La motivazione differenziata degli atti impositivi

secondo la Cassazione, ogni atto impositivo emesso dovrebbe avere una propria motivazione specifica…

La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 19725 del 17 settembre 2010, affronta il tema della rilevanza della motivazione degli atti impositivi, adeguando – ancora una volta – il contenuto (generale) del disposto di cui all’art. 3, L. n. 241/1990, alla tipicità del modello tributario, come definito dall’art. 7 della L. n. 212/2000(1). La novità del pronunciamento consiste nell’ampliamento (apparente) del contenuto della motivazione che – secondo il giudizio della Corte – non solo deve chiarire le ragioni del provvedimento e mettere il contribuente in grado di conoscere l’an ed il quantum della pretesa tributaria, per un più compiuto esercizio del proprio diritto alla difesa, ma deve anche “differenziarsi”, in relazione al contenuto di ciascun atto impositivo.

Questa pronuncia offre, quindi, lo spunto per una più compiuta riflessione sulle peculiarità dell’obbligo di motivazione (come recepito dall’art. 7 dello Statuto), alla luce principalmente del diritto di difesa, ex art. 24 della Costituzione(2). In linea generale, infatti, l’obbligo di motivazione si giustifica in considerazione dell’attitudine del provvedimento impositivo ad incidere sulla sfera giuridica e patrimoniale del contribuente, ma anche in ottemperanza al principio di cui all’art. 97 della Costituzione, per la necessità di garantire il buon andamento (in termini di efficienza ed integrità dell’azione amministrativa) e l’imparzialità dell’agire dell’amministrazione(3).

La “differenziazione”, per essere compatibile con tutti i principi sopra citati, deve ritenersi riferita a quella motivazione il cui contenuto sia “adeguato” sul duplice fronte della:

  1. determinatezza ed intelligibilità del contenuto dell’atto da parte del contribuente;

  2. chiarezza dell’iter logico e giuridico seguito dall’amministrazione nella ricostruzione della situazione reddituale del contribuente-destinatario del provvedimento impositivo.

E’ chiaro quindi che l’affermazione della Corte – se interpretata nel senso di legittimare la sola motivazione “differenziata” – diventa tautologica. Perché, se la necessità primaria è quella di esemplificare, in modo chiaro ed esaustivo, le ragioni del provvedimento, evidenziando i momenti ricognitivi e logico- deduttivi del percorso seguito dall’amministrazione finanziaria, al fine di renderne edotto il contribuente e garantirgli l’effettività del suo diritto alla difesa, la diversificazione del contenuto dell’atto, in relazione alla sua funzione tipica, è corollario e presupposto al tempo stesso.

Il requisito – che “personalizza” l’atto tributario in relazione alla situazione tipica cui afferisce – è ricompreso nella congruità, sufficienza ed intelligibilità che connotano (ex se) l’obbligo di cui all’art. 7 della L. n. 212/2000. Ragione per cui, non occorre specificarne (ulteriormente) la portata, se l’obbligo di motivazione già viene riferito alla “complessità” delle caratteristiche dell’atto tributario, in riferimento al suo contenuto tipico ed all’oggetto. Con la conseguenza che la “differenziazione” della motivazione diventa sinonimo di adeguatezza, rimandando alla regola generale che impone all’amministrazione di esemplificare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’erario, in relazione alle risultanze istruttorie.

Questa riflessione – che colloca tale differenziazione tra i requisiti necessari della motivazione – risponde alla stesse logiche che ammettono la c.d. motivazione per relationem, solo a condizione che l’amministrazione rispetti l’onere di allegazione dell’atto cui il provvedimento impositivo afferisce. Anche in questo caso – proprio in ragione del rinvio – l’obbligo di motivazione si atteggia diversamente secondo la natura e la funzione del provvedimento impositivo, imponendo all’ufficio che lo emette di richiamare (se già conosciuto dal contribuente)(4), o di allegare (se non conosciuto, né conoscibile da parte del destinatario)(5), l’atto collegato, al fine di palesare il contenuto tipico e l’oggetto dell’atto impositivo e consentire al contribuente-destinatario di replicare (in sede di contradditorio) o difendersi (in sede giudiziaria) contestando, nell’an e nel quantum, la determinazione erariale(6).

Queste considerazioni escludono ogni diversa interpretazione della sentenza in commento, con la conclusione che il requisito della “portata differenziale” della motivazione deve obbligatoriamente ricollegarsi a quello dell’adeguatezza, quale espressione di necessità e sufficienza della motivazione stessa. E’ questa la ragione per cui, ad esempio, in materia di accertamento di imposte sui redditi, la motivazione è più complessa, perché collegata ai presupposti di fatto ed alle ragioni giuridiche che hanno determinato l’atto; mentre risulta più semplice per le indirette sui trasferimenti, visto il nesso tra l’accertamento ed il valore economico degli immobili.

