Trasferimento d’azienda e ripercussioni sui lavoratori dipendenti

Nelle operazioni di trasferimento d’azienda, uno degli aspetti più rilevanti è il trasferimento dei dipendenti dell’azienda ceduta: analizziamo le diverse problematiche pratiche che insorgono quando l’azienda ceduta ha in essere contratti di lavoro dipendente. A cura di Patrizia Macrì.

trasferimento d'azienda e ripercussioni sui lavoratoriIn un periodo caratterizzato da una forte crisi economica è facile imbattersi in imprenditori che, seppur a malincuore, decidono di chiudere la propria attività lavorativa.

Tuttavia possono esistere anche alternative all’estinzione completa dell’azienda che possono essere prese in considerazione dall’imprenditore anche per diverse ragioni che possono identificarsi tanto nel tentativo di evitare l’innesco di lunghe procedure quali i licenziamenti collettivi con tutte le conseguenze del caso, quanto il tentativo di preservare il posto di lavoro del dipendente.

In questa ottica, una delle soluzioni a cui l’impresa può far ricorso è il trasferimento dell’azienda nella sua totalità, ovvero di un suo ramo specifico.

Definizione di trasferimento d’azienda

Art. 32, comma 1, D.lgs. 276/2003 – Trasferimento d’azienda:

Si ha trasferimento di azienda a seguito di qualsiasi operazione che comporti il mutamento della titolarità di un’attività economica organizzata con o senza scopo di lucro preesistente al trasferimento e che con il trasferimento stesso conserva la sua identità.

 

Partendo dalla definizione offerta dalla legge possiamo compiere il primo passo per identificare gli elementi che ci consentono di classificare un’operazione come trasferimento di azienda, o anche solo di un suo ramo:

  • Concetto di azienda e imprenditore
  • Mutamento della titolarità dell’azienda

Definizione di azienda

Per quanto concerne il primo punto il codice civile definisce sotto il profilo giuridico l’azienda come il complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa (art. 2555 c.c.) e l’imprenditore come colui che esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi (art. 2082 c.c.).

Conseguentemente si realizza il mutamento della titolarità dell’azienda, elemento imprescindibile per la realizzazione del trasferimento della stessa, ogni qual volta venga posta in essere la
sostituzione del soggetto titolare dei beni destinati all’esercizio dell’impresa.

Tale sostituzione può avvenire a seguito di qualsiasi evento traslativo quale, ad esempio:

  • Vendita
  • Comodato
  • Affitto
  • Usufrutto
  • Incorporazione
  • Fusione
  • Cessione di contratto

 

N.B. Conditio sine qua non per la realizzazione del trasferimento dell’azienda è che tra il cessionario e il cedente sussista un vincolo di derivazione giuridica mentre non è necessario che il trasferimento avvenga attraverso un unico atto di cessione, ben potendo la successione nella titolarità del complesso dei beni aziendali essere realizzata attraverso una pluralità di negozi traslativi.

Effetti del trasferimento d’azienda sul personale dipendente

L’ordinamento giuridico tratta il tema del trasferimento d’azienda soprattutto in riferimento alla tutela dei lavoratori dipendenti identificata essenzialmente nel garantire al lavoratore la continuità del rapporto di lavoro alle dipendenze del cessionario.

L’art. 2112 del c.c. tutela “il posto di lavoro” dei lavoratori dipendenti prevedendo che in caso di trasferimento d’azienda il rapporto di lavoro continua con il cessionario e il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano.

N.B. Secondo quanto confermato anche dalla Suprema Corte il passaggio dei lavoratori alle dipendenze del cessionario si produce automaticamente, senza necessità che i lavoratori manifestino il loro consenso (Cass. 30 luglio 2004, n. 14670), per effetto della disposizione di cui al primo comma dell’art. 2112 c.c. e quale che sia lo strumento tecnico giuridico attraverso il quale viene realizzato il trasferimento.

Ovviamente il passaggio diretto alle dipendenze del cessionario comporta che il rapporto di lavoro sia in corso all’atto del trasferimento non potendo, pertanto,
applicarsi a rapporti che siano stati già legittimamente risolti.

Tuttavia, nel caso in cui la cessazione di un rapporto di lavoro venga dichiarata illegittima in un momento successivo al trasferimento d’azienda, tale sentenza sarà opponibile al
cessionario, dal momento che subentrando nella medesima situazione giuridica del cedente, egli non potrà sottrarsi agli effetti derivanti dalla sentenza dichiarativa della nullità del licenziamento intimato dal datore di lavoro cedente prima del trasferimento.

