Somministrazione di alimenti e bevande ai dipendenti: trattamento fiscale

Trattamento fiscale della somministrazione di alimenti ai dipendenti.

trattamento fiscale della mensa aziendale e delle somministrazioni pasti ai dipendentiIl comma 1 dell’art. 51 del D.P.R. 917/86 conferma espressamente che costituiscono reddito di lavoro dipendente tutte le somme e i valori che il dipendente percepisce nel periodo d’imposta, a qualunque titolo, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro, e quindi, tutti quelli che siano in qualunque modo riconducibili al rapporto di lavoro, anche se non provenienti direttamente dal datore di lavoro.

Con la lettera c) secondo comma del suddetto articolo è stata razionalizzata la disciplina delle spese per la somministrazione di pasti e bevande ai dipendenti.

In particolare, è stato esteso il trattamento fiscale delle somministrazioni in mense aziendali, gestite direttamente o da terzi.

Per meglio comprendere il regime fiscale applicabile alle somministrazioni di alimenti e bevande erogate ai dipendenti, da parte dei datori di lavoro, è necessario, in primis, procedere alla individuazione delle diverse modalità attraverso le quali le stesse possono essere erogate, sono classificabili in n. 3 tipologie:

  1. gestione diretta di una mensa da parte del datore di lavoro;
  2. prestazioni di servizi sostitutivi di mense aziendali (ticket restaurant);
  3. indennità sostitutive di mensa aziendale.

La classificazione si rende necessaria in considerazione del fatto che a ciascuna tipologia di somministrazione corrisponde, come vedremo, un diverso trattamento tributario.

Preliminarmente va rilevato che:

  • con il termine “somministrazione” si intendono tutte quelle operazioni che consentono la consumazione in loco degli alimenti e bevande;
  • la scelta per un tipo di somministrazione non vada considerata in alcun modo vincolante per il datore di lavoro che può disporre, anche contemporaneamente, in ragione delle proprie esigenze organizzative, di più sistemi di somministrazione, come per esempio “… istituire il servizio di mensa per una categoria di dipendenti, il sistema del ticket restaurant per un’altra categoria e provvedere all’erogazione di una indennità sostitutiva per un’altra ancora, oppure … istituire il servizio mensa e nello stesso tempo corrispondere un’indennità sostitutiva o i ticket restaurant ai dipendenti che per esigenze di servizio non possono usufruire del servizio mensa” (Circolare  23 dicembre 1997, n. 326/E).

 

Inclusione od esclusione delle spese di somministrazione dal reddito di lavoro dipendente

Secondo il dettato normativo non concorrono a formare il reddito di lavoro dipendente le somministrazioni di vitto e le prestazioni e le indennità sostitutive purché ricorrano le condizioni di seguito indicate.

Le somministrazioni di vitto non concorrono a formare il reddito purchè siano poste in essere, alternativamente, da parte del datore di lavoro, in mense organizzate direttamente dal datore di lavoro o, infine, in mense gestite da terzi.

La finalità di questa disposizione è quella di evitare che sia tassato in capo al dipendente un valore che riflette l’interesse dell’azienda a che il lavoratore non si allontani dal luogo di lavoro per consumare il proprio pasto.

Stante il tenore letterale della norma, diversamente da quanto evidenziato in tema di erogazioni liberali e di sussidi occasionali, non sembrerebbe necessario che beneficiaria delle somministrazioni sia la generalità dei dipendenti. Ciò sembrerebbe significare, in altri termini, che le somministrazioni di vitto non concorrono a formare il reddito, purché, beninteso, siano poste in essere secondo una delle modalità sopra indicate, anche se rivolte esclusivamente a favore di un dipendente specifico.

A tale riguardo, peraltro, la circolare 326/97 precisa quanto segue:

”Si ritiene che la prestazione in questione debba comunque interessare la generalità dei dipendenti o intere categorie omogenee”.

Tale interpretazione appare di natura restrittiva, posto che laddove il legislatore ha inteso condizionare il beneficio dell’esclusione dalla determinazione del reddito alla sussistenza di determinate condizioni di natura soggettiva, ciò si è tradotto in una specifica previsione normativa, e tenuto conto che in particolari situazioni la norma potrebbe rendersi applicabile svincolata da categorie preventivamente determinate.

Come precisato dalla circolare 326/97,

“ …tra le prestazioni di vitto e le somministrazioni in mense aziendali, anche gestite da terzi, sono comprese le convenzioni con i ristoranti e la fornitura di cestini preconfezionati contenenti il pasto dei dipendenti”.

