Infortunio in itinere indennizzabile solo sulla pubblica via

quando la giurisprudenza considera indennizzabile l’infortunio del lavoratore occorso nel tragitto da e verso la propria abitazione

 

La Corte di Cassazione con la recentissima sentenza n. 10028 del 27/4/2010 conferma l’indirizzo in altre occasioni espresso dallo stesso Supremo Collegio in tema di limiti della tutela del lavoratore per eventi lesivi che configurino l’ipotesi del c.d. infortunio in itinere.

Secondo detto indirizzo, l’attuale sistema legislativo dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro garantirebbe esclusivamente l’iter compiuto dal lavoratore, per recarsi presso il luogo di lavoro o per farne ritorno, per la parte corrispondente a strada pubblica. La garanzia assicurativa e quindi la risarcibilità dei danni causati dall’evento lesivo verrebbe, per contro, meno in quella parte del percorso compiuto dal lavoratore in luoghi non identificabili quali pubblici perché di proprietà esclusiva o comune del lavoratore stesso, quali la propria abitazione o le parti condominiali attinenti all’abitazione (portone di casa, cortili, viali in complessi residenziali). Detti siti non possono configurare terreno di realizzazione di infortuni in itinere.

Il caso riguardava una lavoratrice di rientro dal lavoro caduta mentre scendeva dall’autovettura alla quale è stata negata l’indennizzabilità perché il sinistro si è verificato all’interno del proprio complesso abitativo, dopo che l’interessata aveva varcato l’accesso e attraversato il giardino.

La Corte, con la sentenza allo studio, per dare fondamento alle proprie conclusioni cita in sintesi il principio secondo cui “si deve trattare di luoghi in cui la parte non ha possibilità diretta di incidere per escludere o ridurre i rischi di incidenti, cosa che invece può fare in tali ambiti”, principio oggetto di più ampia disamina da parte della sentenza n. 15777 del 16/7/2007, Cass. Sez. Lavoro, cui l’odierna motivazione rimanda per maggior contezza e dalla quale il Collegio non ritiene di discostarsi.

A ben vedere, tuttavia, più che la sentenza del 2007, che ne ha dato man forte ma che in sostanza ha il merito di averne spolverato gli intendimenti, consegnandogli maggior luce in termini di attualità, rappresenta in materia “faro illuminante” la sentenza dello stesso Supremo Collegio n. 9211 del 9 giugno 2003, che di fatto ha orientato la Corte nel cammino interpretativo giunto fino all’odierno dispositivo.

Secondo tale sentenza del 2003 l’interpretazione logico-sistematica dell’intero contenuto dell’art. 12(1) del D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38 conduce, inequivocabilmente, all’intendimento formulato: alcune delle espressioni letterali ivi contenute (“luogo di abitazione”, “normale percorso”, “utilizzo del mezzo di trasporto privato, purchè necessitato”) esplicitano con forza la volontà del legislatore di porre un limite preciso al tragitto coperto dalla tutela assicurativa.

Non è annoverabile tra gli infortuni c.d. in itinere, dicono i giudici, e perciò esula dall’ambito di tutela del lavoratore contro il rischio di infortunio sul lavoro, quello subito dal lavoratore nella propria abitazione (o nel proprio domicilio o dimora) né tanto meno quello che si dovesse verificare nelle scale condominiali od in altri luoghi di comune (o forzosa) proprietà privata dato che l’indennizzabilità prevista dal legislatore presuppone che l’infortunio si verifichi nella pubblica strada o, comunque, non in luoghi identificabili con quelli di esclusiva (o comune) proprietà del lavoratore assicurato.

Peraltro, è da segnalare che, a seguito della sentenza n. 9211/2003, l’INAIL ha colto l’occasione per impartire direttive a tutte le proprie unità territoriali, in tema di infortunio in itinere e dei limiti spaziali del percorso tutelato (vedi circolare datata 12 gennaio 2004, rinvenibile sul sito istituzionale), aderendo agli intendimenti dalla Corte di Cassazione ed invitando all’applicazione dei criteri da essa enunciati.

Annoverabile, per completezza, nello stesso senso restrittivo, anche la sentenza della Cassazione 21 aprile 2004, n. 7630, laddove si afferma che la copertura assicurativa non può essere estesa a comportamenti che, per il luogo in cui sono posti in essere, non possono ritenersi finalizzati al lavoro sì da determinare l’aggravamento del rischio generico, al quale sono esposti gli altri soggetti (il caso riguardava un lavoratore caduto nell’attraversare il giardino di casa, sul cancello posto davanti all’abitazione e mentre stava per immettersi sulla strada). “Diversamente non potrebbe giustificarsi la limitazione della copertura assicurativa antinfortunistica anche agli episodi che dovessero verificarsi nell’abitazione dell’assicurato, nella fase di preparazione per recarsi al lavoro, ed in relazione ai quali è sempre stata esclusa l’indennizzabilità”.