Secondo quanto stabilito dall’ordinamento giuridico e avallato anche dalla giurisprudenza, al lavoratore che non voglia passare automaticamente alle dipendenze della nuova azienda resta come unica possibilità rassegnare le dimissioni ponendo definitivamente fine al rapporto di lavoro.

Sono considerate, infatti, nulle le pattuizioni che, in deroga alla normativa generale, prevedessero che una quota parte di lavoratori non sia interessata al trasferimento alle dipendenze del cessionario.

 

Trasferimento lavoratore e conservazione diritti

trasferimento d'azienda ed effetti sui dipendentiQuello della continuità del rapporto lavorativo non è però l’unico aspetto di cui il legislatore si è occupato in quanto, come detto, viene garantita la conservazione di tutti i diritti derivanti dal rapporto di lavoro in essere prima del trasferimento.

Uno degli aspetti più importanti di tale precisazione riguarda “l’anzianità” maturata dal lavoratore.

Includendo la clausola secondo cui il lavoratore mantiene inalterati tutti i diritti derivanti dal pregresso rapporto di lavoro, infatti, il legislatore vuole
impedire che attraverso una fittizia e fraudolenta risoluzione del rapporto seguita dalla riassunzione alle dipendenze del cessionario possa violarsi il diritto alla in frazionabilità della anzianità, con conseguenze negative non solo sul piano del trattamento di fine rapporto, ma anche sulla determinazione della anzianità necessaria per l’accesso ai cosiddetti “ammortizzatori sociali” in caso di crisi aziendale (Cass. 2 ottobre 1998, n. 9806).

Un altro aspetto della conservazione dei diritti acquisiti con il pregresso rapporto di lavoro riguarda anche l’applicazione dei c.c.n.l. nei trasferimenti. Secondo quanto stabilito dal comma 3 dell’art. 2112 c.c. il cessionario è tenuto ad applicare i trattamenti economici e normativi previsti dai contratti collettivi nazionali, territoriali ed aziendali vigenti alla data del trasferimento fino alla loro scadenza, salvo che siano sostituiti da altri contratti
collettivi applicabili all’impresa del cessionario.

L’effetto di sostituzione può però essere validamente applicato esclusivamente nei confronti di contratti del medesimo livello cosa che comporta non poca incertezza nel caso in cui, ad
esempio, il cedente applichi contratti aziendali e il cessionario contratti nazionali.

In questo caso infatti al lavoratore dovrebbe continuare ad essere applicato il contratto aziendale in vigore con il precedente rapporto lavorativo e non il contratto nazionale applicato dal cessionario anche nel caso quest’ultimo fosse più vantaggioso.

In questi casi, pertanto molto spesso si rende necessario armonizzare il trattamento economico e normativo dei dipendenti attraverso la predisposizione di nuovi accordi aziendali per la sottoscrizione dei quali, in determinati casi, si può fare ricorso anche ai sindacati.

 

Trasferimento d’azienda e licenziamento nullo

Come ultima tutela posta a garanzia del lavoratore, l’art. 2112 c.c. stabilisce che il  trasferimento d’azienda non può costituire di per sé motivo di licenziamento pertanto il licenziamento intimato in correlazione con il trasferimento di azienda sarà considerato nullo.

Il cedente ed il cessionario potranno recedere dal contratto di lavoro esclusivamente nei casi in cui ricorrano una giusta causa o un giustificato motivo così come previsto in materia di licenziamenti.

Una volta conclusasi la fase del trasferimento di azienda con conseguente passaggio del rapporto lavorativo alle dipendenze del cessionario, l’ordinamento ha previsto un’ultima norma a tutela del lavoratore che si concretizza nella possibilità, per il lavoratore che abbia visto subire una sostanziale modifica in peius delle condizioni lavorative nei tre mesi successivi al trasferimento, di rassegnare le proprie dimissioni immediate per giusta causa, venendo pertanto tutelato almeno l’accesso agli ammortizzatori sociali a sostegno del reddito che gli sarebbero preclusi nel caso di semplici dimissioni, nonché il diritto a conseguire l’indennità di mancato preavviso.

