Le dichiarazioni dei clienti valgono!

le dichiarazioni in questione non potranno avere pieno valore probatorio, ma solo il valore di “elementi”, che non possono costituire – da soli – il fondamento della decisione. Il valore probatorio delle verbalizzazioni è quindi rimesso al libero apprezzamento del Giudice…

Con sentenza n. 22122 del 29 ottobre 2010 (ud. dell’8 giugno 2010) la Corte di Cassazione ha ritenuto valido l’accertamento effettuato sulla base delle risposte fornite dai clienti ai questionari notificati dalla Guardia di Finanza.

 

Il fatto

Sinteticamente, il fatto può essere così ricostruito: sulla scorta di un PVC della Guardia di Finanza, sono stati determinati redditi maggiori di quelli dichiarati “mediante la ricostruzione del prezzo medio di ciascuna prestazione, rilevata a mezzo di questionari inviati ai clienti“).

 

I principi della sentenza

Innanzitutto, i giudici affermano la legittimità del procedimento utilizzato dall’ufficio – art. 39, c. 1, lett.d) – secondo cui si può procedere alla rettifica dei redditi di impresa quando “l’incompletezza, la falsità o l’inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati risulta dall’ispezione delle scritture contabili e dalle verifiche di cui all’art. 33 ovvero dal controllo della completezza, esattezza e veridicità delle registrazioni contabili sulla scorta delle fatture...”, con la precisazione che “l’esistenza di attività non dichiarate o l’inesistenza di passività dichiarate è desumibile anche sulla base di presunzioni semplici, purchè queste siano gravi, precise e concordanti“), e ciò anche (Cass., trib., 16 gennaio 2009 n. 951) in presenza “in presenza di scritture contabili formalmente corrette, qualora la contabilità possa essere considerata complessivamente ed essenzialmente inattendibile“.

Successivamente, la Corte entra nello specifico: le dichiarazioni rese dai clienti della società in risposta ai questionari ricevuti dall’Ufficio (da questo poste a base dell’atto impositivo), “non hanno affatto acquisito valore di prova testimoniale vietata dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 4, atteso che … i giudici del merito non hanno attribuito alle stesse quel valore ma, correttamente, le hanno considerate (e, quindi, valutate) solo come elementi presuntivi, ritenuti idonei (nei limiti percentuali della ritenuta legittimità) a suffragare la pretesa fiscale dell’Ufficio”.

Le dichiarazioni in questione – al pari di tutte quelle di soggetti terzi (ossia di soggetti tali rispetto al rapporto contribuente – parte/Erario) raccolte dagli organi fiscali di controllo nella fase procedimentale (cfr. Cass., trib., 10 marzo 2010 n. 5746), “hanno il valore probatorio proprio degli elementi indiziari, e qualora rivestano i caratteri di gravità, precisione e concordanza di cui all’art. 2729 c.c., danno luogo a presunzioni (Cass. n. 903 del 2002 e n. 9402 del 2007)” pienamente utilizzabili dal giudice tributario nella formazione del suo convincimento.

Il divieto di ammissione della prova testimoniale sancito dall’art.7, c. 4, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, “si riferisce alla prova testimoniale da assumere nel processo, che è necessariamente orale, di solito ad iniziativa di parte, richiede la formulazione di specifici capitoli, comporta il giuramento dei testi, e riveste, conseguentemente, un particolare valore probatorio”: tale divieto, pertanto, “non implica … l’inutilizzabilità, ai fini della decisione, delle dichiarazioni raccolte dall’Amministrazione rese da … soggetti terzi”; dallo stesso, inoltre, “non discende la conseguente inammissibilità della prova per presunzioni, ai sensi dell’art. 2729 c.c., comma 2, secondo il quale le presunzioni non si possono ammettere nei casi in cui la legge esclude la prova testimoniale, poichè questa norma, attesa la natura della materia ed il sistema dei mezzi di indagine a disposizione degli uffici e dei giudici tributari, non è applicabile nel contenzioso tributario (Cass. nn. 22804/2006, 12210/2002)“.

Alla “possibilità che le dichiarazioni rese da terzi agli organi dell’Amministrazione finanziaria trovino ingresso, a carico del contribuente” nel processo tributario (“con il valore probatorio proprio degli elementi indiziari, i quali, mentre possono concorrere a formare il convincimento del giudice, non sono idonei a costituire, da soli, il fondamento della decisione (Corte costituzionale, sent. n. 18 del 2000)“), fa necessario riscontro (attesa la necessità di dare “concreta attuazione ai principi del giusto processo come riformulati nel nuovo testo dell’art. 111 Cost., per garantire il principio della parità delle armi processuali nonché l’effettività del diritto di difesa“) l’identico “potere” del contribuente di “introdurre dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale, beninteso, con il medesimo valore probatorio” (cfr. anche Cass., trib., 26 maggio 2008 n. 13482, la quale richiama Cass., trib., 21 dicembre 2005 n. 28316).