Il dispositivo appena citato fa riferimento ai ben noti principi secondo i quali il rischio generico, che incombe su qualsiasi utente della strada, è per il lavoratore aggravato dal fatto che il tragitto è finalizzato a raggiungere il luogo di lavoro o a farne ritorno da esso, non avendo egli possibilità di una scelta diversa. E’ questo rapporto finalistico-strumentale che costituisce il quid pluris richiesto per l’indennizzabilità dell’infortunio in itinere rispetto al rischio generico che incombe su tutti gli utenti della strada.

Secondo la Cassazione dell’ultima sentenza n. 100287/2010, detto rapporto finalistico-strumentale è certificabile, in modo rassicurante, esclusivamente sulla pubblica via percorsa dal lavoratore: dalla destinazione dell’abitazione e dei beni condominiali, ad essa adiacenti, luoghi di espletamento delle più diverse occupazioni quotidiane e personali del lavoratore, non è ravvisabile il nesso causale tra occasione di lavoro ed evento lesivo, almeno in maniera oggettiva ovvero con la medesima intensità ravvisabile, per contro, per fattispecie verificatesi sulla pubblica strada.

In sintesi, quindi, dalla lettura della sentenza allo studio, si evince in modo chiaro che l’orientamento del 2003 – che , come visto, ha già trovato ampio spazio all’interno delle motivazioni delle sentenze dello stesso organo giudicante nel frattempo susseguitesi ad oggi – non registra in atto cambi di rotta sostanziali seppur auspicati da coloro che ritengono doversi dare maggiore rilevanza, in alcuni casi, alla “finalità” ed alla “necessità” del percorso compiuto dal lavoratore.

Di fatto, con esclusione di eventi particolari ovvero collegati al c.d. rischio elettivo cui si sottopone volontariamente il lavoratore, questi, con il solo “intento” di raggiungere la sede di lavoro (o farvi rientro) e dovendo “necessariamente” attraversare luoghi condominiali, si vede negata, in caso di caduta del tutto accidentale, quella stessa copertura assicurativa che, si badi, qualche metro più in là, varcata cioè la soglia condominiale, sul marciapiede pubblico, gli viene garantita per legge.

Secondo la Cassazione, tuttavia, al di là del caso di specie, devono prevalere quelle considerazioni, costituzionalmente orientate, secondo le quali l’attribuzione di indennità o rendite aventi la loro causa nell’infortunio che il lavoratore subisca in luoghi di sua esclusiva o comune proprietà farebbe incorrere nel pericolo che risorse della collettività possano in concreto essere distratte per “compensare” pur apprezzabili bisogni e/o esigenze di natura personale ma che non assumono una sicura e ben definita valenza sociale.

NOTA

1) La norma oggetto dell’autorevole interpretazione è relativamente recente ma si inserisce in un travagliatissimo percorso frutto degli orientamenti della giurisprudenza del settore.

Il D. Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, riformando il T.U. 1124/1965 e colmando il vuoto normativo fino ad allora registrato, ha introdotto di fatto specifica tutela legislativa al c.d. infortunio in itinere, figura giuridica che fino a quel momento aveva riempito le motivazioni di innumerevoli sentenze, spesso contrastanti, e che in esse ha, per così dire, dovuto trovare riparo per ricevere tutela dal nostro ordinamento giuridico.

Fino al 2000, in mancanza di una compiuta disciplina normativa, la copertura assicurativa dell’infortunio in itinere è avvenuta nel tempo ad opera della giurisprudenza come “prolungamento” dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali: in altri termini, la tutela era accordata se ed in quanto l’infortunio in itinere era riconducibile alla comune ipotesi di infortunio sul lavoro di cui all’art. 2 del T.U. 1124/1965.

A quest’ultimo articolo il D.Lgs 38/2000, in virtù dell’art. 12 rubricato proprio “infortunio in itinere”, ha aggiunto il seguente comma:

Salvo il caso di interruzione o deviazione del tutto indipendenti dal lavoro o, comunque, non necessitate, l’assicurazione comprende gli infortuni occorsi alle persone assicurate durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro, durante il normale percorso che collega due luoghi di lavoro se il lavoratore ha piu’ rapporti di lavoro e, qualora non sia presente un servizio di mensa aziendale, durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di lavoro a quello di consumazione abituale dei pasti. L’interruzione e la deviazione si intendono necessitate quando sono dovute a cause di forza maggiore, ad esigenze essenziali ed improrogabili o all’adempimento di obblighi penalmente rilevanti. L’assicurazione opera anche nel caso di utilizzo del mezzo di trasporto privato, purche’ necessitato. Restano, in questo caso, esclusi gli infortuni direttamente cagionati dall’abuso di alcolici e di psicofarmaci o dall’uso non terapeutico di stupefacenti ed allucinogeni; l’assicurazione, inoltre, non opera nei confronti del conducente sprovvisto della prescritta abilitazione di guida”.

15 luglio 2010

Paolo Amari