 

Trasferimento d’azienda e responsabilità solidale

La tutela dei lavoratori prevista dall’ordinamento giuridico non si esaurisce, però, nella previsione del mantenimento del posto di lavoro e dei diritti acquisiti, ma viene ulteriormente rafforzata con l’introduzione della c.d. responsabilità solidale del cedente e del cessionario riguardo ai crediti che il lavoratore aveva maturato nei confronti dell’originario datore di lavoro prima del trasferimento dell’azienda. In altre parole il lavoratore che vantava dei crediti nei confronti del cedente ha la possibilità di ottenere il pagamento di detti crediti, nella loro totalità, rivolgendosi indifferentemente all’uno o all’altro soggetto secondo valutazioni proprie, come ad esempio, rivolgersi ad un soggetto piuttosto che all’altro perché risulta maggiormente solvibile rispetto all’altro.

N.B. La responsabilità solidale introdotta dal legislatore è una tutela piuttosto forte, in quanto opera anche nel caso in cui il cessionario non sia a conoscenza dell’esistenza dei crediti del lavoratore.

In merito alla garanzia della responsabilità solidale poi, la dottrina non è di parere univoco in riferimento alla possibilità che tale tutela possa essere estesa anche ai crediti relativi a rapporti di lavoro cessati prima del trasferimento, ovvero sia circoscritta unicamente ai crediti relativi ai soli rapporti di lavoro vigenti alla data del trasferimento. Al riguardo, infatti, la giurisprudenza di legittimità e quella di merito oscillano tra la tesi che la responsabilità del cessionario si estenderebbe esclusivamente ai crediti relativi a rapporti di lavoro vigenti alla data del trasferimento (Trib. Milano 10 giugno 1998) e quella secondo la quale per i crediti relativi a rapporti esauriti anteriormente al trasferimento, troverebbe applicazione l’art. 2560 c.c. (responsabilità per i debiti dell’azienda ceduta risultanti dai libri contabili: Cass. 19 dicembre 1997, n. 12899).

Tuttavia è bene precisare che la responsabilità per debiti altrui ha carattere eccezionale e l’art. 2560 del codice civile parla espressamente di cessione d’azienda lasciando, pertanto, fuori dall’applicazione del menzionato articolo altre forme di trasferimento d’azienda.

Tale interpretazione è avvallata dal ragionamento secondo cui nella cessione d’azienda la responsabilità solidale dell’acquirente è giustificata dal fatto che, l’alienante, ovvero il debitore originario, ha diminuito la propria capacità patrimoniale a seguito della cessione stessa, ma lo stesso non può dirsi nel caso di affitto di azienda in quanto i beni rimangono nella disponibilità del debitore originario.

N.B. Il cessionario può essere liberato dalle obbligazioni derivanti dal pregresso rapporto di lavoro dal lavoratore che si avvalga delle procedure conciliative previste dagli articoli 410 e 411 c.p.c. (conciliazione delle controversie di lavoro).

 In tema di responsabilità solidale è interessante menzionare anche una sentenza della Corte di Cassazione (n. 8179/2001) che ha elaborato un importante principio secondo il quale, in caso di trasferimento di azienda, i debiti contratti dall’alienante nei confronti degli istituti previdenziali per l’omesso versamento dei contributi obbligatori, esistenti al momento del trasferimento, costituiscono debiti inerenti all’esercizio dell’azienda e restano soggetti alla disciplina dettata dall’art. 2560 c.c., senza che possa operare l’automatica estensione di responsabilità all’acquirente ex art. 2112, 2° comma, c.c., sia perché la solidarietà è limitata ai soli crediti di lavoro del dipendente e non è estesa ai crediti di terzi, quali devono ritenersi gli enti previdenziali, sia perché il lavoratore non ha diritti di credito verso il datore di lavoro per l’omesso versamento dei contributi obbligatori, restando estraneo al c.d. rapporto contributivo, che intercorre fra l’ente previdenziale e il datore di lavoro. Il credito dell’Istituto per l’omissione contributiva, infatti, non rappresentando un credito del lavoratore, pur derivando dal rapporto di lavoro ed anche se il lavoratore ne è direttamente interessato, rientra nella previsione generale dell’art. 2560 del codice civile (debiti relativi all’azienda ceduta).

Pertanto affinché il cessionario possa essere considerato debitore in solido con il cedente devono essere rispettate le condizioni dettate dall’art. 2560 c.c., ossia il debito deve risultare dai libri contabili obbligatori non rilevando la risultanza dei soli libri paga e matricola in quanto non rientranti in quelli menzionati dall’art. 2214 c.c. “Libri contabili e altre scritture contabili”.