Inoltre, la tesi dell'”interesse” dei clienti a non essere puniti e, quindi, la (se non incapacità, come sostenuto, almeno) inattendibilità delle loro risposte date ai “questionari” è priva di ogni fondamento non essendo stata neppure adombrata la violazione (in qualunque modo sanzionabile) che gli stessi avrebbero coperto rendendo la dichiarazione (sfavorevole alla società) richiesta dall’Ufficio.

 

La giurisprudenza formatasi negli ultimi anni

In quest’ultimo periodo, si segnalano una serie di sentenze della Corte di Cassazione, sul punto:

  • sentenza n. 16418 del 23 gennaio 2008 (dep. il 18 giugno 2008) confermativa dell’avviso di accertamento fondato su dichiarazioni rese da terzi. “Le dichiarazioni di terzi, nel caso di specie clienti, ben possono costituire la base di un ragionamento induttivo circa il reddito presumibile del contribuente. E tale utilizzazione non contrasta con il divieto di assunzioni di prove testimoniali nel processo tributario. Né è priva di supporto la supposizione secondo cui la ditta praticasse a tutta la clientela condizioni analoghe a quelle accertate in ordine ai clienti le cui dichiarazioni sono state assunte”;

  • sentenza n. 6548 del 18 marzo 2009 (ud. del 6 febbraio 2009) secondo cui l’insufficienza della motivazione consiste principalmente nell’omessa disamina degl’indizi forniti dai verbalizzanti, nel quadro complessivo del materiale raccolto (Cass. nn. 3390/2005, 16831/2003, 15399/2002 ed altre), al fine di valutare, con giudizio di merito non censurabile in questa sede se correttamente motivato, la possibilità o l’impossibilità di pervenire, con un grado di approssimazione ragionevole, all’accertamento dell’evasione fiscale: è invero sufficiente che il fatto ignoto da provare (evasione fiscale) sia desumibile dal fatto noto non in termini di assoluta certezza, ma come conseguenza ragionevolmente possibile o probabile, secondo regole di esperienza (Cass. nn. 16993/2007, 13546/2006, 12802/2006 ed altre); purché di tale deduzione probabilistica il giudice di merito dia adeguato conto in motivazione”. Inoltre, “sono giuridicamente (e logicamente) errate le seguenti affermazioni: che il giudice tributario non debba tenere in alcun conto le dichiarazioni di terzi alla guardia di finanza, per non violare il divieto di prove testimoniali; che quindi non possa darsi valida presunzione se gli unici indizi raccolti provengano da dichiarazioni orali, non suffragate da prove documentali“. Per la Corte, “le dichiarazioni rese da terzi nel corso della procedura di accertamento sono utilizzabili nel contenzioso tributario, pur caratterizzato dal divieto di prova testimoniale, quali indizi a supporto della pretesa dell’ufficio (C. cost. sent. n. 18/2000; Cass. nn. 9402/2007, 14774/2000); e che la presunzione ha valore autonomo di prova della pretesa fiscale, senza necessità di riscontri documentali, se fondata, con criterio probabilistico e non di assoluta necessità (Cass. nn. 16993/2007, 13546/2006, 12802/2006 ed altre), su indizi che, valutati singolarmente e nel complesso delle acquisizioni processuali (Cass. nn. 3390/2005, 16831/2003, 15399/2002 ed altre), siano ritenuti dal giudice di merito gravi, precisi e concordanti, con giudizio non suscettibile di riesame in sede di legittimità se congruamente motivato. Tale presunzione sposta sul contribuente l’onere della prova contraria (Cass. nn. 9203/2008,1575/2007)”;

  • sentenza n. 14290 del 19 giugno 2009 (ud. del 4 marzo 2009), ove la Corte di Cassazione ha affermato che il divieto relativo all’acquisizione della prova testimoniale nel processo tributario, di cui all’art. 7, del D.Lgs. n. 546/1992, trova fondamento nell’esigenza di celerità e speditezza del rito. Tuttavia, le dichiarazioni rese da terzi e raccolte dalla polizia tributaria possono assumere valenza di indizi utilizzabili dal giudice non essendo annoverabili fra le prove testimoniali per difetto dei presupposti di sostanza e di forma. Infatti, “l’esclusione della prova testimoniale è dettata da un’esigenza di speditezza del processo tributario (cfr. Cassazione civile, sez. 1^, n. 12854 del 19 dicembre 1997) e non comporta l’inutilizzabilità delle dichiarazioni di terzi rese ai verbalizzanti, secondo quanto chiarito dalla stessa giurisprudenza richiamata dalla società ricorrente (si veda in particolare Cassazione civile, sezione 5^, n. 19114 del 29 settembre 2005 secondo la quale le dichiarazioni di terzi raccolte dalla Polizia tributaria ed inserite nel processo verbale di constatazione non hanno natura di testimonianza bensì di mere informazioni acquisite nell’ambito di indagini amministrative, sfornite, pertanto, ex se, di efficacia probatoria, con la conseguenza che esse risultano del tutto inidonee, di per sè, a fondare un’affermazione di responsabilità del contribuente in termine di imposta, potendo soltanto (come nella specie) fornire un ulteriore riscontro a quanto già accertato e provato aliunde in sede di procedimento tributario)”. Osserva, quindi, la Corte che “coerentemente a questa giurisprudenza la motivazione della C.T.R. non fonda affatto la decisione su tali dichiarazioni dei terzi ma si limita a rilevare che, contrariamente a quanto affermato nella motivazione della C.T.P., le affermazioni della Guardia di Finanza trovano invece riscontro nella quasi totalità delle dichiarazioni rese dai terzi”;

