L’esdebitazione del debitore incapiente è uno dei traguardi ottenuti con la riforma del diritto della crisi di impresa e dell’insolvenza, in quanto permette ai debitori una seconda opportunità. Il dettato normativo sembra prevedere, tuttavia, tempi di procedura troppo stretti e limitativi per accedere all’esdebitazione.
L’esdebitazione rappresenta uno dei pilastri dell’intero impianto normativo introdotto dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII), ispirato, almeno sulla carta, al principio del fresh start europeo. Essa ha la funzione di liberare il debitore onesto e meritevole da quei debiti non ancora soddisfatti dopo la procedura liquidatoria, consentendogli una reale possibilità di ripartenza. Tuttavia, con l’entrata in vigore del d.lgs. 136/2024 (correttivo ter), si è acceso un dibattito importante, e tutt’altro che astratto, attorno alla rigidità introdotta dall’articolo 281, comma 1, CCII, che vincola la pronuncia sull’esdebitazione alla contestualità con il decreto di chiusura della procedura. Il nodo è stato portato all’attenzione della Corte costituzionale dal Tribunale di Arezzo con ordinanza del 25 giugno 2025. In gioco non vi è solo un tecnicismo procedurale, ma la stessa effettività della tutela del debitore meritevole, in un equilibrio delicato tra esigenze di efficienza processuale e garanzie sostanziali, costituzionali ed europee.
Genesi e sviluppo normativo: dal sovraindebitamento al Codice della crisi
Il concetto di esdebitazione rappresenta una delle innovazioni più significative del diritto dell’insolvenza degli ultimi decenni, in particolare per l’impatto che ha avuto sul principio del favor debitoris e sulla prospettiva della seconda opportunità. L’ordinamento italiano, storicamente improntato a una concezione sanzionatoria e rigidamente patrimonialistica della crisi d’impresa e dell’insolvenza personale, ha mostrato un’apertura graduale ma progressiva verso modelli più moderni, ispirati alla tutela del soggetto onesto, seppure incapiente. Il primo riconoscimento normativo del diritto del debitore a liberarsi dai debiti residui, pur in assenza di una piena soddisfazione dei creditori, si è avuto con la legge 27 gennaio 2012, n. 3, meglio nota come “legge sul sovraindebitamento”.
Con questa disciplina, il legislatore italiano ha introdotto un meccanismo rivolto a soggetti esclusi dalla procedura fallimentare, come i consumatori, i lavoratori autonomi e gli imprenditori minori, consentendo loro, attraverso vari strumenti tra cui il piano del consumatore, l’accordo con i creditori e la liquidazione del patrimonio, di ristrutturare o estinguere i propri debiti in modo ordinato e controllato. Un passo ancora più decisivo è stato compiuto con la legge 18 dicembre 2020, n. 176, di conversione del d.l. 137/2020 (cd. “Decreto Ristori”), che ha introdotto l’art. 14-quaterdecies nella legge n. 3/2012, istituendo formalmente la figura dell’“esdebitazione del debitore incapiente”.
Questa disposizione ha avuto il merito di codificare il diritto all’esdebitazione anche in assenza di alcuna utilità per i creditori, purché il debitore dimostrasse la propria meritevolezza e l’assenza di colpa grave nella formazione del debito.
Si è trattato, a tutti gli effetti, di un’apertura senza precedenti nel nostro ordinamento alla logica della “seconda opportunità”, in linea con gli indirizzi europei. Il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII), adottato con il d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, ha rappresentato il punto di approdo di questo percorso di riforma. Il Codice ha unificato e razionalizzato la normativa concorsuale, includendo tra le sue finalità la tutela del debitore meritevole e la previsione espressa dell’istituto dell’esdebitazione, sia nell’ambito della liquidazione giudiziale (ex fallimento) che in quello della liquidazione controllata per i soggetti non fallibili.
Gli articoli 279 e seguenti disciplinano l’esdebitazione nella procedura di liquidazione giudiziale, mentre l’art. 283 riguarda specificamente i sovraindebitati incapienti, in continuità con l’art. 14-quaterdecies della legge 3/2012, ora abrogata ma recepita sistematicamente all’interno del nuovo impianto normativo. Con il d.lgs. 17 giugno 2022, n. 83, l’Italia ha dato attuazione alla Direttiva (UE) 2019/1023, sul quadro di ristrutturazione preventiva, sull’esdebitazione e sulle interdizioni, nonché sulle misure volte ad aumentare l’efficienza delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione.