 

Trasferimento d’azienda con oltre 15 dipendenti

Nel caso in cui il trasferimento di azienda interessi imprese con più di 15 dipendenti, la legge prevede una speciale procedura nell’ambito della quale sono coinvolte anche le organizzazioni sindacali dei lavoratori. In questa ipotesi infatti, il cedente e il cessionario sono obbligati a dare comunicazione della cessione alle rappresentanze sindacali aziendali delle unità produttive interessate al trasferimento ed ai sindacati di categoria che hanno stipulato il contratto collettivo applicato dall’azienda. Detta comunicazione deve essere fatta pervenire ai soggetti interessati 25 giorni prima che si perfezioni l’atto di cessione.

N.B. Qualora non vi siano rappresentanze sindacali aziendali la comunicazione dovrà essere fatta alle organizzazioni sindacali più rappresentative.

La comunicazione deve contenere:

  • la data del trasferimento ovvero la data proposta per il trasferimento;
  • i motivi del trasferimento;
  • le conseguenze giuridiche, economiche e sociali che il trasferimento produrrà sui lavoratori;
  • le eventuali misure previste in favore dei lavoratori stessi.

 

Fornire queste informazioni alle organizzazioni sindacali consente alle stesse di chiedere entro i sette giorni successivi l’avvio di un esame congiunto al cedente ed al cessionario. Il legislatore ha stabilito che detto esame congiunto debba avvenire entro i sette giorni successivi, ossia entro un brevissimo lasso di tempo, per non creare, con eccessiva burocrazia, ostacoli all’iniziativa economica garantendo, però, nello stesso tempo che tanto la conservazione del posto di lavoro quanto le condizioni giuridiche ed economiche dei lavoratori interessati, possano trovare spazio nella procedura ed essere tutelate tramite la consultazione degli organismi sindacali. Pertanto, mentre la normativa stabilisce che il cedente e il cessionario hanno l’obbligo di avviare la procedura di esame congiunto, frattanto, decorsi dieci giorni dal suo inizio senza che sia stato raggiunto alcun accordo, la procedura di consultazione si intende in ogni caso assolta.

Tuttavia anche nel caso in cui vengano violati gli obblighi di consultazione ciò non influisce sulla validità dell’evento traslativo.

E’ infatti opinione della Corte di Cassazione che l’osservanza delle procedure sindacali non costituisca un presupposto di legittimità e quindi non viene considerato un requisito di validità del trasferimento (Cassazione n. 23/2000). Dello stesso parere il Tribunale di Roma secondo il quale la violazione dell’obbligo di informativa alle OO.SS. non determina la nullità del contratto di cessione, ma solo la sua temporanea inefficacia per il tempo necessario al rinnovo della procedura.

Ed ancora, in caso di trasferimento di ramo d’azienda, l’accertata antisindacalità della condotta non comporta la nullità della cessione né la sua inefficacia e l’ordine del giudice non può contenere la rimozione degli effetti della condotta antisindacale, atteso che tale conclusione contrasterebbe con la lettera e la ratio dell’art. 28 dello Statuto, il quale dispone che il riconoscimento dell’antisindacalità della condotta debba essere seguito dall’ordine di rimozione degli effetti, demandando così ai destinatari l’esecuzione di tale ordine e prendendo a loro carico la responsabilità penale ai sensi dell’art. 650 c.p. in caso di mancata esecuzione.

Il giudice, quindi, prima che la cessione sia diventata definitiva può soltanto ordinare alle parti, cedente e cessionario, di effettuare l’informativa omessa, ed eventualmente di dare luogo alla consultazione con le organizzazioni sindacali con conseguente slittamento temporale del trasferimento d’azienda. Tuttavia dobbiamo dare voce anche ad un orientamento minoritario di merito che ravvisa nella procedura ex art. 47 della legge n. 428 del 1990 un requisito di validità del trasferimento, la cui violazione darebbe luogo alla nullità del trasferimento medesimo.

