Dichiarazione sempre emendabile

la dichiarazione dei redditi costituisce un atto avente natura di dichiarazione di scienza, ritrattabile ed emendabile, anche in assenza di specifica disposizione in quanto tale facoltà del contribuente è espressione del principio costituzionale di capacità contributiva

Con sentenza n. 4776 del 28 febbraio 2011 (ud. del 21 ottobre 2010) la Corte di Cassazione ha affermato che la dichiarazione dei redditi costituisce un atto avente natura di dichiarazione di scienza, ritrattabile ed emendabile, anche in assenza di specifica disposizione in quanto tale facoltà del contribuente è espressione del principio costituzionale di capacità contributiva.

Il fatto

La F. S.p.a., avendo provveduto alla rivalutazione di un bene immobile per L. 14.453.000.000 nel bilancio relativo all’anno 1990, espose nella propria dichiarazione dei redditi un utile di L. 4.262.000.000.

Successivamente, avendo la Consob impugnato il bilancio, nell’assemblea del 1993 la società riapprovò i bilanci relativi agli anni 1990 e 1991, eludendo gli effetti della contestata e, quindi, revocata, rivalutazione, ed in conseguenza di tale evenienza, venivano rettificate – mediante nuova redazione e presentazione del c.d. mod. 760 – le dichiarazioni relative agli anni 1990 e 1991, esponendosi delle perdite e quindi, riportando “a nuovo” il relativo credito d’imposta per gli anni successivi, concretamente utilizzato nel 1993.

Tali dichiarazioni in rettifica non venivano prese in considerazione dall’A.F. e, pertanto, veniva emessa cartella di pagamento per L. 1.236.609.000, impugnata dalla società che ribadiva la legittimità del ricorso alle dichiarazioni emendative.

La Commissione tributaria provinciale di Milano accoglieva il ricorso.

La Commissione tributaria regionale della Lombardia accoglieva l’appello proposto dall’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate, rilevando come sulla base della normativa all’epoca vigente, non fosse consentito emendare errori nelle dichiarazioni dei redditi, ma soltanto di richiedere il rimborso di quanto versato in eccedenza, ai sensi dell’art. 38, del D.P.R. n. 600 del 1973.

La pronuncia della Cassazione

Costituisce orientamento ormai assolutamente consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo cui la dichiarazione dei redditi del contribuente affetta da errore, sia esso di fatto che di diritto, commesso dal dichiarante nella sua redazione, alla luce del D.P.R. n. 600 del 1973, nel testo applicabile ratione temporis, è – in linea di principio – emendabile e ritrattabile, quando dalla medesima possa derivare l’assoggettamento del dichiarante ad oneri contributivi, diversi e più gravosi di quelli che, sulla base della legge, devono restare a suo carico”.

Per la Corte, “la dichiarazione dei redditi, invero, non ha natura di atto negoziale e dispositivo, ma reca una mera esternazione di scienza e di giudizio, modificabile in ragione dell’acquisizione di nuovi elementi di conoscenza e di valutazione sui dati riferiti, e costituisce un momento dell’iter procedimentale volto all’accertamento dell’obbligazione tributaria”.

Viene, altresì, rilevato che il D.P.R. n. 600 dei 1973, art. 9, cc. 7 e 8, nel testo vigente in quel tempo, non pone alcun limite temporale all’emendabilità ed alla ritrattabilità della dichiarazione dei redditi risultanti da errori commessi dal contribuente.

Deve conclusivamente osservarsi sul punto che un sistema legislativo che intendesse negare in radice la rettificabilità della dichiarazione darebbe luogo ad un prelievo fiscale indebito e, pertanto, non compatibile coi principi costituzionali della capacità contributiva (art. 53 Cost., c. 1) e dell’oggettiva correttezza dell’azione amministrativa (art. 97 Cost., c. 1): cfr., ex plurimis, Cass., Sez. un., nn. 15063 e 17394 del 2002, seguite da Cass. nn. 8153 del 2003, 4238 e 12791 del 2004, 22021 del 2006, 5738 del 2007).

E’ ben vero che nel sistema positivo dell’epoca, come afferma la Commissione tributaria regionale, era prevista soltanto la dichiarazione intesa a regolarizzare spontaneamente errori ed omissioni solo nei casi in cui conseguisse “un maggior imponibile o una maggiore imposta“, ma, una volta affermato il principio senza distinzioni dell’emendabilità delle dichiarazioni, occorre rinvenire, pur in assenza di specifiche previsioni normative, soluzioni di carattere sistematico che consentano di coniugare la dichiarazione emendativa col richiamato principio costituzionale di capacità contributiva.