Tale possibilità è innovativa rispetto alla previdente interpretazione ministeriale.

Per somministrazioni di vitto da parte del datore di lavoro si intendono le somministrazioni effettuate al di fuori del servizio di mensa.

Il datore di lavoro è libero di organizzare le somministrazioni di vitto come meglio crede, potendo adottare, contestualmente, anche più sistemi.

Non è previsto alcun limite di valore. L’esclusione dalla determinazione del reddito opera quindi completamente.

Le prestazioni sostitutive non concorrono a formare il reddito limitatamente, peraltro a un importo complessivo giornaliero che non sia superiore a € 5,29.

Le indennità sostitutive non concorrono a formare il reddito purchè siano poste in essere, alternativamente, a favore di unità produttive in zone ove manchino strutture o servizi di ristorazione, limitatamente ad un importo complessivo giornaliero che non sia superiore a € 5,29.

Analogamente a quanto evidenziato in tema di somministrazioni di vitto, non sembrerebbe necessario, nonostante la diversa posizione ministeriale, che beneficiari delle prestazioni e delle indennità sostitutive siano la generalità dei dipendenti o categorie di dipendenti.

Il datore di lavoro è libero di organizzare le prestazioni e le indennità sostitutive come meglio crede, potendo adottare, contestualmente, anche più sistemi. Il datore di lavoro può, per esempio, come precisato dalla circolare 326/97, “…istituire il servizio di mensa per una categoria di dipendenti, il sistema di ticket restaurant per un’altra categoria e provvedere all’erogazione di una indennità sostitutiva per un’altra ancora,…”.

In merito alla possibilità, per il singolo dipendente, di fruire contestualmente di più opzioni, la circolare ministeriale precisa opportunamente quanto segue:

“…tenuto conto del tenore letterale della norma, è invece, da escludere che lo stesso dipendente, con riferimento alla medesima giornata lavorativa, possa fruire del servizio mensa e utilizzare anche il ticket restaurant o ricevere anche l’indennità sostitutiva del servizio di mensa, fruendo dell’esclusione dalla formazione del reddito di € 5,29. Analogamente, in presenza di indennità sostitutiva pari a € 1,55 e ticket restaurant con valore nominale di € 3,10, non è possibile, con riferimento alla stessa giornata, cumulare le due prestazioni sostitutive fino a raggiungere la predetta soglia di esclusione, ma è necessario assoggettare a tassazione integralmente una delle due”.

Quindi, nonostante la somma dei due valori non superi il limite di € 5,29 è necessario far concorrere alla formazione del reddito uno dei valori indicati, trattandosi dell’utilizzo contestuale di due opzioni che, con riferimento a un dato dipendente, non possono coesistere.

 

Deducibilità delle somministrazioni dal reddito d’impresa

            Le diverse modalità di somministrazione di alimenti e bevande sortiscono pari effetti ai fini della determinazione del reddito d’impresa.

In altri termini, la determinazione del reddito d’impresa, di cui all’art. 56, comma 1, del Tuir, che, ai fini della individuazione del reddito complessivo, fa espresso rinvio all’art. 83 del Tuir, prescinde dall’opzione per l’una, ovvero per una delle altre, modalità di somministrazione del vitto ai dipendenti, attesa la completa deducibilità delle spese all’uopo sostenute.

            Dal punto di vista contabile, il costo sopportato dal datore di lavoro per la somministrazione di alimenti e bevande è classificabile nel conto economico alla voce B.7 “costi della produzione per servizi”.

            Aliquota IVA applicabile alle somministrazioni e detrazione dell’imposta

Prescindendo dalle indennità sostitutive di mensa, l’individuazione  dell’aliquota Iva applicabile sulla fattura rilasciata al datore di lavoro, dall’esercizio convenzionato ovvero dall’esercente prestazioni sostitutive di mensa aziendale, per le somministrazioni di alimenti e bevande corrisposte ai dipendenti, non presenta particolari difficoltà.

            In entrambi i casi, infatti, la misura dell’aliquota Iva applicabile è sempre del 4 per cento.

            Precisamente, nei casi di somministrazione in mense aziendali o interaziendali l’attribuzione dell’aliquota agevolata del 4 per cento è regolamentata al n. 37), della Parte II, della Tabella A, allegata al D.P.R. n. 633 del 1972.

            Per le ipotesi di somministrazione rese in dipendenza di contratti, anche di appalto, aventi ad oggetto servizi sostitutivi di mensa aziendale, invece, sempreché siano commesse dai datori di lavoro, il riferimento normativo, che consente di fruire dell’aliquota agevolata, è l’articolo 75 della L. 30 dicembre 1991, n. 413.