 

Conseguenze del trasferimento d’azienda: sintesi

  1. Continuazione del rapporto di lavoro con il cessionario
  2. Conservazione di tutti i diritti acquisiti dal lavoratore
  3. Obbligo solidale tra cedente e cessionario dei crediti del lavoratore all’atto del trasferimento
  4. Possibile liberazione dell’alienante dalle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro con il tentativo obbligatorio di conciliazione (art. 410 e 411 p.c.)
  5. Obbligo del cessionario di applicare i trattamenti economici e normativi vigenti alla data di trasferimento e fino alla loro scadenza, salvo la sostituzione con altri applicati dall’impresa del cessionario
  6. Obbligo di informazione dei lavoratori e delle organizzazioni sindacali
  7. Il trasferimento non costituisce motivo di licenziamento, ferma restando la facoltà dell’alienante di esercitare il recesso ai sensi della normativa in materia di licenziamenti
  8. Se le condizioni di lavoro subiscono una modifica sostanziale e peggiorativa nei tre mesi successivi al trasferimento, il lavoratore può presentare dimissioni per giusta causa ai sensi dell’art. 2119 del codice civile.

 

Obbligo versamenti al fondo tesoreria

In caso di trasferimento d’azienda, dove l’azienda cedente occupi più di 50 dipendenti con obbligo al versamento contributivo al Fondo di Tesoreria, il cessionario ha l’obbligo di continuare a versare quanto dovuto al Fondo di Tesoreria in riferimento al personale trasferito, anche se la sua azienda non occupa più di 50 dipendenti.

Al contrario, l’azienda sopra tale soglia che acquisisce lavoratori allo stesso titolo, anche se provenienti da azienda non obbligata, estende l’obbligo anche a tali soggetti.

E’ lo stesso istituto previdenziale (Inps) che dopo aver fornito le indicazioni riguardo agli obblighi contributivi del Fondo Tesoreria con la circolare 70/2007, con il successivo messaggio n. 21062/09 detta le linee guida che dovranno porre in essere le aziende a seguito di modifiche nelle titolarità datoriali dei rapporti di lavoro senza che ciò incida sull’integrità dei rapporti stessi, come accade proprio a seguito di operazioni societarie.

L’Inps infatti precisa che, al fine di garantire una linearità nella gestione del TFR dei lavoratori, nel caso di operazione societaria o di cessione di contratto, gli obblighi di versamento al Fondo di Tesoreria rimangono tali anche nelle ipotesi in cui si realizzi un passaggio di personale in precedenza alle dipendenze di datore di lavoro assoggettato all’obbligo contributivo nei riguardi del citato Fondo presso un datore di lavoro non tenuto al versamento del contributo in argomento. In questi casi, quindi, il datore di lavoro cessionario, pur non dovendo applicare le disposizioni di legge relative all’obbligo di versamento nel Fondo Tesoreria, ne diviene destinatario, anche in assenza del requisito occupazionale previsto dalla norma (almeno 50 addetti), in riferimento al solo personale transitato.

L’obbligo di rivalutare le quote annuali di trattamento di fine rapporto, con esclusione di quella maturata nell’anno al 31 dicembre di ogni anno, con l’applicazione di un tasso costituito dall’1,5% in misura fissa e dal 75% dell’aumento dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, accertato dall’ISTAT, rispetto al mese di dicembre dell’anno precedente ricade anche sul TFR versato al Fondo di Tesoreria il cui costo resta però a carico del Fondo di Tesoreria.

In questi casi, la rivalutazione delle quote di TFR sarà effettuata dal datore di lavoro subentrante e dovrà riguardare anche quanto versato alla Tesoreria dall’azienda cedente. Di tali operazioni dovrà poi essere portato a conoscenza l’Istituto tramite il flusso relativo al mese di febbraio dell’anno successivo, nell’elemento “Rivalutazione” presente in UNIEMENS. Stesso trattamento si applica agli obblighi di versamento dell’imposta sostitutiva (11%) che, dal 2001, grava sulle rivalutazioni del TFR.

N.B. Nel caso in cui tale trasferimento avvenga a cavallo dell’anno, l’azienda cedente e l’acquirente cureranno gli adempimenti da effettuare, in particolare il versamento all’Erario dell’acconto di novembre e del saldo di febbraio, al fine di evitare possibili duplicazioni

 La posizione dell’Inps, in riferimento all’obbligo di versamento dei contributi al Fondo di Tesoreria per le imprese cessionarie, può essere considerato un punto a sfavore al ricorso a questa tipologia di operazione in quanto l’azienda cessionaria potrebbero trovarsi aggravata di un onere, quello appunto del versamento dei contributi al Fondo, che di per sé non avrebbe, nel caso in cui occupasse meno di 15 dipendenti.

