

Sotto altro versante – peraltro esaminato dai giudici liguri – occorre ricordare che la Corte di Cassazione1 – sentenza n. 4001 del 19 febbraio 2009 – ha ritenuto irrilevante la mancata autorizzazione alle indagini finanziarie, ai fini del successivo avviso di accertamento. Per la Corte Suprema “la mancanza della autorizzazione dell’ispettore compartimentale (o, per la Guardia di Finanza, del comandante di zona) prevista ai fini della richiesta di acquisizione, dagli istituti di credito, di copia dei conti bancari intrattenuti con il contribuente, non preclude l’utilizzabilità dei dati acquisiti, atteso che la detta autorizzazione attiene ai rapporti interni e che in materia tributaria non vige il principio (presente nel codice di procedura penale) della inutilizzabilità della prova irritualmente acquisita, salvi i limiti derivanti da eventuali preclusioni di carattere specifico (v. Cass. n. 4987/2003)”. Infatti, “l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria, richiesta per la trasmissione, agli uffici delle imposte, dei documenti, dati e notizie acquisiti dalla Guardia di finanza nell’ambito di un procedimento penale, è posta a tutela della riservatezza delle indagini penali, non dei soggetti coinvolti nel procedimento medesimo o di terzi, con la conseguenza che la mancanza dell’autorizzazione, se può avere riflessi anche disciplinari a carico del trasgressore, non tocca l’efficacia probatoria dei dati trasmessi, né implica l’invalidità dell’atto impositivo adottato sulla scorta degli stessi. Quanto poi al requisito motivazionale del provvedimento autorizzatorio, l’apprezzamento della gravità degli indizi può essere espresso anche in modo sintetico, oppure indiretto, tramite il riferimento ai dati allegati dall’autorità richiedente (v. tra le altre Cass. n. 28695/2005)”. Pertanto, per la Cassazione “a prescindere da ogni altra considerazione, la mancanza (e, a fortiori, l’eventuale illegittimità) dell’autorizzazione (del comandante di zona o dell’autorità giudiziaria) ai fini dell’acquisizione di documentazione bancaria (ovvero dell’utilizzazione di quella acquisita nell’ambito di un processo penale) non incide sul valore probatorio dei dati acquisiti né sulla validità dell’atto impositivo adottato sulla scorta dei suddetti dati”.

E sempre la Corte di Cassazione, con sentenza n. 16874 del 21 luglio 2009 (ud. del 2 aprile 2009), ha confermato l’orientamento assunto precedentemente.

In questo contesto si inserisce la diversa, pur se legata, problematica relativa all’accesso all’atto autorizzativo, che costituisce momento di dibattito dottrinario e giurisprudenziale.

Sul punto occorre prendere atto che l’art. 24, u.c. della L. n. 241/1990 prevede che, fra i limiti generali al diritto di accesso rientra l’esclusione relativa “agli atti preparatori del procedimento nel corso della formazione dei provvedimenti di cui all’art. 13“, senza dimenticare che, considerando l’autorizzazione quale atto endoprocedimentale, esclusivamente propedeutico al provvedimento conclusivo, andrebbe escluso, a priori, il diritto di accesso2.

E il Consiglio di Stato, peraltro richiamato dai giudici liguri, ha formalizzato il proprio pensiero nella decisione n. 264/1995, riformando la sentenza del Tar dell’Emilia Romagna n.1630/1994, secondo cui l’autorizzazione si inserisce nell’ambito di un sub procedimento interno che produce effetti solo con l’avviso di accertamento, e solo da tale momento il contribuente potrà prendere visione dell’atto autorizzativi (cd. impedimento temporaneo).

Il massimo organo di giustizia amministrativa, ritenuto l’atto autorizzativo un atto preparatorio, ha ammesso l’impossibilità di sua conoscenza immediata3.

L’intermediario – che riceve la richiesta di indagini finanziarie -, pur non conoscendo le ragioni del controllo, ha tuttavia l’obbligo di darne notizia immediata al soggetto interessato (cliente-contribuente).

L’ABI, nella circolare 14.2.2006 precisa che, a differenza di quanto previsto per le richieste formulate dalla Magistratura, coperte da un vincolo di segretezza, nel caso delle richieste formulate dagli uffici o dalla G.d.F. (non relative ad indagini di P.G.), “l’obbligo della banca è proprio quello di informare il contribuente per il quale gli uffici accertatori abbiano richiesto la copia dei conti, con la specificazione dei rapporti inerenti o connessi, comprese le garanzie prestate da terzi, nonché il dettaglio delle operazioni effettuate per cassa allo sportello”.

L’informazione al contribuente interessato – da eseguirsi nel più breve tempo possibile – può realizzarsi in qualsiasi forma che permetta di conservare una prova dell’avvenuto adempimento (normalmente si dovrebbe trattare di una nota recapitata al contribuente, con acquisizione di una ricevuta).

La documentazione trasmessa all’ufficio fiscale non è coperta da segreto nei confronti del contribuente, il quale può quindi liberamente accedere – presso la banca – ad ogni informazione concernente sia le richieste notificate dagli uffici, sia gli adempimenti posti in essere.

Al predetto dovere di informativa, sia pure dalla natura incerta, non corrisponde in maniera speculare un vero e proprio diritto all’informazione da parte del cliente, “in special modo nei confronti dell’organo procedente la cui legittimazione circa la procedura istruttoria, anche in caso di totale inadempimento dello stesso intermediario, non risulta minimamente incisa”.

L’eventuale inadempimento di tale obbligo “non rappresenta né comporta un vizio di legittimità derivata dell’atto di accertamento”. Tutto ciò realizza un preventivo bilanciamento tra due interessi contrapposti:

  • da una parte l’obbligo di comunicazione all’interessato – senza peraltro la previsione di una specifica sanzione –, non entrando nella catena endoprocedimentale eventualmente sfociante nell’avviso di accertamento, neppure incide sulle vicende di questo, poiché trattasi di adempimento estraneo e di cui è unilateralmente onerato il solo soggetto intermediario;

  • dall’altra, l’intervenuta conoscenza da parte del soggetto controllato della esistenza dell’indagine in corso sollecita e consente la collaborazione di quest’ultimo per una sua eventuale partecipazione.

 

20 ottobre 2011

Gianfranco Antico

1Cfr. De Marchi, Indagini finanziarie non autorizzate, in www.https://www.commercialistatelematico.com

2 Diversamente, se l’atto autorizzativo fosse dotato di una propria autonomia, potrebbe essere oggetto di accesso da parte del contribuente.

3 Cfr. circolare n.32/2006: “in materia tributaria l’accesso ai documenti viene differito alla notificazione dell’avviso di accertamento”.