Dimissioni in Bianco dei dipendenti dopo la riforma Fornero

Tra le novità della Riforma Fornero spicca la volontà di porre un freno deciso ad alcuni comportamenti illeciti che ormai costituivano prassi nella gestione dei rapporti di lavoro, tra i quali vanno annoverate le cd. “dimissioni in bianco”.

La Legge n. 92 del 28.06.2012

“Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita”,

che d’ora in poi definiremo sinteticamente Riforma Fornero, pubblicata nel supplemento ordinario n. 136 della Gazzetta Ufficiale n. 153 del 03.07.2012 ed entrata in vigore il 18.07.2012, ha apportato importanti novità nel mondo del lavoro con un occhio particolare a quella che da sempre viene considerata la parte debole, ovvero il dipendente, ricercando forme particolari di tutela e di salvaguardia dei sui diritti.

Per espressa definizione del suo promotore scopo della Riforma

“… è quello di creare un mercato flessibile, dinamico, capace di contribuire alla crescita economica del nostro paese, ripristinando allo stesso tempo la coerenza tra la flessibilità del lavoro e degli istituti assicurativi …”.

Ancora le finalità principali enunciate dalla Riforma Fornero sono quelle di:

  • Favorire l’instaurazione di rapporti di lavoro più stabili;
  • Ribadire il prioritario rilievo del contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato quale forma comune dei rapporti di lavoro;
  • Incentivare la flessibilità in entrata ed in uscita.

Il Legislatore ha voluto però porre anche un freno deciso ad alcuni comportamenti illeciti che ormai costituivano prassi dominante nella gestione dei rapporti di lavoro; ecco quindi che con estrema forza è intervenuta in materia di dimissioni in bianco.

Prima però di addentrarci nella disamina delle novità apportate dalla Riforma Fornero in tale ambito è opportuno fissare alcuni punti fermi ed in particolare definire alcuni concetti importanti e propedeutici ovvero: dimissione, licenziamento e risoluzione consensuale.

 

Definizione di dimissione

Con il termine dimissione si indica un atto volontario posto in essere unilateralmente dal lavoratore che autonomamente e senza alcuna pressione o condizionamenti decide di interrompere il rapporto di lavoro, sciogliendo così gli obblighi contrattuali.

 

Le dimissioni possono essere esercitate senza limiti, quello che conta è che il lavoratore rispetti l’eventuale preavviso previsto contrattualmente al fine di consentire al datore di lavoro una sua sostituzione così da non rallentare o interrompere l’attività aziendale.

La caratteristica principale delle dimissioni è la volontarietà dell’atto; quindi qualsiasi forma di vizio o di costrizione che possa aver influenzato la scelta del lavoratore provocherà l’annullabilità delle dimissioni stesse.

 
Le dimissioni, oltre che per motivi personali, possono essere anche rilasciate per giusta causa o per incentivo.

 

Nel primo caso – giusta causa – vi è alla base della decisione del lavoratore di interrompere il rapporto di lavoro un comportamento lesivo dei diritti del dipendente posto in essere dal lavoratore; in questo caso l’interruzione del rapporto di lavoro può avvenire senza preavviso.

Nel secondo caso – incentivo – ferma restando la volontarietà dell’atto da parte del lavoratore, il datore di lavoro può offrire, in particolari situazioni aziendali, un incentivo economico così da stimolare la decisione del dipendente verso la risoluzione del rapporto di lavoro.

 

Definizione di licenziamento

Con il termine licenziamento si indica invece l’atto unilaterale posto in essere per vari motivi, non dipendenti comunque dalla volontà del lavoratore, dal datore di lavoro per interrompere il rapporto di lavoro con il proprio dipendente.

 

Anche in questo caso è prevedibile contrattualmente un periodo di preavviso per il quale il datore di lavoro può anche decidere di esonerare il dipendente dal suo svolgimento.

Per tipologia di interruzione del rapporto contrattuale tra datore di lavoro e dipendente, il licenziamento si contrappone quindi alle dimissioni.