            Se l’individuazione della misura dell’aliquota Iva applicabile non presenta significative difficoltà, maggiori apprensioni, invece, derivano dallo stabilire se al datore di lavoro sia consentito, o meno, detrarre l’Iva assolta sui corrispettivi erogati per le prestazioni di somministrazione.

            A tal fine, è necessario distinguere le fattispecie in ragione dei soggetti che partecipano al contratto di somministrazione.

Le ipotesi che si possono verificare sono, sostanzialmente, 2

            a) Appalto stipulato fra il datore di lavoro e l’esercizio convenzionato

            L’elemento dirimente ai fini della detrazione dell’imposta assolta dal datore di lavoro sui corrispettivi erogati per la somministrazione dei pasti in favore dei propri dipendenti è rappresentato dalla natura riferibile all’esercizio convenzionato.

            Precisamente, se all’esercizio convenzionato è possibile attribuire la qualificazione di mensa aziendale e/o interaziendale, sia essa interna o esterna all’azienda, la detrazione è consentita.

            Nell’ipotesi in cui l’esercizio convenzionato sia un esercizio pubblico, l’Iva corrisposta sulle prestazioni di somministrazioni di alimenti e bevande, come precisato nella circolare 16 aprile 1992, n. 30, non è detraibile.

b) Prestazioni sostitutive di mensa aziendale – Ticket restaurant

            Trattasi di una tipologia di somministrazione che si caratterizza per l’interposizione di un soggetto terzo nel rapporto fra datore di lavoro ed esercizio convenzionato.

In altri termini, lo schema operativo predisposto per questa tipologia di somministrazioni prevede due distinti rapporti contrattuali:

  • fra il datore di lavoro e la società esercente l’attività di prestazioni sostitutive (Ticket Company), con il quale queste ultime si obbligano ad assicurare, mediante mense gestite direttamente o da terzi ovvero mediante pubblici esercizi convenzionati, il servizio di mensa;
  • fra la ticket company e gli esercizi convenzionati per il servizio sostitutivo di mensa nei propri locali.

            Come chiarito nella risoluzione 3 aprile 1996, n. 49/E, nel primo rapporto contrattuale – datore di lavoro e ticket company – il prezzo di ogni buono pasto è fissato sulla base di una trattativa commerciale, in misura pari, inferiore o superiore al valore facciale del buono pasto.

Su tale rapporto, l’aliquota Iva applicabile è del 4 per cento, attesa la riconducibilità della fattispecie nell’ambito applicativo del n. 37), Tabella A, Parte II, del D.P.R. n. 633 del 1972, applicabile sull’imponibile pari al corrispettivo dovuto dal datore di lavoro alla ticket company.

            Ai fini della detraibilità dell’Iva assolta dal datore di lavoro, anche in questo caso è necessario procedere alla qualificazione dell’esercizio convenzionato, dovendosi riconoscere la detrazione nelle ipotesi in cui la somministrazione dei pasti abbia luogo nei locali dell’impresa ovvero in esercizi qualificabili come mense.

            Diversamente, l’Iva sarà indetraibile per il datore di lavoro.

Il secondo rapporto, invece, è caratterizzato dal ritiro del ticket restaurant da parte dell’esercizio convenzionato e si sostanzia nella somministrazione del pasto al lavoratore dipendente.

In tale ipotesi, l’ammontare imponibile è pari al corrispettivo dovuto dalla ticket company pari al valore facciale del buono pasto diminuito, come precisato nella stessa risoluzione n. 49/E del 1996 citata, dello sconto incondizionato previsto contrattualmente in favore delle società emittenti i ticket restaurant.

            L’aliquota Iva applicata è del 10 per cento attesa la riconducibilità della fattispecie nell’ambito applicativo del n. 121), Tabella A, Parte III, del D.P.R. n. 633 del 1972, ed è detraibile per la ticket company secondo la disposizione recata dall’art. 19-bis1, comma 1, lettera e), dello stesso decreto che dispone la detraibilità per le somministrazioni commesse da imprese che forniscono servizi sostitutivi di mensa aziendale.

 

Mensa aziendale o interaziendale

Da quanto esposto, appare evidente come l’attribuire la qualificazione di mensa aziendale e/o interaziendale ad una struttura predisposta per la somministrazione dei pasti ai dipendenti assuma un’importanza fondamentale ai fini della detraibilità dell’Iva, pagata sui corrispettivi per le somministrazioni, da parte dei datori di lavoro.

Sul punto è opportuno evidenziare come non esiste una definizione precisa di cosa debba intendersi per mensa aziendale.