L’articolo 21 della direttiva impone agli Stati membri di garantire che il debitore, persona fisica, possa ottenere la liberazione integrale dai debiti entro un termine massimo di tre anni, a partire dalla data di apertura della procedura. Questo principio, noto come fresh start, rappresenta una chiara inversione di tendenza rispetto al passato, promuovendo una visione più dinamica e sociale della funzione dell’insolvenza: non solo tutela dei creditori, ma anche reinserimento del debitore nel circuito produttivo e sociale.
Gli interventi del correttivo ter
Proprio in attuazione di tali principi europei, il legislatore italiano ha adottato il d.lgs. 29 dicembre 2023, n. 136 (cd. “correttivo ter”), entrato in vigore nel 2024, che ha inciso in modo rilevante sulla struttura procedurale dell’esdebitazione. In particolare, l’articolo 281 del CCII è stato riscritto nel senso di richiedere che la decisione sull’istanza di esdebitazione debba avvenire “contestualmente alla pronuncia del decreto di chiusura della procedura”.
Viene inoltre introdotto un sistema di partecipazione attiva dei creditori: il curatore è tenuto a comunicare l’istanza ai creditori ammessi al passivo, i quali possono presentare osservazioni entro quindici giorni. Questa innovazione normativa, pur giustificata dal punto di vista dell’efficienza procedurale, ha sollevato da subito perplessità in dottrina e giurisprudenza. In particolare, ci si è interrogati se tale contestualità debba essere interpretata come una condizione di validità della domanda di esdebitazione, cioè come un termine decadenziale, oppure come una mera preferenza ordinatoria, che non esclude la possibilità di presentare l’istanza anche dopo la chiusura.
Il rischio di una interpretazione rigida e formalistica è quello di vanificare il diritto sostanziale del debitore meritevole, che, magari per difetto di informazione o per incertezza procedurale, non riesce a proporre l’istanza nel momento esatto della chiusura.
L’articolo 8, lettera a), della legge delega n. 155/2017, tra i principi ispiratori del CCII, stabiliva che l’esdebitazione potesse avvenire anche “subito dopo” la chiusura della procedura, oltre che dopo tre anni dall’apertura. Questo dato normativo appare in tensione con la rigidità formale imposta dal nuovo art. 281 e rappresenta il fulcro della questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Arezzo nel giugno 2025. In definitiva, la storia normativa dell’esdebitazione, da strumento sperimentale a diritto pienamente riconosciuto, dimostra una progressiva apertura dell’ordinamento verso modelli più umani e funzionali della gestione dell’insolvenza. Tuttavia, la recente evoluzione sollecita una riflessione critica sul bilanciamento tra efficienza procedurale e tutela effettiva del diritto del debitore meritevole a “chiudere il passato e ripartire”.
Il caso di Arezzo e la questione sollevata alla Corte costituzionale
La problematica giuridica relativa alla contestualità dell’esdebitazione rispetto alla chiusura della procedura liquidatoria ha assunto un rilievo nazionale in seguito all’ordinanza emessa dal Tribunale di Arezzo il 25 giugno 2025. In tale occasione, il giudice si è trovato dinanzi a un caso concreto emblematico: un debitore persona fisica, dopo aver concluso regolarmente la procedura di liquidazione giudiziale, ha depositato l’istanza di esdebitazione a distanza di circa tre mesi dalla pronuncia del decreto di chiusura. A fronte di tale ritardo, il Tribunale ha ritenuto di non poter accogliere la domanda, in quanto formalmente tardiva rispetto al dettato dell’articolo 281, comma 1, del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII), secondo cui l’esdebitazione deve essere disposta “contestualmente” alla chiusura della procedura.
