l’avviso di accertamento viziato può essere annullato e sostituito con altro validamente emesso anche in pendenza di giudizio, nel rispetto del termine di decadenza e sempre che su tale atto non sia intervenuto giudicato
Il potere di accertamento contempla la facoltà di integrare l’avviso originariamente adottato in presenza di nuovi elementi suscettibili di integrare e modificare l’oggetto ed il contenuto del primo atto. Ma, soprattutto, l’avviso di accertamento viziato può essere annullato e sostituito con altro validamente emesso anche in pendenza di giudizio, nel rispetto del termine di decadenza e sempre che – su tale atto – non sia intervenuto giudicato.
Questo il principio dettato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 4372 del 23 febbraio scorso che interviene non solo a chiarire la natura ed i presupposti dell’accertamento c.d. integrativo (che “continua ad esistere e non viene sostituito dal nuovo avviso”), ma anche a distinguerlo da quello c.d. sostitutivo, cioè emesso in attuazione del potere di riesame (autotutela) di cui è dotato l’ente impositore e che, invece, si sostituisce al precedente atto di accertamento illegittimo “con innovazioni che possono investire tutti gli elementi strutturali dell’atto, costituiti dai destinatari, dall’oggetto e dal contenuto e può condurre alla mera eliminazione dal mondo giudico del precedente o alla sua eliminazione ed alla sua contestuale sostituzione con un nuovo provvedimento diversamente strutturato”.
La vicenda processuale investe un avviso di accertamento relativo all’anno d’imposta 1989, regolarmente impugnato sia per violazione dell’art. 43 del DPR 600/1973 che per ragioni attinenti il merito della pretesa, sostituito in corso di causa con altro atto contenente i requisiti richiesti, con conseguente richiesta di cessazione della materia del contendere per l’atto originario.
Entrambi i primi due pronunciamenti hanno confermato la legittimità del potere sostitutivo dell’ente impositore di emettere un nuovo atto in sostituzione di quello affetto da nullità, nell’esercizio del potere di autotutela allo stesso attribuito.
L’ulteriore impugnativa in Cassazione viene proposta dai contribuenti che censurano l’emissione del nuovo avviso di accertamento (in sostituzione del precedente già impugnato) per mancanza del presupposto richiesto dalla legge per integrare o modificare gli esiti dell’attività accertativa, costituito dalla sopraggiunta conoscenza di altri elementi. La parte eccepisce anche l’intervenuta decadenza dal potere di accertamento per decorrenza del termine, censurabile anche se l’Ufficio “avesse agito in via di autotutela, della quale, peraltro, difettavano i presupposti”.
Per i Massimi Giudici tali motivi sono infondati e vediamo perché.
Preliminarmente, osserviamo che il potere di accertamento dei tributi consente all’ente impositore, qualora abbia riscontrato ovvero presuma l’esistenza di fattispecie imponibili in tutto o in parte non dichiarate, di determinare l’esatto debito d’imposta, sostituendosi al soggetto passivo inadempiente. Tale potere è, di regola, globale, obbligando l’ente impositore ad utilizzare tutti i dati e gli elementi probatori in suo possesso ed a porli a base dell’(unico) atto di accertamento che sarà notificato al contribuente.
Costituiscono eccezione a tale regola, due tipologie di accertamento e precisamente: 1) l’accertamento parziale, regolato dall’art. 41 bis DPR 600/1973 ed art. 54, c. 5 DPR 633/1972;
2) l’accertamento integrativo/modificativo, regolato dall’art. 43 DPR 600/1973(1).
L’accertamento parziale si fonda su segnalazioni di enti esterni e consente:
a) di accertare un reddito non dichiarato;
b) di determinare il maggior ammontare di un reddito solo parzialmente dichiarato;
c) di determinare la non spettanza di agevolazioni, deduzioni, esenzioni. Attraverso l’emissione di un avviso di accertamento dichiaratamente parziale, resta impregiudicata la possibilità per l’ente impositore di emanare un successivo accertamento, anche in base ad elementi già in possesso dell’ufficio.
L’accertamento integrativo e/o modificativo, invece, si legittima alla luce della sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi di accertamento e, proprio per questo, deve esplicitamente indicare nella parte motiva dell’atto tali nuovi motivi e quando l’ente ne è venuto a conoscenza(2). Precisa nel merito la Suprema Corte (anche richiamandosi a precedente propria giurisprudenza n. 25/2002 e n. 15874/2009) “che il potere di accertamento integrativo ha per presupposto un atto (l’avviso di accertamento originariamente adottato) che continua ad esistere e non viene sostituito dal nuovo avviso di accertamento il quale, nella ricorrenza del presupposto della conoscenza di nuovi elementi da parte dell’ufficio, integra e modifica l’oggetto ed il contenuto del primitivo atto, cooperando all’integrale determinazione progressiva dell’oggetto dell’imposta, conservando ciascun atto la propria autonoma esistenza ed efficacia, con tutte le conseguenze che ne derivano anche in tema di impugnazione”.