Il licenziamento può essere adottato per:

  • giusta causa,
  • giustificato motivo oggettivo e soggettivo
  • oppure quale azione disciplinare (ovvero motivato da un comportamento scorretto del lavoratore).

 

Il licenziamento inoltre può essere:

  • individuale (se posto in essere nei confronti di un unico dipendente)
  • o collettivo (se posto in essere nei confronti di più soggetti – nel caso di aziende con più di 15 dipendenti parliamo di licenziamento collettivo qualora nell’arco di 120 giorni il datore di lavoro proceda a licenziare almeno 5 dipendenti).

 

Anche nell’ambito dell’istituto del licenziamento vi possono comunque essere delle forzature poste in atto dal datore di lavoro che danno poi origine a vertenze quali ad esempio i casi di licenziamenti discriminatori (per motivi religiosi, politici, sindacali, di lingua e di sesso) e quelli illegittimi (assenza di giusta causa, giustificato motivo oggettivo o soggettivo); di questo però non ci occuperemo in questa sede.

 

Definizione di risoluzione consensuale

Con il termine risoluzione consensuale si indica invece l’atto bilaterale avviato in accordo tra le due parti contrattuali (datore di lavoro e lavoratore).

 

Le parti cioè, valutate le proprie rispettive condizioni, necessità ed aspirazioni, decidono congiuntamente di risolvere gli obblighi contrattuali.

 

Modalità lecite di interruzione del rapporto di lavoro

Tutte queste prassi, seppure con modalità ed effetti diversi, rappresentano in ogni caso modalità lecite di interruzione del rapporto di lavoro dipendente.

Proprio in virtù del difficile momento economico e sociale che sta attraversando il nostro paese si è sentita maggiormente urgente la necessità di rivedere queste prassi garantendone la liceità della loro attuazione.

Ecco che la Riforma Fornero ha voluto in più modi intervenire fissando nuove modalità, nuovi effetti e anche nuovi aspetti sanzionatori per tutti coloro che ponessero atti contro l’ordinamento al fine di risolvere i contratti di lavoro.

Da qui la necessità di disincentivare l’ormai sempre più acquisita richiesta della sottoscrizione delle dimissioni in bianco.

 

 

Definizione di dimissioni in bianco

Con il termine “dimissioni in bianco” identifichiamo quella prassi attraverso la quale il datore di lavoro induceva il lavoratore a firmare le proprie dimissioni senza l’indicazione della data di efficacia.

 

Tale comportamento veniva spesso azionato già in occasione della sottoscrizione del contratto di lavoro e soprattutto nei confronti di dipendenti di sesso femminile (soggetti maggiormente deboli in quanto esposti ad ipotesi di gravidanza, di minor forza fisica, maggiore necessità di flessibilità per poter conciliare il lavoro con la famiglia).

Il datore di lavoro era pertanto sin da subito autorizzato dal dipendente, nel proprio esclusivo interesse e a sua semplice discrezione, in particolari situazioni ed eventi che potevano verificarsi durante il rapporto di lavoro (quali appunto malattia, gravidanza, infortunio, adozione di minore, ecc..) ad interrompere il contratto stesso addebitando la volontà esclusivamente alla lavoratrice o al lavoratore, proprio in forza della sottoscrizione della lettera di licenziamento.

Spesso tali dimissioni in bianco sono state utilizzate da datori di lavoro senza scrupoli per minacciare il lavoratore insinuando in esso il timore della perdita del posto di lavoro e delle tutele in caso di disoccupazione. E’ evidente che tale situazione comporta uno stato di soggezione da parte del lavoratore per tutta la durata del rapporto di lavoro.

Tale fenomeno ha in passato penalizzato pesantemente alcune particolari categorie di lavoratori e lavoratrici che si vedevano privati del diritto alle tutele a sostegno per esempio della maternità e paternità; ed ancor più nel recente periodo di grave crisi economica, produttiva ed occupazionale il fenomeno si è visto moltiplicare in maniera smisurata.

Storicamente un tentativo di arginare gli effetti di questa prassi scorretta ed illecita possiamo trovarla nella Legge 188 del 2007 poi però abrogata nel 2008.