Tuttavia, proprio nella rigidità di tale interpretazione letterale il Tribunale ha colto un potenziale profilo di incostituzionalità. Il punto critico è rappresentato dall’apparente conflitto tra la norma secondaria (l’art. 281, così come modificato dal d.lgs. 136/2024) e la legge delega n. 155/2017, che, all’articolo 8, lettera a), nel delineare i criteri direttivi della riforma concorsuale, aveva chiaramente previsto la possibilità per il debitore di proporre l’istanza di esdebitazione “anche successivamente” alla chiusura della procedura. In tal modo, la norma delegante aveva inteso lasciare un margine operativo più ampio, funzionale a garantire la concreta fruibilità del beneficio da parte del debitore meritevole.
L’interpretazione restrittiva oggi vigente, invece, parrebbe elidere in radice tale margine, configurando un possibile caso di eccesso di delega ai sensi dell’articolo 76 della Costituzione. Ciò che rende particolarmente delicata la questione è che non si tratta di un mero formalismo o di una disputa procedurale: in gioco vi è la sostanza di un diritto fondamentale. L’esdebitazione non è un semplice strumento processuale, ma costituisce una garanzia sostanziale per la dignità economica della persona e per la sua possibilità di reinserimento sociale. Pretendere che l’istanza venga formulata esattamente nel medesimo momento in cui viene disposta la chiusura della procedura rischia di trasformare la clausola di contestualità in una trappola procedurale, in grado di neutralizzare il beneficio anche in presenza di tutti i requisiti sostanziali di legge. In assenza di una norma che preveda espressamente un termine di decadenza, e in mancanza di un obbligo di preventiva informazione da parte del curatore o del tribunale, il debitore potrebbe non essere posto nelle condizioni di attivarsi per tempo. In questo modo, l’ordinamento finirebbe per subordinare il diritto alla liberazione dai debiti a una variabile meramente temporale, sganciata da qualsiasi criterio di giustizia sostanziale.
Il Tribunale di Arezzo ha dunque sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 281, comma 1, nella parte in cui preclude implicitamente la possibilità di ottenere l’esdebitazione in un momento successivo alla chiusura, in contrasto con il principio di ragionevolezza di cui all’articolo 3 della Costituzione. Inoltre, si è ritenuto che tale norma possa violare anche l’articolo 24, che tutela il diritto di difesa e di accesso alla giustizia, nonché, come già osservato, l’articolo 76, relativo al rispetto dei limiti della legge delega.
La questione assume una dimensione ancor più ampia se la si inquadra nel contesto sovranazionale. In particolare, l’articolo 21 della Direttiva (UE) 2019/1023 prevede che gli Stati membri debbano assicurare ai debitori onesti la possibilità di accedere alla liberazione dei debiti entro un periodo massimo di tre anni, e che non siano previsti ostacoli procedurali sproporzionati. Tale disposizione, letta alla luce dei principi di effettività e proporzionalità del diritto dell’Unione, mal si concilia con una disciplina che impedisce l’accesso all’esdebitazione per il solo fatto che l’istanza non sia stata depositata in modo simultaneo alla pronuncia del decreto di chiusura, soprattutto in assenza di un termine esplicito o di una forma chiara di comunicazione al debitore.
La Corte costituzionale è dunque chiamata a valutare se il principio della contestualità, così come disciplinato attualmente, sia compatibile con i parametri costituzionali e con gli obblighi derivanti dal diritto dell’Unione europea. Un eventuale intervento correttivo potrebbe aprire la strada a un’interpretazione più flessibile e costituzionalmente orientata dell’art. 281 CCII, tale da salvaguardare tanto l’efficienza procedurale quanto il diritto del debitore meritevole alla propria rigenerazione economica e sociale.
Diritti fondamentali e interpretazione costituzionalmente orientata
Il diritto all’esdebitazione incide su posizioni giuridiche tutelate anche a livello sovranazionale. L’articolo 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo assicura il diritto di accesso effettivo a un giudice, e la Corte EDU, con la sentenza Patricolo e altri c. Italia del 23 maggio 2024, ha ribadito che il formalismo processuale non può mai impedire l’esercizio effettivo di un diritto previsto dalla legge. Analogamente, l’articolo 1 del Protocollo addizionale alla CEDU tutela la proprietà anche in senso negativo, imponendo il rispetto del principio di proporzionalità nelle restrizioni patrimoniali. A livello interno, la Corte costituzionale ha affrontato il tema dell’esdebitazione nella sentenza n. 181/2008, affermando che anche dopo la chiusura della procedura i debitori conservano un diritto a ottenere il beneficio, purché siano rispettate le garanzie partecipative dei creditori. Sotto la legge fallimentare, l’articolo 143 consentiva di presentare istanza entro un anno dalla chiusura, e la giurisprudenza di legittimità aveva qualificato tale termine come decadenziale, ma coerente con i principi di certezza giuridica.
