I finanziamenti alle imprese e l’incognita del prelievo fiscale

analisi delle problematiche fiscali che nascono dalle rinegoziazioni di contratti di finanziamento in essere

Le difficoltà economiche che molte imprese stanno affrontando in questi ultimi anni, ha indotto molte di esse ha rinegoziare i contratti di finanziamento stipulati con le banche con lo scopo di allungare la scadenza originaria del debito e conseguentemente ridurre l’importo della rata da corrispondere periodicamente generando così liquidità da utilizzare all’interno del processo produttivo aziendale.

Appare evidente che nonostante l’operazione di rinegoziazione risulti a conti fatti più onerosa, essa consente di conseguire da subito benefici in termini di minore incidenza dei componenti negativi della gestione finanziaria a tutto vantaggio del risultato economico di esercizio e del cash-flow da esso derivante.

Tale massiccio ricorso è accompagnato da una tassazione più pesante dei finanziamenti alle imprese soprattutto in termini di disconoscimento dei benefici fiscali per il rifinanziamento delle operazioni a breve termine mediante finanziamenti a medio-lungo termine e tassazione delle attività compiute all’estero allo scopo di evitare il pagamento dell’imposta sostitutiva.

Con riferimento al primo aspetto, si evidenzia che i c.d. “bridge financing” o “finanziamento ponte” sono operazioni di finanziamento a breve di durata generalmente compresa tra i sei e i diciotto mesi, finalizzati a coprire necessità temporanee consentendo poi all’impresa di poter decidere come strutturare la forma definitiva del finanziamento che intende stipulare.

La temporaneità con cui vengono richiesti ed erogati questi finanziamenti, fa si che il costo dei medesimi in termini di tasso sia particolarmente oneroso (da 4 a 8 punti percentuali in più rispetto al tasso applicato sui titoli di Stato a breve); il maggior costo trova giustificazione nella necessità di avviare da subito un programma di investimento stabilito in linea di massima e poi successivamente porre in essere un’operazione di finanziamento più o meno strutturata ma comunque ben ponderata rispetto agli scopi che l’indebitamento intende conseguire.

Il finanziamento bridge è un’operazione soggetta ad IVA ma esente dall’applicazione di questa imposta e quindi non genera costi per la nuova società che riceve l’erogazione; essendo il finanziamento erogato a breve, le garanzie che spesso lo accompagnano sono costituite dal pegno su titoli piuttosto che da ipoteche su beni immobili.

Il pegno dei titoli è soggetto ad imposta di registro, ma ha evidentemente un costo contenuto visto che la base imponibile è costituita dal valore nominale delle partecipazioni(1) (e non dal loro valore effettivo, né dal valore garantito) e visto che l’aliquota applicata è pari allo 0,5% di questo valore nominale.

Quando poi il bridge viene sostituito dal finanziamento senior, si procede all’applicazione dell’imposta sostitutiva dello 0,25% sull’importo finanziato posto che si tratta di un’operazione a medio/lungo termine.

Tale imposta assorbe i tributi dovuti per ogni altra operazione connessa quale il pegno su quote o azioni o le ipoteche e la cessione di crediti n garanzia.

Tale modalità operativa accompagnata dalla pretesa tributaria appena esposta, ha rappresentato fino a poco tempo fa la naturale operatività nell’ambito dei finanziamenti bridge seguiti poi da quelli senior.

Tuttavia l’iter appena descritto è stato messo in discussione dal fisco a causa delle sue pretese che hanno visto l’Agenzia delle Entrate vittoriosa in secondo grado – Ctr Lombardia, sentenza n. 119 del 5 novembre 2009 – dopo essere stata soccombente in primo grado (Ctp di Milano, sentenza n. 96 del 3 luglio 2008) per un avviso di liquidazione con richiesta di pagamento di un imposta di oltre trenta milioni di euro in virtù di un finanziamento di circa 800 milioni, garantito da ipoteche per oltre 1,5 miliardi di euro.

Nello specifico si trattava della stipula di un finanziamento senior necessario per estinguere un finanziamento bridge, operazione questa per la quale secondo la Ctr Lombardia non può applicarsi l’imposta sostitutiva dello 0,25% ma la maggiore aliquota del 2% posto che oggetto dell’imposta sostitutiva possono essere solo i finanziamenti destinati ad investimenti produttivi e, naturalmente a parere della Ctr Lombardia, tali non potrebbero considerarsi quelli che estinguono altre passività in quanto essi consisterebbero invece nel riscadenziamento delle obbligazioni che il soggetto finanziato ha già in essere.

Gia’ la Cassazione con sentenza n. 4530/2002 e n. 4611/2002 aveva stabilito che le operazioni di dilazione di pagamento di un precedente debito non possono scontare l’imposta sostitutiva nella misura ridotta in quanto non qualificate come “finanziamenti”.

Ma occorre rilevare che ancora più recentemente la Suprema Corte con la sentenza n. 3970 del 19 febbraio 2009 stabilisce che la “dilazione di pagamento di operazioni gia esistenti non è agevolabile, trattandosi di un accordo che si limita a ricontrattare i tempi e le modalità di pagamento del credito già erogato”.

