La motivazione della cartella esattoriale

partendo da un caso di giurisprudenza, l’analisi di come va motivata la cartella esattoriale

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 8071/2010 ci consente di fare un’analisi sull’importanza della cartella di pagamento emessa nei confronti del contribuente anche alla luce delle tante novità che si sono avute in materia di riscossione dei tributi; per i giudici di legittimità è necessario che gli atti emessi dalla pubblica amministrazione siano sempre motivati.

Come nasce il caso

Nel corso del 2000 una società proponeva ricorso per l’annullamento delle iscrizioni a ruolo formate dall’allora Ufficio Provinciale IVA (ora Agenzia Fiscale delle Entrate) per alcune violazioni in materia di IVA relative all’anno 1995. Nell’atto introduttivo, proposto nei confronti dell’Ufficio Provinciale IVA la società ricorrente eccepiva principalmente i seguenti vizi di legittimità:

a) l’Ufficio IVA non aveva notificato il previo avviso di pagamento prima di effettuare l’iscrizione a ruolo;

b) la parte ricorrente eccepiva il difetto di motivazione del ruolo:

  1. per l’omessa notificazione del previo avviso di pagamento, il quale conteneva, od avrebbe dovuto contenere, le ragioni del relativo recupero;

  2. per l’incomprensione dell’ammontare delle vecchie lire 5.379.485, iscritti sotto la voce “oneri accessori”;

c) La violazione e mancata applicazione del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 13; in estrema sintesi la parte ricorrente si lamentava dell’applicazione della sanzione in una misura diversa da quella statuita dalla norma:

  1. con riferimento a quella applicata all’ammontare esposta a debito in dichiarazione annuale: il 19,26%, anzichè il 30%;

  2. con riferimento a quella applicata ai vari ammontari esposti a debito nelle dodici liquidazioni periodiche: il 24,59% o 24,60%, anzichè il 30%.

d) l’applicazione della sanzione pur in presenza dell’attenuante “forza maggiore”, da imputarsi alla carenza di liquidità;

e) la mancata applicazione delle attenuanti ed esimenti previste dalla norma: infatti, la sanzione del 30% era stata applicata sia per ogni omesso versamento periodico sia per il versamento annuale, risultando quest’ultimo la sommatoria dei primi;

f) la cartella esattoriale non fosse da assoggettare ad imposta di bollo.

Il ricorso veniva rigettato dalla Commissione Tributaria Provinciale, che condannava la ricorrente alle spese del giudizio. Avverso la suddetta sentenza veniva proposto appello dalla società sulla base dei seguenti motivi:

1) l’obbligo di emissione dell’avviso di pagamento non era stato abrogato neppure implicitamente come ritenuto dai giudici di prime cure;

2) che in ogni caso la presunta abrogazione dell’obbligo dell’avviso di pagamento non esonerava dall’obbligo di comunicazione dell’avviso bonario;

3) il difetto di motivazione della cartella;

4) la mancata applicazione della continuazione;

5) la presenza di causa di forza maggiore;

6) la non debenza dell’imposta di bollo;

7) la non debenza dei diritti di notifica;

8) la mancata distinzione nelle spese di giudizio tra spese per onorari e diritti dei procuratori.

L’appello veniva rigettato dalla Commissione Tributaria Regionale con compensazione delle spese.

Avverso la suddetta sentenza la società ricorrente proponeva ricorso in Cassazione .

L’analisi dei giudici della Cassazione

L’art. 7 della Legge n. 212 del 2000 (cd. Statuto del contribuente), e rubricato, appunto, “Chiarezza e motivazione degli atti”, generalizza l’obbligo di motivazione già codificato all’art. 3 della Legge n. 241 del 1990 e successive modifiche e integrazioni e prevede che, in ogni comunicazione ai contribuenti, siano specificati i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che sono alla base dell’atto impositivo emanato. In particolare, poi, il comma 3 dello stesso art. 7 recita che “sul titolo esecutivo va riportato il riferimento all’eventuale precedente atto di accertamento ovvero, in mancanza, la motivazione della pretesa tributaria“.

Non diversamente, quindi, in attuazione dei principi suddetti il D.Lgs. n. 32 del 26 gennaio 2001, nell’apportare una serie di modifiche ed integrazioni complessive all’ordinamento tributario, ha stabilito al suo art. 8 (modificativo a sua volta dell’art. 12, c. 3, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602) che “nel ruolo devono essere comunque indicati il numero del codice fiscale del contribuente, la specie del ruolo, la data in cui il ruolo diviene esecutivo e il riferimento all’eventuale precedente atto di accertamento, ovvero, in mancanza, la motivazione, anche sintetica, della pretesa; in difetto di tali indicazioni non può farsi luogo all’iscrizione”. La disposizione in esame, in primo luogo, tende a corrispondere, all’esigenza di porre il contribuente in condizione di collegare, in maniera semplice e con carattere di immediatezza, il provvedimento costituente titolo per l’esecuzione forzata con i relativi atti presupposti, nei quali ricercare il motivo e la ragione giustificativa della pretesa fatta valere dall’Ente impositore nei suoi confronti. Il fine sotteso, in buona sostanza, è quello di evitare al contribuente logoranti ricerche di dati e documentazione, in alcuni casi risalenti anche a molti anni prima.

Con riferimento al caso analizzato dai giudici di legittimità, e semplificando le molte richieste (alcune ritenute infondate) della società ricorrente occorre fare alcune precisazioni sull’obbligo motivazionale del provvedimento; nel caso della sentenza della Cassazione n. 8071/2010 il ricorrente ha lamentato l’assenza di motivazione su ragione e misura della sanzione.

I giudici di legittimità dopo una attenta disamina hanno effettivamente ritenuto fondata la richiesta del ricorrente, in quanto l’obbligo di motivazione deve essere previsto tutte le volte che il contribuente non sia in grado di conoscere le ragioni della sanzione.

17 luglio 2010

Federico Gavioli