  • con sentenza n. 28004 del 30 dicembre 2009 (ud. del 10 novembre 2009) la Corte di Cassazione ha affermato che il divieto di ammissione della “prova” testimoniale nel giudizio innanzi alle Commissioni tributarie, sancito dall’art. 7, c. 4, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, si riferisce “alla prova testimoniale quale prova da assumere nel processo con le garanzie del contraddittorio e non implica, pertanto, l’impossibilità di utilizzare, ai fini della decisione, le dichiarazioni che gli organi dell’Amministrazione finanziaria sono autorizzati a richiedere anche ai privati nella fase amministrativa di accertamento anche sul conto di un determinato contribuente (D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, comma 1; D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51)”. Tuttavia, “tali dichiarazioni, proprio perchè assunte in sede extraprocessuale, rilevano quali semplici elementi indiziari, il cui valore può essere sempre contestato dal contribuente nell’esercizio del suo diritto di difesa; conseguentemente, le dichiarazioni di terzi raccolte dalla Polizia tributaria ed inserite nel processo verbale di constatazione non hanno natura di testimonianza (quand’anche siano state, come nella specie, già rese in seno a procedimento penale), bensì di mere informazioni acquisite nell’ambito di indagini amministrative, sfornite, pertanto, ex se, di efficacia probatoria, con la conseguenza che esse risultano del tutto inidonee, di per sé, a fondare un’affermazione di responsabilità del contribuente in termine di imposta, potendo soltanto fornire un eventuale ulteriore riscontro a quanto già accertato e provato aliunde in sede di procedimento tributario (cfr. Cass. n. 3526/2002) od avere un valore probatorio proprio degli elementi indiziari, i quali possono concorrere a formare il convincimento del giudice, ma non sono idonei a costituire, da soli, il fondamento della decisione (Corte Cost. sent. n. 18 del 2000, cfr. anche Cass. nn. 903/2000, 4269/2000)”;

  • con sentenza n. 16229 del 9 luglio 2010 (ud. del 26 maggio 2010), la Corte di Cassazione ha ancora una volta dato valenza alle dichiarazioni dei dipendenti.

 

Brevi riflessioni

La prova testimoniale richiamata dall’art.7 del D.Lgs. n. 546/1992 – ed esclusa – è esclusivamente quella che si forma in sede processuale, restando possibile la formalizzazione di dichiarazioni verbali rese agli organi operanti, le quali pur non essendo prove immediatamente fruibili hanno valenza indiziaria.

Tali dichiarazioni non possono avere natura di prova certa ed inequivoca, ma semmai di mero indizio bisognevole di ulteriori supporti, non potendosi ad esse attribuire il significato e la portata della prova testimoniale, atteso che, a differenza di quest’ultima, non sono assunte con le garanzie e le modalità rigidamente previste nel codice di procedura civile.

Siamo in presenza, quindi, di elementi indiziari, che possono concorrere a formare il convincimento del giudice, ma non sono, da soli, idonei a fondare la decisione, se non supportate da riscontri oggettivi.

Pur con diversi tentennamenti giurisprudenziali della stessa Corte di Cassazione, anche al contribuente è data la possibilità di utilizzare in suo favore eventuali dichiarazioni a lui rese da terzi al di fuori del giudizio, nell’ottica di attuazione dei principi del “giusto processo“.

Naturalmente anche per il contribuente le dichiarazioni in questione non potranno avere pieno valore probatorio, ma solo il valore di “elementi“, che non possono costituire da soli il fondamento della decisione.

Il valore probatorio delle verbalizzazioni è quindi rimesso al libero apprezzamento del giudice.

La sentenza che si annota, rivendica, ancora una volta, il valore delle dichiarazioni di terzi, in questo caso, delle risposte fornite dai clienti del soggetto sottoposto al controllo all’ufficio, e legittima, in maniera piena, il ricorso all’accertamento analitico, con ricostruzione indiretta dei ricavi, anche in presenza di contabilità formalmente regolare.

 

19 novembre 2010

Francesco Buetto