Nel caso specifico la controversia ha quale oggetto l’impugnazione di un avviso di liquidazione con il quale l’ufficio aveva recuperato l’imposta di registro, revocando a una società il beneficio fiscale previsto dal citato articolo 15 del Dpr 601/1973(2).

La società aveva sottoscritto un atto titolato “dilazione a mezzo operazione a medio termine“, con il quale prestava garanzia ipotecaria a favore di una banca; al momento della registrazione venivano accordate le descritte agevolazioni.

In sede di revisione dell’atto, l’Amministrazione finanziaria rilevava l’insussistenza delle condizioni per potere riconoscere il beneficio, provvedendo alla liquidazione dell’imposta proporzionale di registro.

In Cassazione si arrivava dopo due sentenze di merito favorevoli al contribuente.

I giudici di legittimità hanno ritenuto fondato il ricorso dell’agenzia delle Entrate, affermando che l’articolo 15 del Dpr 601/1973 non è applicabile a un atto che non può qualificarsi come finanziamento.

La Suprema corte, confermando un suo orientamento ormai costante, ha preliminarmente rilevato che “in tema di agevolazioni tributarie per il settore del credito, le operazioni di finanziamento, alle quali l’art. 15 del DPR 601/73 accorda un trattamento fiscale di favore, vanno individuate (in base alla “ratio legis” e al principio secondo cui le norme agevolative sono di stretta interpretazione), in quelle (operazioni) che si traducono nella provvista di disponibilità finanziarie, cioè nella possibilità di attingere danaro da impiegare in investimenti produttivi“.

Da ciò ne deriva che “il negozio di dilazione del pagamento di debiti scaduti, derivanti da scoperti di conto corrente”, non avendo a oggetto un finanziamento, nel senso sopra precisato, ma soltanto le modalità e i tempi di recupero del credito già erogato, esula, in sé considerato, dall’ambito applicativo della disciplina agevolativa (Cassazione sentenze 4611/2002 e 9930/2008).

Conseguentemente, la Cassazione dopo avere ricordato che “le norme agevolative in parola sono di stretta interpretazione e…non possono avere applicazione al di la delle ipotesi che sono in esse specificatamente previste” ha osservato che poiché, nella specie, l’atto controverso si concretizzava nel “consolidamento di un credito preesistente e nella previsione del suo ripianamento mediante pagamento dilazionato”, lo stesso non poteva rientrare fra le ipotesi previste dalla norma di favore, non costituendo “la provvista di nuove disponibilità finanziarie da impiegare in investimenti produttivi”.

In altri termini, a giudizio della Corte, “l’esigenza di attingere denaro non è soddisfatta laddove il soggetto accreditato non veda ampliata la propria liquidità, ma ottenga soltanto una dilazione nell’adempimento del suo debito” (Cassazione sentenza 4611/2002).

Tuttavia, nel caso specifico esaminato dalla Ctr della Lombardia, occorre rilevare che appare molto difficile non qualificare come “finanziamento”, inteso come operazione “produttiva”, quella che vede la sostituzione di un finanziamento con scadenza a breve con altro avente durata a medio/lungo termine.

Non si comprende infatti il motivo per cui un finanziamento erogato a breve com’è quello bridge finalizzato al reperimento di liquidità da utilizzarsi per l’immediato finanziamento ed avvio di operazioni di investimento la cui esatta determinazione per importo, per durata e spesso per condizioni economiche avverrà in un secondo momento debba essere considerato erogato per finalità diverse da quelle del successivo finanziamento senior.

La stretta correlazione tra le due diverse tipologie di finanziamento fa si che nel finanziamento senior viene erogata ulteriore finanza posto che il finanziamento bridge viene erogato e giunge a naturale scadenza entro 18 mesi.

Sembrerebbe che nel giudizio non si sia voluta cogliere la sostanziale differenza che esiste tra la un’operazione di riscadenziamento di debiti di finanziamento che evidentemente non comporta l’erogazione di nuova finanza ma solo la rinegoziazione delle clausole e regole che disciplinano il finanziamento in essere e, invece, l’estinzione di un bridge con un finanziamento a medio/lungo termine che al contrario del precedente presuppone l’erogazione di nuova finanza da destinarsi al finanziamento di interventi pluriennali.

Note

1) Con lo scopo di evitare fenomeni di depauperamento del pegno, spesso le banche finanziatrici acquisiscono in pegno titoli il cui presumibile e futuro valore di mercato subisca un apprezzamento al rialzo; per tale motivo i titoli sono costituiti da obbligazioni governative o corporate bond con vita residua molto breve o pari a quella del finanziamento bridge.

2) La norma prevede, infatti, un regime sostitutivo per “le operazioni relative ai finanziamenti a medio e lungo termine e tutti i provvedimenti, atti, contratti e formalità inerenti alle operazioni medesime, alla loro esecuzione, modificazione ed estinzione, alle garanzie di qualunque tipo da chiunque e in qualsiasi momento prestate e alle loro eventuali surroghe, sostituzioni, postergazioni, frazionamenti e cancellazioni anche parziali, ivi comprese le cessioni di credito stipulate in relazione a tali finanziamenti, effettuate da aziende e istituti di credito“, con l’esenzione dall’imposta di registro, dall’imposta di bollo, dalle imposte ipotecarie e catastali e dalle tasse sulle concessioni governative.

2 marzo 2011

Giuseppe Demauro