Interposizione soggettiva ed elusione: similitudini, differenze e sovrapposizione nel corso dell’accertamento (seconda parte)

interposizione ed elusione sono nozioni che corrispondono a un ventaglio di ipotesi in apparenza del tutto dissimili tra loro; in realtà possono sussitere interessanti legami in sede di accertamento

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Interposizione ed elusione

Interposizione ed elusione sono nozioni che corrispondono a un ventaglio di ipotesi in apparenza del tutto dissimili tra loro: in generale, nel primo campo (interposizione) si manifesta un fenomeno di fittizia titolarità del reddito, con la possibilità, per gli uffici, di accertare il reddito medesimo in capo al soggetto cui esso appaia riferibile, al di là del “dato” formale; nel secondo campo (elusione), accade invece che il soggetto cui i beni, i redditi, i rapporti, sono concretamente riferibili, adotti un comportamento esclusivamente (o prevalentemente?) inteso a minimizzare o a ridurre l’onere tributario, con una complicazione ingiustificata sotto il profilo economico-gestionale, e a fronte della possibilità, per il Fisco, di contestare l’operazione posta in essere.

Al crocevia tra interposizione a abuso del diritto (e quindi con la possibilità di ricondurre la problematica nell’alveo dell’elusione in senso lato), si situa il “dividend washing” (DW).

La norma sull’interposizione soggettiva è stata utilizzata in passato per contrastare tale fenomeno; questa problematica è stata ricostruita dalla circolare dell’Agenzia delle Entrate 27.12.2002, n. 87/E.

Come rammentato nella pronuncia di prassi, la Corte di Cassazione, con le sentenze 26.1.2000, n. 3979, e 18.12.2001, n. 3345, aveva “validato” la pratica in oggetto (DW = interposizione soggettiva).

In precedenza, il fenomeno del DW aveva alimentato un filone di contenzioso apertosi a seguito di una relazione del SECIT, approvata con delibera 16.4.1993, n. 49.

In particolare, il SECIT aveva affermato – in relazione a una fattispecie determinata – che il DW era caratterizzato da una vendita e da una rivendita effettuate tra un fondo comune di investimento ed una società di capitali, operazione mediante la quale il fondo trasformava un dividendo, che era in via di pagamento su un titolo in suo possesso, in una plusvalenza, mentre la società di capitali incassava il dividendo, scomputava la ritenuta d’acconto ed il credito d’imposta (ora soppresso a opera della riforma fiscale) ed imputava al conto economico una minusvalenza da negoziazione.

Era quindi ravvisato nell’operazione un procedimento negoziale indiretto, rivolto ad un risultato economico corrispondente al contenuto giuridico di un terzo negozio, atipico, che poteva definirsi di scambio di reddito a scopo di guadagno fiscale.

L’attività di accertamento fondata su tali presupposti aveva originato un notevole numero di controversie, anche se le vicende giudiziali rimanevano circoscritte alle operazioni conclusesi prima del 10.11.1992, ovvero prima dell’entrata in vigore del comma 6-bis dell’art. 14 del TUIR (che ha eliminato, per le operazioni medesime, il diritto al credito d’imposta sugli utili).

Con la predetta sentenza n. 3979/2000, la Cassazione ha ritenuto che alle ipotesi di dividend washing non fosse applicabile l’art. 37, terzo comma, dato che tale norma si occupa “…del caso dell’interposizione fittizia in senso proprio, caratterizzata dalla divaricazione fra situazione esteriore e situazione sostanziale, rispettivamente riferibili all’interposto e all’interponente, non anche del caso dell’interposizione cosiddetta reale, quale quella accertata dalla sentenza impugnata, ove la forma e la sostanza coincidono”.

Nella successiva sentenza n. 3345/2002, la Suprema Corte aveva ribadito tale impostazione interpretativa, concludendo anche per l’inapplicabilità dell’art. 6, secondo comma, del TUIR, norma ritenuta “inoperante” quando il soggetto che sostituisce un reddito con un altro è una società di capitali, per la quale tutti i ricavi ed i proventi rientrano nel reddito d’impresa.

Come è noto, la possibilità di contestare il comportamento in rassegna (DW) ha poi incontrato una “nuova frontiera” con le sentenze delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 30055 e 30057/2008, le quali hanno accolto un’applicazione estensiva della nozione di abuso del diritto, in grado di legittimare le contestazioni degli uffici fiscali anche in assenza di specifiche disposizioni antielusive e direttamente fondata sull’art. 53 della Costituzione.

Nella visione fatta propria dalla S.C., per DW “si intende (…) la combinazione di un negozio di acquisto di azioni da un fondo di investimento o una SICAV con il successivo negozio di rivendita delle medesime azioni alla stessa società venditrice, dopo la percezione dei dividendi, al fine sia di godere del credito di imposta di cui altrimenti il fondo o la SICAV non godrebbe (…), sia (…) al fine di consentire all’acquirente-venditore di diminuire le componenti attive del reddito d’impresa mediante il computo della minusvalenza costituita dal differenziale tra il prezzo di acquisto delle azioni prima della distribuzione del dividendo ed il prezzo di vendita subito dopo la percezione del dividendo stesso”.