L’articolo 4 nei commi da 16 a 23 della Riforma interviene con lo scopo di debellare o quanto meno contenere tale illegittima azione.

Nella sua versione pre approvazione l’articolo si intitolava infatti “tutela della maternità e paternità e contrasto del fenomeno delle dimissioni in bianco”; nella versione approvata questo titolo scompare proprio per non dar valore e sostanza a questo fenomeno fraudolento e illecito, intitolandosi brevemente “Ulteriori disposizioni in materia di mercato del lavoro”.

Si tratta in sostanza di imporre la verifica della certezza della volontà del lavoratore di porre fine al proprio contratto, accertandosi quindi che la stessa volontà non sia viziata da minacce, o ancor peggio dalla prassi ricattatoria di far firmare la lettere di dimissione quale unico mezzo per poter essere assunto.

Si sono quindi introdotte alcune conferme documentali tese ad accertare la volontà incondizionata e non viziata del lavoratore.

L’articolo 4, al comma 17, quindi ha imposto, al fine di rendere efficaci le dimissioni o la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, la necessità di convalida da parte del Servizio ispettivo del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.

 

 

Convalida delle dimissioni volontarie

congedo maternità diritti e dimissioni in biancoLa Riforma Fornero ha prodotto anche la modifica dell’art. 55 comma 4 del Testo Unico in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità (D.Lgs. n. 151 del 2001) estendendo la durata del periodo in cui opera l’obbligo della convalida delle dimissioni volontarie.

In particolare, il comma 16 dell’art. 4 della Riforma Fornero indica che la convalida in caso di dimissioni presentate dalla lavoratrice opera nei seguenti casi:

  • Durante il periodo di gravidanza;
  • Durante i primi tre anni di vita del bambino;
  • Nei primi tre anni di accoglienza di un bambino in adozione nazionale o in affidamento;
  • Nei primi tre anni dalla data della proposta di abbinamento nel caso di adozione internazionale.

In alternativa alla convalida, l’efficacia della risoluzione del rapporto di lavoro per dimissioni può essere sottoposta a condizione sospensiva della sottoscrizione di apposita dichiarazione da parte della lavoratrice/lavoratore, apposta in calce alla ricevuta di trasmissione di comunicazione di cessazione del rapporto di lavoro che lo stesso datore di lavoro è tenuto ad inoltrare al Centro per l’Impiego entro cinque giorni, secondo quanto previsto dall’art. 21 della legge 264/1949.

 

Vediamo nel dettaglio la sequenza operativa:

  • Entro 30 giorni dalle dimissioni o dalla risoluzione consensuale il datore di lavoro deve invitare il lavoratore a presentarsi presso la Direzione Territoriale del Lavoro o il Centro per l’impiego o presso le Sedi individuate dal Contratto Collettivo nazionale di lavoro per convalidare l’atto ovvero invitare il lavoratore a sottoscrivere la dichiarazione sulla comunicazione di cessazione.
  • Entro 7 giorni il lavoratore può:
    • aderire all’invito formulato;
    • non aderire all’invito formulato; in questo caso il contratto di lavoro si intende risolto;
    • revocare le dimissioni o la risoluzione consensuale; in questo caso il rapporto di lavoro si ricostituisce a partire dal giorno successivo a quello della revoca, senza di diritto di retribuzione per il periodo anteriore al rientro effettivo al lavoro (non essendovi stata prestazione lavorativa).
      Alla revoca del recesso consegue l’obbligo da parte del lavoratore di restituire quanto eventualmente percepito in virtù di eventuali pattuizioni stabile al momento delle dimissioni o della risoluzione consensuale.