Nel contesto attuale, l’articolo 281 CCII può essere letto in modo costituzionalmente orientato, riconoscendo alla contestualità il valore di regola di priorità e non di decadenza. In questo modo, l’istanza presentata dopo la chiusura potrebbe essere comunque accolta, a condizione che venga garantito il contraddittorio, ad esempio tramite notifica ai creditori o con le forme di comunicazione già previste dal correttivo del 2024. Una simile soluzione, oltre a essere conforme al diritto dell’Unione europea, salvaguarderebbe anche la coerenza del sistema con la legge delega.
Liquidazione controllata, prassi applicative e responsabilità degli operatori
La questione si pone anche nel contesto della liquidazione controllata, disciplinata dall’articolo 282 CCII, che riguarda soggetti non fallibili, come consumatori, professionisti e piccoli imprenditori. In questo caso, la legge prevede che l’esdebitazione possa essere concessa a seguito del provvedimento di chiusura o anche anteriormente, decorsi tre anni dall’apertura. Inoltre, la domanda può essere proposta dal debitore oppure su segnalazione del liquidatore.
Questa maggiore flessibilità normativa, tuttavia, rischia di essere frustrata nella prassi, soprattutto nei casi in cui il liquidatore ometta la segnalazione o il debitore non sia adeguatamente informato. La relazione finale del liquidatore, prevista dall’articolo 276 CCII, rappresenta il momento chiave per evidenziare i presupposti per il beneficio, ma non sempre viene valorizzata come strumento decisivo. È perciò indispensabile che i professionisti, in particolare gli avvocati e i consulenti del debitore, assumano un ruolo attivo, sollecitando l’attivazione della procedura e monitorando le scadenze. Inoltre, è buona prassi instaurare un dialogo tempestivo con il curatore o con il liquidatore, richiedendo informazioni sulla tempistica della chiusura, preferibilmente per iscritto. In mancanza di un termine espressamente indicato dalla legge per la proposizione dell’istanza, questa attività preventiva può fare la differenza tra l’accesso effettivo al beneficio e la sua perdita definitiva per mero formalismo.
Prospettive sistemiche e proposte de jure condendo
La materia dell’esdebitazione si trova oggi in un crocevia delicato. In attesa della pronuncia della Corte costituzionale, sarebbe auspicabile un intervento legislativo chiarificatore che preveda esplicitamente un termine per la proposizione dell’istanza successiva alla chiusura, sul modello dell’ex articolo 143 legge fallimentare. Un termine di sei mesi potrebbe rappresentare un compromesso ragionevole tra esigenze di certezza e tutela del diritto alla ripartenza.
Altre modifiche utili sarebbero l’obbligo per il curatore o liquidatore di informare il debitore prima della chiusura, l’adozione di moduli telematici standardizzati per la domanda di esdebitazione e l’integrazione del sistema di notifiche con canali certificati, così da evitare equivoci o ritardi. Tali misure rafforzerebbero l’effettività della procedura, ridurrebbero il contenzioso e avvicinerebbero l’ordinamento italiano alle migliori prassi europee in materia di insolvenza.
In conclusione, il principio di seconda opportunità non può restare confinato a una previsione astratta, ma deve trovare realizzazione concreta. La procedura di esdebitazione deve rimanere accessibile, trasparente ed effettiva. In un sistema che vuole promuovere il fresh start, l’attenzione al merito, alla partecipazione e all’equilibrio tra forma e sostanza deve restare al centro di ogni interpretazione ed evoluzione normativa.
NdR: Abbiamo trattato qui il binomio esdebitazione e meritevolezza
Davide Liberato Loconte
Venerdì 26 Settembre 2025