A tal riguardo, rimeditata la questione alla luce di tale criterio interpretativo, non può omettersi di rilevare, da un lato, il carattere facoltativo attribuito alla domanda di rimborso dalla norma contenuta nel D.P.R. n. 602 del 1973, citato art. 38, (secondo un consolidato orientamento considerato l’unico rimedio tipico: Cass., 20 dicembre 2007, n. 26389), e, dall’altro, la compresenza, nel quadro legislativo dell’epoca, di un’alternativa, nel caso di specie fatta valere dalla società incorporata dalla ricorrente, e parimenti prevista dalla normativa in tema di determinazione dell’imposta (D.P.R. n. 917 del 1986, art. 11, c. 3, nella versione applicabile ratione temporis); alternativa avente pari valenza, e consistente nel diritto del contribuente “a sua scelta, di computare l’eccedenza in diminuzione dell’imposta relativa al periodo di imposta successivo o di chiederne il rimborso in sede di dichiarazione dei redditi“.

In altri termini, l’affermazione del principio di emendabilità della dichiarazione non si concilia col carattere necessitato della presentazione dell’istanza di rimborso, che potrebbe risolversi, in concreto, in una delle conseguenze sfavorevoli dell’errore di fatto e di diritto rettificato dal contribuente, ove lo stesso non potesse optare per l’utilizzazione del credito negli anni successivi, sulla base di una dichiarazione emendativa, ancorchè non prevista specificamente, di certo compatibile con le esigenze sistematiche sopra evidenziate.

Brevi indicazioni giurisprudenziali

Già pochi giorni fa, con sentenza n. 2226 del 31 gennaio 2011 (ud. del 3 novembre 2010) la Corte di Cassazione aveva ritenuto emendabile la dichiarazione anche in fase contenziosa, facendo propri i principi espressi a Sezioni Unite, che hanno ripetutamente affermato che “la dichiarazione dei redditi del contribuente, affetta da errore, sia esso di fatto che di diritto, commesso dal dichiarante nella sua redazione, alla luce del D.P.R. n. 600 del 1973, nel testo applicabile “ratione temporis”, è – in linea di principio – emendabile e ritrattabile, quando dalla medesima possa derivare. L’assoggettamento del dichiarante ad oneri contributivi diversi e più gravosi di quelli che, sulla base della legge, devono restare a suo carico, in quanto: la dichiarazione dei redditi non ha natura di atto negoziale e dispositivo, ma reca una mera esternazione di scienza e di giudizio, modificabile in ragione dell’acquisizione di nuovi elementi di conoscenza e di valutazione sui dati riferiti, e costituisce un momento dell’iter procedimentale volto all’accertamento dell’obbligazione tributaria; l’art. 9, commi settimo e ottavo, del D.P.R. n. 600 del 1973, nel testo vigente, applicabili ratione temporis, non pone alcun limite temporale all’emendabilità e alla ritrattabilità della dichiarazione dei redditi risultanti da errori commessi dai contribuente; un sistema legislativo che intendesse negare in radice la rettificabilità della dichiarazione, darebbe luogo a un prelievo fiscale indebito e, pertanto, non compatibile con i principi costituzionali della capacità contributiva – art. 53 Cost., comma 1 – e dell’oggettiva correttezza dell’azione amministrativa – art. 97 Cost., comma 1” (così SS.UU. n. 15063/2002 e vedi anche successivamente SS.UU. n. 17394/2002).

Dal principio sopra esposto la giurisprudenza ha tratto come logico corollario che “la possibilità per il contribuente di emendare la dichiarazione allegando errori di fatto o di diritto commessi nella sua redazione, ed incidenti sull’obbligazione tributaria, è esercitatale non solo nei limiti in cui la legge prevede il diritto al rimborso ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 38, ma anche in sede contenziosa per opporsi alla maggiore pretesa tributaria dell’amministrazione finanziaria (v. Cass. n. 22021/2006, peraltro in precedenza v. anche, in parte, cass. n. 10055/2000)”.

Sempre la Suprema Corte ha affermato nella sentenza n. 13484 dell’8.06.2007 che “il rigoroso regime legale che regola il modo ed il tempo di presentazione della dichiarazione annuale dei redditi non costituisce argomento decisivo al fine di escludere la ripetibilità di imposte versate in base ad una dichiarazione errata, ancorché l’errore non sia immediatamente desumibile dal testo della dichiarazione stessa, dovendosi riconoscere al contribuente – in un sistema improntato ormai, per effetto dell’entrata in vigore dello Statuto del contribuente (L. n. 212 del 2000), ai principi della buona fede e della tutela dell’affidamento, ed avuto riguardo al concetto di capacità contributiva, che costituisce uno dei principi fondamentali della Costituzione in materia tributaria – la possibilità di far valere ogni tipo di errore commesso in buona fede al momento della dichiarazione, attraverso la procedura disciplinata dall’art. 38 del D.P.R. n. 602 del 1973”.

22 marzo 2011

Francesco Buetto