Il Legislatore prova a rimuovere l’ostacolo della “colpa grave” agli accordi transattivi con il Fisco

col maxi-emendamento alla manovra estiva arriverà una facilitazione per le transizioni fiscali delle imprese in crisi

All’art. 319-bis del codice penale, dopo le parole: “alla quale il pubblico ufficiale appartiene” sono aggiunte le seguenti: “nonché il pagamento o il rimborso dei tributi”. Con riguardo alle valutazioni di diritto e di fatto operate ai fini della definizione del contesto mediante gli istituti previsti dall’art. 182-ter del Regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, del decreto legislativo 19 giugno 1997, n.218, e dall’art. 48 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n.546, la responsabilità di cui all’art. 1, comma 1, della legge 14 gennaio 1994, n.20, è limitata alle sole ipotesi di dolo

Questa è la norma – contenuta nell’art. 29, comma 7, D.l. 31 maggio 2010 n.78(*) – che, di fatto, trasforma il “sentiero” delle transazioni con il Fisco in una autentica “autostrada” per il bonario componimento di posizioni antagonistiche nei confronti del contribuente.

Ben vero, la “transazione fiscale” (di cui all’art. 182-ter del Regio decreto 16 marzo 1942, n. 267) l’”accertamento con adesione” (di cui al decreto legislativo 19 giugno 1997, n.218) e la “conciliazione giudiziale” (di cui all’art. 48 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n.546), salvo ripensamenti o modifiche del legislatore, non dovrebbero più essere afflitte – nell’eventuale vaglio giudiziale in materia di responsabilità inerente la contabilità pubblica – dal potenziale “macigno” della “colpa grave”.

Quest’ultima locuzione, prevista dalla norma (denominata “azione di responsabilità”) ex art. 1, primo comma, legge n.. 20/1994, finora ha pressato non poco i funzionari del Fisco imponendo loro grande cautela nell’adozione delle misure transattive disciplinate dagli istituti di cui sopra; innegabile era, infatti, la presenza dell’alea di una dichiarazione di responsabilità, nei confronti di funzionari e dirigenti preposti, nelle ipotesi che la Corte dei conti prefigurasse una “colpa grave” nell’esercizio di condotte formalizzatesi poi in conclusioni pur deflattive del contenzioso.

La predetta cautela dei funzionari del Fisco sinora si è giustificata nel fatto che l’ indisponibilità dell’obbligazione tributaria, implicita nell’art. 53 Cost. e pur oggetto di grande dibattito in dottrina, è un elemento che inevitabilmente crea le più ampie premesse per la sussistenza della suindicata “colpa grave”.

La “ratio” dell’art. 29, comma 7, citato D.l., residuando alle sole ipotesi di “dolo” la fattispecie della responsabilità contabile, si dimostra una componente aggiuntiva della deflazione del contenzioso e purtroppo mal cela una finalità non certo delle più nobili : quella di “fare cassa” in maniera spedita.

Nel commento del descritto assetto legislativo , è facile intravedere l’estremo favore dei contribuenti e, soprattutto, dei rappresentanti dell’Agenzia Entrate , mentre sul medesimo campo bisognerà attendersi le critiche della Magistratura e della dottrina.

(*) al momento della redazione del presente scritto (23/7/2010) in fase di conversione alla Camera

23 luglio 2010

dott. Antonino Russo