Accessi brevi da studi di settore: riscontri sui beni strumentali ad utilità pluriennale, contestazioni possibili e strategie difensive

durante la stagione estiva si sono verificati numerosi casi di controlli dell’Agenzia per verificare la correttezza dei dati indicati negli studi di settore: ecco come comportarsi quando tali accessi rilevano contestazioni

      1. Premessa

Nei mesi recenti, e a volte ancora nelle ultime settimane, gli uffici periferici dell’Agenzia delle Entrate si sono affannati (e noi ancor più di loro!) per portare a termine i cosiddetti accessi brevi, tesi essenzialmente alla verifica dei dati dichiarati per gli studi di settore, con specifico riferimento al periodo d’imposta 2011. Vediamo di comprenderne i riflessi e le implicazioni per i contribuenti interessati, soffermandoci poi in particolare sulla problematica del riscontro della sussistenza di beni ad utilità pluriennale. Talvolta tali beni sono stati acquisiti anche da oltre un decennio, con la conseguenza che il contribuente sottoposto a verifica potrebbe non averne conservato le documentazioni attestanti l’acquisto.

      1. Esclusioni dagli studi di settore ex-lege: riferimenti normativi

Gli studi di settore, come noto, costituiscono una stima dei ricavi prodotti dalle attività di impresa e lavoro autonomo, calcolati sulla base di quanto dichiarato dai contribuenti negli appositi modelli di raccolta dati, in sede di dichiarazione annuale dei redditi. La loro introduzione è avvenuta a norma dell’articolo 62-sexies del decreto legge n. 331 del 30 agosto 1993, e ha generato una sorta di “telecamera” che in maniera automatica1, partendo dai dati comunicati dal contribuente, fotografa la situazione dell’interessato, senza alcun intervento diretto dei verificatori : quindi una soluzione apparentemente “comoda” per gli uffici.

Ad oggi la quasi totalità dei contribuenti vi è sottoposta, tranne rare eccezioni… Esistono infatti cause di esclusione, normativamente disciplinate dall’articolo 10, 4° comma, della legge n. 146/19982.

Lo stesso articolo 10 disciplina le “modalità di utilizzazione degli studi di settore in sede di accertamento”. Il primo comma afferma testuaomente: “gli accertamenti basati sugli studi di settore … sono effettuati nei confronti dei contribuenti … qualora l’ammontare dei ricavi o compensi dichiarati risulta inferiore all’ammontare dei ricavi o compensi determinabili sulla base degli studi stessi”. Il comma 4, invece, delinea le esclusioni dall’applicazione degli studi di settore, affermando che “la disposizione del comma 1 del presente articolo non si applica nei confronti dei contribuenti :

a) che hanno dichiarato ricavi … o compensi…, di ammontare superiore al limite ….” di 5.164.569,00 euro ;

b) che hanno iniziato o cessato l’attività nel periodo d’imposta…”.

Quest’ultima ipotesi non trova applicazione, qualora lo stesso soggetto che ha cessato, riprenda l’attività entro sei mesi dalla cessazione, ovvero laddove la nuova attività esercitata sia soltanto una mera prosecuzione di quanto già svolto da altri soggetti.

c) Che si trovano in un periodo di non normale svolgimento dell’attività”.

Esistono poi altre ipotesi di esclusione, previste dalle istruzioni ministeriali, delle quali le principali sono le seguenti:

  • la modifica in corso d’anno dell’attività esercitata, causa che si verifica soltanto ove la nuova attività rientri in uno studio diverso da quello inerente l’attività svolta precedentemente;

  • il caso di soggetti in liquidazione ordinaria, peraltro rientrante in quello del “non normale svolgimento svolgimento dell’attività”, dove entrambe le “frazioni” del periodo d’imposta interessato dalla messa in liquidazione sono da escludere dagli studi di settore (il cui quadro andrà compilato a soli fini statistici);

  • soggetti che determinano il reddito con criteri forfettari (associazioni con attività commerciale che abbiano optato per il regime di cui alla legge n. 398/91, agriturismi e allevamenti);

  • soggetti che rientrino nel regime fiscale di vantaggio per l’imprenditoria giovanile: i cosiddetti minimi.