Pertanto, nella prospettiva della Corte, il complessivo carattere artificioso/preordinato/non economicamente motivato dell’operazione (“negozio abusivo”, in quanto tale ritenuto inopponibile all’erario) supera la questione della traslazione soggettiva del reddito, che peraltro corrisponde a un’ipotesi di interposizione reale e non fittizia, dato che l’acquisto e la vendita dei titoli avvengono realmente, come è stato posto in evidenza dalla predetta sentenza del 2000.

A parere di chi scrive, mentre può essere relativamente “facile” il riconoscimento di un carattere elusivo nell’operazione (in considerazione anche dei confini mobili e incerti dell’area dell’elusione/abuso, soprattutto nei più recenti indirizzi giurisprudenziali), può rivelarsi complessa l’individuazione di un’ipotesi di interposizione fittizia: si tratta infatti di riconoscere il dato conosciuto dall’ufficio (l’esistenza del reddito) in capo a un soggetto terzo anziché al titolare apparente, e non di individuare il “prestanome” di un determinato bene. Non risulta chiaro, in tale contesto, se e a quali condizioni una fattispecie negoziale che produce i propri effetti giuridici (ad esempio, una cessione) possa essere ignorata perché suscettibile di dar luogo all’ipotesi di interposizione ex art. 37, terzo comma.

Altra cosa, invece, è la possibilità di ignorare gli effetti fiscali di un determinato comportamento, anche costituito da più atti, fatti e/o negozi, subordinatamente alla verifica delle condizioni del vantaggio fiscale, del carattere della disapprovazione da parte dell’ordinamento e della mancanza di valide ragioni economiche(1).

Ipotesi nell’ambito delle operazioni che sono oggetto del “sindacato” di elusione

La questione relativa alla possibilità di contrastare i comportamenti che possiamo definire elusivi (in mancanza di termini più “neutrali”) può individuarsi in una gamma di comportamenti che sono oggetto sia della norma antielusiva dell’art. 37-bis (fusioni, scissioni, conferimenti, etc. etc.), sia delle elaborazioni giurisprudenziali della Suprema Corte in ordine all’abuso del diritto.

A parere di chi scrive, ricostruendo soprattutto gli ultimi indirizzi giurisprudenziali, e valorizzando le indicazioni fornite dai massimi vertici dell’Agenzia delle Entrate con interventi sulla stampa specializzata, non può in alcun modo ritenersi, però, che l’abuso del diritto si ponga come un “sostituto” della norma antielusiva, in grado di soccorrere il Fisco laddove manchi un’ipotesi specifica di applicazione della stessa, cioè con riferimento alle ipotesi non previste, nonché ai periodi antecedenti l’introduzione dell’art. 37-bis.

Occorre invece usare con estrema prudenza il principio dell’abuso del diritto, rammentando in particolare che la Cassazione – con la sentenza 21.1.2011. n. 1372 – ha raccomandato una particolare cautela. È infatti necessario individuare con precisione cosa sia “elusione”, e in tale prospettiva la semplice sussistenza di valide ragioni extra-fiscali è sufficiente a escludere il carattere strumentale (elusivo) dell’operazione posta in essere.

La continuità logico-giuridica tra i due ambiti dell’abuso e dell’elusione potrebbe peraltro consentire di ritenere in toto non elusivi/abusivi i comportamenti, ancorché rientranti nel campo di applicazione dell’art. 37-bis, che siano assistiti da ragioni economiche (effettive, ma non necessariamente prevalenti rispetto a quelle fiscali?).

In tale contesto, occorre verificare se possano appaiarsi interposizione ed elusione/abuso, in considerazione del rispettivo target delle disposizioni di contrasto. Può quindi osservarsi che:

  1. l’elusione fiscale riguarda un contesto generalmente plurisoggettivo, nel quale il soggetto in osservazione e/o altri soggetti cercano di annullare o ridurre l’obbligo tributario mediante una pianificazione dei comportamenti, in grado di combinare più disposizioni giuridiche per conseguire la soluzione più vantaggiosa;
  2. l’interposizione soggettiva riguarda un ambito (in genere) soggettivamente più ristretto, nel quale il soggetto in osservazione (titolare sostanziale del reddito) fa in modo che la materia imponibile ricercata venga giuridicamente imputata a un altro soggetto (con il quale il primo soggetto instaura un accordo).

Due esempi:

  • ELUSIONE (affermata nella prassi interpretativa ufficiale) viene effettuata una scissione con spin-off immobiliare da parte della società X; i soci che divengono titolari delle partecipazioni nella scissa “immobiliare” procedono entro breve alla cessione delle partecipazioni, così da trasformare la plusvalenza sugli immobili in plusvalenza su partecipazioni;
  • INTERPOSIZIONE il commercialista Tizio costituisce una S.r.l. unipersonale per l’esercizio in forma di impresa dell’attività di elaborazione di dati contabili(2).