Di ben diversa natura è, invece, l’accertamento sostitutivo, emesso nell’esercizio del potere di autotutela (3) in forza del quale l’ente impositore provvede a rinnovare un atto impositivo affetto da nullità attraverso l’annullamento dell’atto viziato (anche in sede contenziosa) e l’emissione di un nuovo atto (accertamento sostitutivo, appunto) contenente i prescritti requisiti di legittimità.
Trattandosi di atto strettamente connesso al (rectius: derivante dal ) l’esercizio del potere di autotutela, esso ne subisce il (unico) limite invalicabile, costituito dalla mancata formazione del giudicato(4), in ossequio al principio costituzionale di separazione dei poteri (cfr. Cassazione sentenze n. 7335/2010 e n. 2531/2002).
Ciò premesso e tornando ai fatti di causa, è assolutamente corretto quanto fatto rilevare dalla Commissione Tributaria Regionale (e confermato dal giudice di legittimità), in ordine al potere facente capo all’ufficio tributario, di rinnovare l’atto impositivo affetto da nullità sostituendolo con altro atto contenente i requisiti di legge, nel rispetto dei termini di decadenza(5), così esercitando l’autotutela.
In tal caso, afferma la Corte di Cassazione, non si è in presenza di un accertamento integrativo, bensì sostitutivo, espressione del potere di autotutela attribuito all’Amministrazione finanziaria, precisando ancora che “ove si accedesse alla tesi della natura integrativa del secondo provvedimento, si perverrebbe al risultato di attribuire efficacia sanante alla motivazione integrativa di un atto già perfezionato (…) privo, per l’appunto, di idonea struttura argomentativa, in netta contrapposizione rispetto al principio secondo cui, come emerge dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, come modificato in attuazione dell’art. 7 dello Statuto del contribuente, non è consentito all’ufficio differire ad un momento successivo rispetto all’emanazione dell’atto impositivo l’esplicitazioni delle ragioni della pretesa impositiva”.
L’interessante distinzione tiene conto delle preziose indicazioni offerte dal Consiglio di Stato in tema di annullamento d’ufficio o revoca dell’atto amministrativo con la sentenza n. 6316/2003, con la quale le amministrazioni sono state invitate ad inquadrare gli atti amministrativi prescindendo dal nomen juris adottato, dovendo gli stessi essere interpretati non solo in base al tenore letterale, ma anche risalendo alla effettiva volontà dell’amministrazione ed al potere concretamente esercitato.
Note
1) La predetta disposizione – al 4° comma – consente, nel rispetto del termine di decadenza stabilito nei commi precedenti, che l’accertamento sia integrato o modificato in aumento mediante la notifica di nuovi avvisi, in base alla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi.
2) Sul requisito della novità degli elementi di accertamento cfr. Cass. n. 451/2002, tenendo presente che deve ritenersi nullo l’accertamento integrativo basato su un processo verbale recante una data antecedente (Cass. n. 4164/1995). Riguardo al requisito della motivazione, è stato precisato (Cass. n. 10526/2006) che il richiamo ai nuovi elementi non può essere del tutto generico, ma deve contenere una descrizione anche sintetica degli stessi, al fine di consentire al contribuente un’adeguata difesa.
3) Non è fuori luogo rammentare che l’annullamento degli atti emanati dalla pubblica amministrazione può avvenire sia d’ufficio che su istanza del contribuente: in tal ultimo caso e attese le caratteristiche generali dell’istituto, l’istanza si atteggia a mero atto sollecitatorio all’avvio dell’attività di riesame che deve essere esercitata nel superiore interesse pubblico. In altre parole, pur riconoscendo all’ufficio la massima discrezionalità in ordine all’an, al quando ed al quomodo per l’esercizio del potere di autotutela, tale discrezionalità non può spingersi verso la mera facoltatività del riesame: se, quindi, non vi è alcun obbligo di accogliere − in tutto o in parte − le ragioni del contribuente, deve comunque ritenersi sussistente l’obbligo del riesame, con comunicazione alla parte degli esiti dello stesso. In mancanza, si concretizza da parte dell’ufficio l’ipotesi di inerzia, che assume la connotazione di gravità qualora il silenzio perduri anche dopo reiterate ed inevase sollecitazioni, così giustificando l’intervento sostitutivo dell’organo sovraordinato, come contemplato dal D.M. n. 37/1997.
4) Tale espressione individua l’estinzione del potere di accertamento spettante al giudice, conseguente all’esaurimento dei mezzi di impugnazione previsti dalla legge o causata dall’inerzia delle parti, esprimendo un’esigenza di certezza dei rapporti giuridici.
5) A tal proposito, i Giudici di legittimità rilevano che l’eccepita decadenza “non tiene evidentemente conto nè del periodo biennale di proroga dei termini dell’accertamento ai sensi della L. 413/1991 art. 57, comma 2, nè della circostanza che il periodo entro il quale poteva legittimamente procedersi all’accertamento, secondo la disciplina applicabile ratione temporis, era di cinque anni”.
22 marzo 2011
Valeria Fusconi