  1. Il periodo di non normale svolgimento dell’attività

Quest’ultima ipotesi, non essendo rigidamente delimitata, trova nelle istruzioni ministeriali soltanto delle ipotesi esemplificative, non certamente esaustive di ogni fattispecie potenzialmente ammissibile in questa casistica di esclusione:

  • interruzione dell’attività per l’intera annualità, a causa di lavori di ristrutturazione che hanno interessato tutti i locali utilizzati per lo svolgimento dell’attività;

  • affitto dell’unica azienda esercitata ;

  • sospensione dell’attività, a fini amministrativi3, se ne è stata data regolare comunicazione alla camera di commercio;

  • interruzione dell’attività per la maggior parte dell’anno, per motivi disciplinari, con riferimento ad esercenti arti e professioni;

  • altre cause, quali l’assenza protrattasi a lungo nel corso dell’esercizio a causa di malattia, infortunio, gravidanza, del titolare, o di un socio gerente l’attività d’impresa, sono invece da valutarsi di volta in volta, a seconda dell’incidenza che possano avere sul proseguimento della vita economica dell’impresa (individuale o societaria, riferendosi ad imprese di modeste dimensioni, scarsamente strutturate…).

Non sempre è facile rientrare nelle pretese del software GERICO, che dai dati dichiarati fa scaturire automaticamente delle risultanze aprioristiche: per tale ragione, a volte, il contribuente in difficoltà può essere “indotto in tentazione”, e voler forzare la realtà, dichiarando di trovarsi in un periodo di “non normale svolgimento dell’attività”. Si tratta della sola ipotesi di esclusione che definirei, almeno teoricamente, “a maglie larghe”. La “tentazione”, come è ovvio, aumenta a dismisura quando i morsi della crisi economica si fanno sentire con particolare brutalità, come di questi tempi accade purtroppo frequentemente.

  1. Le finalità sottese agli accessi brevi

Gli accessi brevi che gli uffici svolgono in materia di studi di settore, possono avere sostanzialmente due scopi fondamentali:

  • la verifica della veridicità di quanto dichiarato dal contribuente in sede di compilazione dei dati di riferimento dello studio di settore che lo interessa, onde controllare che l’eventuale congruità dichiarata, non sia frutto di “aggiustamenti mirati” da parte dell’interessato;

  • la verifica dell’effettiva spettanza di cause di esclusione eventualmente dichiarate dal contribuente;

  • controlli connessi al fatto che la congruità e coerenza rispetto agli studi innesca il regime premiale introdotto dall’articolo 10 del decreto legge 201/2011: regime che trova come primo anno di applicazione, proprio il 2011, periodo d’imposta sul quale si stanno concentrando i controlli riferiti agli accessi in corso o da poco conclusi . I controlli sono quindi volti al controllo dell’effettiva spettanza dei benefici riconducibili al suddetto regime premiale, o meno, in capo al soggetto sottoposto a verifica.

Circa il primo aspetto, si evidenzia che l’indicazione di dati erronei, con ciò intendendo, tali da incidere sulla congruità e coerenza del soggetto, oltre ad incorrere in provvedimenti sanzionatori, produce l’ancor più grave conseguenza di legittimare l’accertamento su base induttiva, basato su presunzioni semplici, anche se non gravi, precise e concordanti.

Soffermandosi poi sul regime premiale di cui si è appena accennato, vediamo in cosa consista esattamente . I contribuenti che si trovino ad essere congrui e coerenti con le risultanze del software Gerico, trovano alcuni vantaggi, in materia di accertamento. In particolare, nei loro confronti:

  • sono preclusi gli accertamenti fondati su presunzioni semplici, quali tipicamente l’accertamento induttivo ex articolo 39 del d.p.r. n. 600/73, ma anche quelli fondati sul solo automatismo degli studi settore4 e dei parametri;

  • ai fini dell’accertamento da redditometro, per poterlo validamente innescare, lo scostamento tra il reddito accertabile e quello dichiarato, deve essere non inferiore a un terzo (anzichè a un quinto, come normalmente è previsto dalla normativa in materia);

  • è ridotto di un anno il termine di decadenza opposto all’azione diaccertamento, previsto dall’articolo 43 del d.p.r. n. 600/73.

Di conseguenza, l’Amministrazione finanziaria ha un anno in meno per effettuare i controlli rispetto a quanto ordinariamente previsto dalla norma appena richiamata. Gli uffici potranno, quindi, procedere alle verifiche delle posizioni dei contribuenti in esame, soltanto entro il terzo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione.