Nella valutazione economica dell’operazione, pertanto, le aziende acquirenti, se sotto soglia, si troveranno a dovere tenere conto se non di un ulteriore costo, in quanto compensato dalle misure previste dall’art 10 del Dlgs 252/2005 come modificato dal comma 764 della legge 296/2006, certamente di uno squilibrio finanziario dovuto all’esborso mensile delle quote di TFR riferito ai dipendenti provenienti da realtà aziendali obbligate al versamento.

Liquidazione del TFR

In caso di trasferimento d’azienda, il cessionario eredita anche l’obbligo di liquidare il trattamento di fine rapporto dei dipendenti trasferiti. Per cui, alla cessazione del rapporto di lavoro il datore subentrante liquiderà al lavoratore, dopo averlo rivalutato, tutto il TFR e cioè:

  • quello trasferitogli dall’azienda cedente;
  • quello versato al Fondo di Tesoreria dall’azienda cedente;
  • quello dallo stesso versato al Fondo Tesoreria

Una volta liquidato il trattamento di fine rapporto, il datore di lavoro cessionario, provvederà a recuperare dalla Tesoreria le quote globalmente versate per i lavoratori cessati, conguagliandole con i contributi dovuti.

N.B. In casi di incapienza mensile resta ferma la possibilità di richiedere l’intervento diretto del Fondo di Tesoreria da parte del cessionario.

Anche la Cassazione si è trovata a dover precisare che in caso di trasferimento di azienda e prosecuzione del rapporto di lavoro, unico debitore del TFR deve essere considerato, anche per il periodo precedente al trasferimento, il datore di lavoro al momento della risoluzione del rapporto di lavoro.

Nonostante questo però, molti Tribunali civili hanno esteso al TFR il principio di solidarietà tra cedente e cessionario sancito dall’art 2112 c.c. Le due tesi infatti trovano fondamento nel diverso modo di individuare l’insorgenza del diritto.

Nell’ipotesi, infatti, che si accetti la tesi secondo la quale il TFR è un diritto che nasce al momento della cessazione del rapporto di lavoro, in quanto il lavoratore prima di tale momento si trova in una condizione di aspettativa, è ovvio che debba essere il datore di lavoro acquirente (cessionario) a risponderne in quanto il diritto al TFR si perfeziona a trasferimento già verificato.

Nel caso invece si preferisca aderire all’altra tesi, secondo la quale il TFR sorge con la costituzione del rapporto di lavoro, matura con lo svolgimento e diventa esigibile con la cessazione del rapporto stesso, il lavoratore in caso di trasferimento di azienda sarà garantito, per la quota di TFR maturata nel periodo precedente la data del trasferimento, dalla responsabilità solidale dell’alienante e dell’acquirente.

Il datore di lavoro che subentra nel rapporto di lavoro con il lavoratore trasferito, dovrà porre una particolare attenzione al momento della compilazione del flusso UNIEMENS. Il lavoratore trasferito dovrà infatti essere identificato nell’elemento Assunzione con il codice tipo assunzione 2T, avente il significato di

“Assunzione in carico di lavoratori a seguito di trasferimento d’azienda o di ramo di essa, a seguito di cessione individuale di contratto da parte di un’altra azienda ovvero di passaggio diretto nell’ambito di gruppo d’imprese che comportano comunque il cambio di soggetto giuridico”.

Dovrà poi essere valorizzato l’elemento Matricola-Provenienza, con l’indicazione della posizione contributiva INPS presso la quale il lavoratore era precedentemente in carico. Allo stesso tempo anche il datore di lavoro cedente, dovrà aver cura di comunicare la cessazione del rapporto di lavoro con il dipendente trasferito all’Inps, indicando il lavoratore in questione nel modello UNIEMENS nell’elemento Cessazione, con il medesimo codice tipo cessazione 2T, senza, però, la valorizzazione dell’elemento Matricola-Provenienza.

Il parere del legale sul trasferimento di azienda

In questi ultimi anni, il ricorso al trasferimento di azienda, mediante cessione dell’intera impresa o anche di un suo solo ramo si è fatto sempre più stringente allo scopo di “superare la crisi” creando realtà diverse dalla compagine originaria che possano in qualche modo sopravvivere meglio dell’azienda che si intende chiudere o modificare. Allo stesso tempo, però, aumentano le proteste e le resistenze del personale dipendente di queste aziende che non vedono di buon grado questo tipo di operazioni societarie.