Riassumendo, il rapporto di lavoro si intende risolto per dimissioni o per risoluzione consensuale nei seguenti casi:

  • per inerzia della lavoratrice/lavoratore qualora questi non proceda alla convalida nei modi previsti dai commi 17 – 18;
  • qualora la lavoratrice o il lavoratore non aderisca, entro 7 giorni dalla ricezione, all’invito trasmesso dal datore di lavoro a presentarsi presso le sedi stabili;
  • qualora la lavoratrice o il lavoratore non aderisca, entro 7 giorni dalla ricezione, all’invito trasmesso dal datore di lavoro con comunicazione scritta a sottoscrivere la dichiarazione in calce alla comunicazione di cessazione del rapporto di lavoro.
    L’invito deve essere inviato al domicilio del dipendente così come indicato nel contratto di lavoro o nelle successive comunicazioni formali; può essere consegnata anche a mano e fatta firmare firmata per ricevuta.
  • qualora la lavoratrice o il lavoratore non effettui la revoca delle dimissioni entro 7 giorni dalla ricezione dell’invito a convalidarle.

 

Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali è intervenuto con la Nota prot. n. 37 del 12.10.2012 a fornire chiarimenti sulla decorrenza delle dimissioni o della risoluzione consensuale del rapporto di lavoro.

In particolare la Circolare ha voluto chiarire il momento a partire dal quale scaturisce l’obbligo di comunicare la cessazione del rapporto di lavoro al Centro per l’Impiego.

Tale termine assume notevole rilevanza anche ai fini dell’accertamento della sanzionabilità amministrativa prevista dal D.Lgs. n. 276/2003.

A tal proposito la Circolare chiarisce che in caso di dimissioni o di risoluzione consensuale l’obbligo di comunicare la conclusione del rapporto di lavoro decorre dal giorno in cui le parti intendono farla decorrere.

Nel caso in cui successivamente si verificasse la revoca delle dimissioni o del consenso alla risoluzione consensuale non vi sarà l’obbligo di nuove comunicazioni.

 

Sistema sanzionatorio delle Dimissioni in Bianco

La Riforma Fornero ha inoltre introdotto un sistema sanzionatorio ad hoc nel caso di accertati abusi nell’utilizzo delle dimissioni in bianco.

Infatti, il dipendente che ritiene di essere stato vittima di licenziamento in forza della sottoscrizione della lettera di dimissioni in bianco può agire nei confronti del datore di lavoro sia in sede civile che in sede penale.

In sede civile sono previste dal comma 23 dell’articolo 4 sanzioni amministrative pesanti; è infatti prevista l’applicazione di una sanzione da un minimo di € 5.000,00 ad un massimo di € 30.000,00, per il datore di lavoro che utilizzi illecitamente le dimissioni firmate in bianco dal proprio dipendente.

L’accertamento dell’illecito spetta per competenza alle Direzioni Territoriali del Lavoro.

Il datore di lavoro trasgressore ha la facoltà di definire la sanzione con il pagamento della sanzione in forma ridotta ovvero nella misura di un terzo dell’importo massimo cioè di € 10.000,00. In alternativa può opporsi con memoria difensive o impugnando l’ordinanza di ingiunzione al pagamento.

Come abbiamo detto, importantissima introduzione è la considerazione di tale prassi illegittima quale illecito di natura penale.

E’ infatti possibile per il lavoratore e la lavoratrice oltre che agire in sede civile per la richiesta di risarcimento, come abbiamo sopra vista, intervenire anche in sede penale però solo quando il lavoratore o la lavoratrice “danneggiati” sia in grado di provare tale comportamento costrittivo da parte del datore di lavoro.

Per prova del comportamento costrittivo, abbiamo già ampiamente detto, si intende produrre la dimostrazione documentale o testimoniale che l’assunzione, ovvero la conferma del posto di lavoro, sarebbe intervenuta solo grazie alla sottoscrizione di una lettera di dimissioni senza l’apposizione della data di sua validità. Si tratta in sostanza di provare il comportamento illecito del datore di lavoro propedeutico all’instaurazione del rapporto di lavoro.

E’ di pochi giorni fa la notizia che alcuni imprenditori veneti sono stati chiamati in giudizio (processo penale) da alcuni dipendenti i quali contestano ai propri datori di lavoro il reato di estorsione aggravata (vedi articolo su Nuova Venezia del 07.02.2013 a firma di Giorgio Cecchetti).

22 febbraio 2013

Marta Bregolato