Oltre alle due finalità principali esaminate poc’anzi, gli accessi brevi hanno solitamente lo scopo di verificare

  • l’eventuale presenza di lavoratori in nero;

  • e l’effettiva sussistenza nei locali di esercizio dell’attività, dei beni strumentali iscritti in contabilità.

Può infatti accadere che, ad esempio, dai libri cespiti non risulti la presenza di beni, che pure partecipano alla formazione del risultato economico, per tramite del processo di ammortamento.

  1. Un rischio connesso all’accesso breve : immobilizzazioni materiali non più rappresentate a libro cespiti : linee difensive

Qualora in sede di accesso breve, i Funzionari rilevino l’assenza dal Libro cespiti ammortizzabili in uso, di un’immobilizzazione materiale avente vita pluriennale5, e con quote di ammortamento che abbiano partecipato alla formazione del risultato economico, come difendersi dalle contestazioni che immancabilmente ne deriverebbero? I presupposti normativi da tenere in considerazione sono i seguenti:

  • l’articolo 2220 del codice civile ;

  • l’articolo 8, comma 5, della legge n. 212/2000 .

  • l’articolo 22 del d.p.r. n. 600/73

La norma civilistica di riferimento fissa un termine decennale di conservazione, oltre il quale parrebbe essere superato ogni obbligo in tal senso; la stessa recita testualmente: “Le scritture devono essere conservate per dieci anni dalla data dell’ultima registrazione. Per lo stesso periodo devono conservarsi le fatture,le lettere, e i telegrammi ricevuti e le copie delle fatture, delle lettere e dei telegrammi spediti”.

La seconda norma richiamata, meglio nota come “Statuto dei diritti del contribuente”, all’articolo 8, comma 5, recita testualmente: “L’obbligo di conservazione di atti e documenti, stabilito a soli effetti tributari, non può eccedere il termine di dieci anni dalla loro emanazione o dalla loro formazione”.

Quest’ultima disposizione parrebbe quindi confermare il disposto civilistico che abbiamo avuto modo di esaminare poc’anzi, ribadendo il limite decennale come quello massimo, oltre il quale nessun obbligo di conservazione può essere imposto al contribuente.

Il secondo comma dell’articolo 22 del decreto sull’accertamento in materia di imposte sui redditi, denominato “Tenuta e conservazione delle scritture contabili” come vedremo, offre una lettura diversa, ed estensiva, rispetto a quanto appena esaminato. La disposizione recita testualmente: “Le scritture contabili obbligatorie ai sensi del presente decreto, di altre leggi tributarie, del codice civile o di leggi speciali, devono essere conservate fino a quando non siano definiti gli accertamenti relativi al corrispondente periodo d’imposta, anche oltre il termine stabilito dall’articolo 2220 del codice civile o da altre leggi tributarie”.

Evidentemente quindi, la norma fiscale in esame amplia il periodo temporale a cui va riferito l’obbligo di conservazione documentale in materia contabile ed amministrativa: la misura di tale arco temporale, come è intuibile, potrebbe risultare anche di gran lunga superiore, rispetto al periodo decennale previsto dalla vigente normativa civilistica.

Sarebbe interessante comprendere, quali siano i limiti temporali opponibili ad una tale disposizione! Si potrebbe infatti ragionevolmente obiettare che non si possono certo conservare i documenti obbligatori per un lasso di tempo indefinito. In merito è molto interessante la sentenza emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale di Trento n. 7/2/11 del 13.01.2011, secondo la quale6: “se un costo viene portato in deduzione (anche se in quote di ammortamento), fino a quando su quella deduzione può sorgere contestazione da parte dell’amministrazione … il contribuente è tenuto, nel suo interesse, a conservare la relativa documentazione, senza la quale non potrà provarne l’esistenza e quindi la ragione della deduzione”.

La predetta sentenza di merito, in sostanza, risponde al quesito che ci si era posti in precedenza circa i limiti temporali da opporre al disposto di cui al comma 2 dell’articolo 22 del d.p.r. n. 600/73, evidenziato poc’anzi, secondo cui l’obbligo di conservazione è da estendersi oltre il termine decennale individuato dal disposto civilistico di cui all’articolo 2220 del codice civile. La risposta, di grande interesse operativo, è quella secondo cui permane, in capo al contribuente sottoposto a verifica, l’obbligo di conservare la documentazione probatoria dell’acquisto di un cespite, sino a quando non sarà decaduto il potere di accertamento, con riferimento al periodo d’imposta in cui è stata portata in deduzione l’ultima delle quote di ammortamento ad esso inerenti.