Alla luce di quanto detto fin ora e dopo attento esame della normativa posta a tutela dei diritti dei lavoratori ci sarebbe da chiedersi perché tanta ostilità nei confronti di una normalissima operazione societaria che nulla dovrebbe aver a che fare con il destino dei lavoratori, dal momento che nulla dovrebbe toccarli.

A ben guardare, l’art. 2112 del c.c. tutela i lavoratori garantendogli la conservazione del posto di lavoro mediante il passaggio automatico dei prestatori di lavoro da un titolare di azienda ad un altro.

La ratio alla base di tale norma e’ che i lavoratori devono restare assolutamente neutri ed indifferenti al mutamento nella titolarità dell’azienda, mantenendo assolutamente inalterata la propria posizione lavorativa.

Le tutele previste dall’art. 2112 c.c. sono, perciò, in sintesi:

  • continuità del rapporto che prosegue, senza interruzione alcuna, con il cessionario d’azienda,
  • conservazione di tutti i diritti già maturati presso il cedente (compresa l’anzianità di servizio, gli accantonamenti di T.F.R. etc.).

In aggiunta a tutto ciò è prevista anche la responsabilità solidale del cedente e del cessionario d’azienda per i crediti che il lavoratore vantava nei confronti del cedente al tempo del trasferimento. Esaminando pertanto esclusivamente la norma e le tutele offerte dal legislatore ai lavoratori dipendenti sembrerebbe che un’operazione del genere non possa assolutamente creare problemi al personale e che, al contrario, in alcuni casi possano avere addirittura il vantaggio di una doppia garanzia data dalla responsabilità solidale.

Purtroppo però nel mondo reale le cose non sempre stanno così, e come per tutte le cose, ci può essere il rovescio della medaglia.

Sempre più spesso, infatti, in ossequio al capitalismo più sfrenato, la motivazione che sta alla base di un trasferimento d’azienda ma ancor più di un solo ramo della stessa è la volontà di liberarsi di un gruppo di lavoratori considerati eccedenti, senza ricorrere alla procedura dei licenziamenti collettivi, più lunga, onerosa e con un penetrante coinvolgimento sindacale. In tale ottica gli stessi soggetti titolari dell’attività da cedere costituiscono una società nuova, c.d. new.co., ad hoc in vista del trasferimento del ramo d’azienda, società magari molto meno solida dal punto di vista economico patrimoniale e finanziario.

Si procede poi alla identificazione in concreto della parte d’azienda da trasferire, che ai sensi del comma 5 dell’art. 2112 c.c. deve essere intesa come articolazione funzionalmente autonoma di una attività economica organizzata (ossia potenzialmente in grado di stare da sola sul mercato), ma, contrariamente che in passato, può essere identificata come tale al momento del trasferimento. Quindi, cedente e cessionario raggruppano un certo numero di lavoratori da inserire all’interno della parte d’azienda da cedere, e la trasferiscono al nuovo soggetto cessionario.

Per il vecchio datore di lavoro, problema risolto. Il nuovo soggetto poi, 9 volte su 10 e’ più precario dal punto di vista economico-patrimoniale, con scarsa o nulla capacità di stare sul mercato, con le conseguenze facilmente intuibili per le condizioni dei lavoratori trasferiti.

In tale ipotesi l’unica magra tutela offerta al lavoratore che non voglia passare con il nuovo soggetto, oltre alla responsabilità solidale di cui sopra, e’ la facoltà di rassegnare le proprie dimissioni per giusta causa, qualora le condizioni di lavoro subiscano una sostanziale modifica nei 3 mesi successivi al trasferimento (art. 2112, comma 4, c.c.). Troppo poco e a giochi ampiamente fatti, considerato che l’opzione lasciata al lavoratore e’ perdere il solo posto di lavoro che a quel punto ha, ossia quello con il cessionario.

Per i dipendenti non è possibile “opporsi” al trasferimento che avviene in automatico senza bisogno del consenso degli stessi.

Se poi tutta l’operazione puzza di truffa ai danni dei lavoratori, si può invocare la nullità del contratto di trasferimento di ramo d’azienda per frode alla legge ai sensi dell’art. 1344 c.c.. Questa azione e’ soggetta al termine decadenziale di impugnazione di gg 60 decorrente dalla data del trasferimento (art. 32, c. 4, lett. c, l. n. 183 del 2010).

 

Patrizia Macrì

30 Dicembre 2013

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