Al contrario, intendendo la “differenziazione” quale criterio di definizione dei confini (teorici) della motivazione dell’atto tributario, il rischio sarebbe quello di relativizzarne l’obbligo, in relazione alle caratteristiche dell’atto ed alla sua natura e funzione che possono variare, con la conseguenza di personalizzarne eccessivamente il contenuto, oltre ogni standard minimo di tutela.

Così interpretata, la sentenza della Corte perde tutta la sua originalità perché – semplicemente – riafferma (seppure attraverso un concetto nuovo) la regola della completezza della motivazione che costituisce, a sua volta, presupposto necessario e sufficiente di legittimità della pretesa erariale contenuta nell’atto impositivo.

NOTE

1) Anche la Corte Costituzionale ha riconosciuto il rapporto di generalità/specialità che intercorre tra le disposizioni normative contenute rispettivamente agli artt. 3 e 7 delle leggi n. 241/1990 e n. 212/2000 (sul punto, v. Ord. Corte Cost. n. 117/2000).

2) L’obbligo di motivazione dell’atto impositivo deve ritenersi assolto solo se il contribuente viene posto nelle condizioni di conoscere esattamente tutti gli elementi costitutivi della pretesa erariale, così da essere posto nella condizione di contrastarle (nell’an e nel quantum), senza essere costretto a reperire in altro modo le informazioni necessarie a chiarire le ragioni della richiesta. In questo senso, è onere dell’Amministrazione, dimostrare di aver reso conoscibile la pretesa al contribuente cui l’atto si riferisce. Questo principio garantisce – attraverso proprio la tutela del diritto di difesa del contribuente – l’effettività del principio del contraddittorio in sede procedimentale e giurisdizionale.

3) Dal momento che la motivazione deve contenere e combinare tra loro tutti gli elementi raccolti dall’Ufficio in sede istruttoria.

4) Rileva, in proposito, l’art. 1 del D. Lgs. n. 32/2001 che – in materia di imposte sui redditi – prescrive l’onere di allegazione degli atti richiamati soltanto nel caso in cui gli stessi non siano stati conosciuti, né ricevuti, dal contribuente, e sempre a condizione che l’atto impositivo non ne riproduca il contenuto essenziale (sulla rilevanza dell’onere di allegazione dell’atto presupposto, a fronte dell’insufficienza della dichiarazione dell’Ufficio che ne attesta la conoscenza da parte del contribuente-destinatario, v. Corte di Cassazione, sentt. nn. 26330/2009; 10205/2003 e 15379/2002).

5) In questo senso, la prevalente giurisprudenza reputa assolto l’obbligo di motivazione dell’atto tributario solo se – avendo tempestivamente conosciuto, o potuto conoscere il contenuto integrale dell’atto (o degli atti) richiamati nel provvedimento principale, il contribuente sia stato posto in grado di conoscere tutti gli elementi essenziali della pretesa erariale addotta nei suoi confronti, di modo da comprendere interamente l’iter logico e giuridico seguito dall’ufficio nella ricostruzione della sua situazione reddituale. In particolare, la Corte di Cassazione ha chiarito la portata dell’art. 7 della L. n. 212/2000, in relazione alla funzione dell’art. 3 della L. n. 241/1990, precisando che: “il contribuente ha … il diritto di conoscere tutti gli atti il cui contenuto viene richiamato per integrare la motivazione, ma non il diritto di conoscere il contenuto di tutti quegli atti, cui si faccia rinvio nell’atto impositivo e sol perché ad essi si operi un riferimento, ove la motivazione sia già sufficiente (e il richiamo ad altri atti abbia, pertanto, mero valore narrativo…)” (v. Corte di Cassazione, sentenza n. 19113/2010).

6) Prima dell’entrata in vigore dell’art. 7 dello Statuto dei diritti del contribuente, era sufficiente – per l’Amministrazione – dimostrare la conoscenza o conoscibilità dell’atto da parte del contribuente (v. Corte di Cassazione, sentenza n. 9220/2008). Con l’introduzione di cui alla L. n. 212/2000, anche l’obbligo di motivazione degli atti tributari può essere adempiuto per relationem, mediante il riferimento ad elementi di fatto e di diritto risultanti da altro atto o documento, che deve essere allegato all’atto notificato, a meno che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale (v. Corte di Cassazione, sentt. nn. 83/2010; 20535/2010; 28666/2008; 1906/2008; 13482/2008; 15842/2006 e 15234/2001). La violazione di tale disposizione determina la nullità dell’atto che, per produrre i suoi effetti – dovrà essere eccepita dal contribuente.

12 dicembre 2010

Valeria Fusconi e Eleonora Bartolotta