In relazione alla mancata presenza del cespite nel Libro dei beni ammortizzabili, si ritiene opportuno chiedere, in sede di redazione del processo verbale di chiusura delle operazioni, la verbalizzazione della frase, che può apparire di rito, ma che è sempre bene precisare, secondo la quale il contribuente “si riserva di valutare i rilievi e le contestazioni verbalizzate, ed eventualmente di produrre memoria difensiva, ai sensi e nei termini di cui all’articolo 12, 7′ comma, della legge 27 luglio 2000, n. 212” (il cosiddetto Statuto del contribuente). Secondo la norma richiamata infatti : “dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare, entro sessanta giorni, osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori”. Procedendo successivamente alla redazione di una memoria difensiva, si potrà precisare che, ai sensi dell’articolo 12 del d.p.r. n°435/2001, i soggetti obbligati alla tenuta delle scritture contabili ex articolo 13, comma 1, del d.p.r. n. 600/73, in materia di accertamento delle imposte sui redditi, “... hanno facoltà di non tenere … il registro dei beni ammortizzabili”. Quanto precede, a condizione che:

a) le registrazioni siano effettuate sul libro giornale e nel termine stabilito per la presentazione della dichiarazione, per il registro dei beni ammortizzabili;

b) su richiesta dell’Amministrazione finanziaria siano forniti, in forma sistematica, gli stessi dati che sarebbe stato necessario annotare nei registri, per i quali ci si avvale della facoltà di cui al presente articolo.

Prosegue poi il comma 2 della predetta disposizione, affermando che “Le annotazioni nei registri contabili di cui all’articolo 2214 del codice civile sono equiparate a tutti gli effetti a quelle previste … nel registro dei beni ammortizzabili”.

Alla luce di quanto precede, si può evidenziare nella memoria difensiva come il cespite risulti comunque correttamente imputato negli altri libri obbligatori (tipicamente libro inventari e libro giornale), offrendo poi un prospetto extra contabile, dal quale si desumano i dati che, ordinariamente, sarebbero stati riportati sul libro dei beni ammortizzabili.

A fronte di tale memoria, un eventuale atto impositivo successivo dovrà riportare una adeguata ed esauriente valutazione di quanto esposto nella stessa: grava infatti sull’Amministrazione un obbligo in tal senso, come affermato da recente giurisprudenza di merito7, che, se disatteso, può condurre alla dichiarazione di nullità dell’atto impositivo emesso.

4 settembre 2014

Giuseppe Pagani

1 In realtà, l’automatismo concerne unicamente lo strumento informatico: l’estensione alle modalità di accertamento era quanto auspicato dall’Amministrazione Finanziaria. I successivi sviluppi giurisprudenziali, cui si farà cenno nel prosieguo, hanno prodotto esiti diversi, almeno parzialmente…

2 Esistono poi altre ipotesi di esclusione, contenute nelle istruzioni ministeriali.

3 Con ciò è da intendersi, a parere di chi scrive, una sospensione dovuta a provvedimenti delle autorità competenti in materia di autorizzazioni all’esercizio dell’attività d’impresa, ad esempio dovute all’impiego di personale in nero, o a reiterate violazioni della disciplina in materia di tutela della salute dei lavoratori, o, ancora, al mancato adeguamento a prescrizioni sanitarie o di sicurezza degli impianti…

4 Sentenze Corte di Cassazione, SS.UU., nn. 26635/2009, 26636/2009, 26637/2009 e 26638/2009. L’accertamento da studi di settore dev’essere confortato da precedente contraddittorio con il contribuente mediante il quale la “presunzione semplice” derivante dalle risultanze di GERICO, dovrà essere corroborata da altri elementi, tali da attribuire “gravità, precisione e concordanza” capaci di motivare debitamente l’atto impositivo fa emettere.

5 Magari acquisita in annualità piuttosto remote, e che si consideravano, a torto o a ragione, ormai prescritte.

6 In merito si veda anche Maurilio Ricciardiello, Beni ammortizzabili : niente cestino per le fatture con più di dieci anni, in Fisco Oggi, del 27.01.2011

7 Commissione Tributaria Regionale Lombardia, sentenza n. 103/45/13 con commento di Gianluca Boccalatte, Nell’atto una valutazione sulle memorie, ne Il sole24ore del 12.08.2013.