Come è facile vedere, nel primo caso il vantaggio è conseguito mediante una riqualificazione “oggettiva” del presupposto imponibile (la plusvalenza), mentre nel secondo caso, individuato un regime più favorevole per l’esercizio di una determinata attività (in grado di garantire, ad esempio, la piena deducibilità degli ammortamenti relativi all’immobile), il contribuente “si organizza” per porre in essere una sostituzione “soggettiva” nella titolarità – formale – del reddito.

È chiaro che, nell’uno come nell’altro caso, compete all’ufficio fiscale di comprovare la natura realmente elusiva (o di interposizione), cioè l’avvenuto abuso delle norme, ovvero la fittizia imputazione del reddito imponibile ad altro soggetto.

Ed ecco un’ipotesi “ibrida”:

  • la società Alfa S.p.a. – esercente attività agricola – pone in essere una scissione con spin-off immobiliare, in conseguenza della quale viene costituita la società semplice agricola Beta. La prima società esercita una attività commerciale (gestione immobiliare), percependo dalla seconda dei modesti canoni locativi. La società agricola realizza invece i redditi, sottoposti alla più favorevole tassazione catastale.

È chiaro che in una simile ipotesi dovrà verificarsi la possibile applicazione delle norme in materia di società non operative (art. 30, L. n. 724/1994): in una visione contestuale e temporale della fattispecie, però, si incontra un’operazione “prospetticamente” elusiva (la scissione), che viene a creare un assetto soggettivo fondato sull’imputazione del reddito a un soggetto terzo.

Il carattere elusivo dell’operazione risiede soprattutto nella possibilità di fruire dei benefici del regime di impresa (in ordine alla deducibilità dei costi, all’utilizzo delle perdite, alla detraibilità dell’IVA, etc.), accanto a quelli del regime agricolo-catastale.

In conclusione, con considerazioni giocoforza provvisorie, potrebbe forse essere riaffermato il carattere parziale e settoriale dell’interposizione rispetto all’elusione, e la “preferenza” per quest’ultima da parte degli interpreti del diritto tributario (soprattutto della Corte di Cassazione), allorquando si tratti di considerare criticamente un’operazione articolata compiuta da/tra più soggetti, nella prospettiva di un vantaggio fiscale.

Note

1) Cfr. però, relativamente alla possibilità di valutare le valide ragioni economiche anche nell’ambito dell’interposizione fittizia, la successiva nota 2. Si rammenta che la nozione di valide ragioni economiche assume altresì rilevanza ai fini della disapplicazione di norme antielusive specifiche, ex art. 37-bis, ottavo comma, del D.P.R. n. 600/1973.

2) Cfr. sul punto la risoluzione dell’Agenzia delle Entrate 17.9.2002, n. 305/E: “per quanto concerne la possibilità di ravvisare nella costituenda società un soggetto fittizio che si interpone tra il professionista e la clientela nello svolgimento di determinate attività di servizio, occorre avere riguardo alle specifiche modalità organizzative che verranno adottate ed in particolare ai rapporti contrattuali che verrebbero configurati tra professionista e società di servizi e tra questa e i terzi (clienti, fornitori, dipendenti). Risulta evidente, infatti, che l’ipotesi di interposizione fittizia non può escludersi nel caso in cui le due sfere di attività non risultino definite con chiarezza sotto il profilo organizzativo ed operativo-contabile.

Nell’istanza di interpello viene addotta come unica ragione economica della ristrutturazione organizzativa la convenienza fiscale che la professionista istante ritrarrebbe alla suddivisione del proprio reddito professionale. Questo, infatti verrebbe ripartito in reddito di lavoro autonomo imputato alla professionista stessa, derivante dall’esercizio dell’attività intellettuale, e reddito d’impresa imputato alla società di capitali, derivante dall’esercizio delle attività accessorie all’attività professionale.

Tale giustificazione, in assenza di altri elementi attinenti ai profili organizzativi di svolgimento dell’attività societaria, induce a ritenere che l’operazione non assume i contorni di una semplice programmazione fiscale ma si traduce in un comportamento finalizzato a realizzare un risparmio fiscale non giustificato da una corrispondente realtà economica e, pertanto, la costituzione della società di capitali configura una ipotesi di interposizione fittizia nello svolgimento dell’attività economica della professionista istante”. Alla luce di quanto affermato dall’Agenzia, anche nella valutazione dell’interposizione fittizia, oltre che nell’ambito del “sindacato” antielusivo, devono essere riscontrate le valide ragioni economiche del comportamento posto in essere. La sfera dell’interposizione (art. 37, terzo comma) viene quindi avvicinata (se non assimilata) a quella dell’elusione (art. 37-bis), come una sorta di elusione “subalterna” e “settoriale”, fondata su un’incongruenza soggettiva e non oggettiva della fattispecie.

17 febbraio 2011

Fabio Carrirolo