Nella risoluzione 20 giugno 2002, n. 202/E, dell’Agenzia delle Entrate si legge che per mense aziendali devono intendersi quelle strutture

“… la cui gestione è data in appalto ad un’impresa specializzata ovvero effettuata direttamente dall’azienda, indipendentemente dal luogo in cui è situata la mensa.  Pur tuttavia, … non è sufficiente l’esistenza del solo contratto di appalto per configurare il concetto di mensa aziendale, essendo necessaria la sussistenza di un altro elemento dato dall’obbligo assunto dall’appaltatore di fornire la prestazione esclusivamente ai dipendenti del  soggetto appaltante”.

Per quanto concerne, invece, il riconoscimento della qualifica di mensa “esterna” si ritiene necessaria ed indispensabile la presenza dell’altro elemento, previsto con la circolare 16 aprile 1992, n. 30, rappresentato da una specifica autorizzazione amministrativa.

I requisiti di mensa aziendale sussistono, poi, anche quando le somministrazioni dei pasti sono effettuate nei confronti del personale dipendente di imprese diverse sempre che i dipendenti siano autorizzati ad accedere all’interno dei locali dell’impresa.

Nella risoluzione 28 marzo 2001, n. 35/E, l’Agenzia delle Entrate ha precisato che sono da ricondursi nel concetto di somministrazioni effettuate nelle mense aziendali ed interaziendali

“… tutte le prestazioni aventi come fruitori i soggetti che sono lavoratori dipendenti di imprese terze, purché sussistano tra i rispettivi datori di lavoro accordi contrattuali ovvero rapporti di altra natura che giustifichino la presenza di personale dipendente”.

Dalle considerazioni su esposte, appare evidente come agli esercizi pubblici non possa essere attribuita la natura di “mensa aziendale” e, pertanto, le convenzioni realizzate con siffatte strutture determinano l’indetraibilità dell’Iva assolta dal datore di lavoro.

 

Somministrazione alimenti al personale: casi particolari

Servizio di somministrazione vitto attraverso “card elettroniche” (Ris. N.63/E del 17 maggio 2005)

Nel caso prospettato, concernente la somministrazione di alimenti e bevande a mezzo card elettroniche, deve rilevarsi che la disamina delle caratteristiche che contraddistinguono siffatta modalità di somministrazione – attinenti soprattutto allo strumento elettronico attraverso il quale il dipendente può accedere al servizio di somministrazione – induce a differenziarla da quella realizzata attraverso i ticket restaurant.

Se è vero, infatti, che anche le card elettroniche sono contraddistinte dai requisiti, individuati con la circolare 23 dicembre 1997, n. 326/E, propri dei ticket restaurant (non sono cedibili, né cumulabili, commerciabili, o convertibili in denaro) e dalla presenza di un intermediario che si frappone tra il datore di lavoro ed il soggetto che effettua la somministrazione, è altrettanto vero che le proprietà insite nelle card elettroniche sono tali, ed evidenti, da distinguere completamente le due tipologie di somministrazione.

Le card, infatti, operando su di un circuito elettronico, consentono di verificare in tempo reale l’utilizzo conseguente alla maturazione del diritto da parte del dipendente – una sola prestazione giornaliera limitatamente ai giorni di effettiva presenza in servizio e, al contempo, di scongiurare un loro eventuale utilizzo improprio e/o fraudolento: quale potrebbe essere, ad esempio, la richiesta di somministrazione in un giorno in cui il dipendente risulti ammalato o, semplicemente, in una fascia oraria diversa da quella prevista contrattualmente per la pausa pranzo.

L’utilizzo delle card, poi, non consente di posticipare nel tempo la fruizione della prestazione e, pertanto, il dipendente che, pur avendo maturato il diritto alla prestazione, non consuma il pasto, non potrà più recuperarlo nei giorni successivi, né al medesimo verrà riconosciuto altro analogo diritto riconducibile al servizio di mensa aziendale.

Le card, operando in tempo reale, non rappresentano titoli di credito, ma consentono unicamente di individuare il dipendente che quel giorno ha diritto a ricevere la somministrazione del pasto.

A tal fine, va precisato che nei confronti del dipendente la carta assume la funzione di rappresentare esclusivamente il pasto cui il soggetto interessato ha diritto (nei termini concordati tra datore di lavoro e società emittente la card) e non il corrispondente valore monetario utilizzabile eventualmente per l’acquisto di beni diversi presso l’esercizio convenzionato.

Dalla funzione attribuita alle card elettroniche, di mero strumento identificativo dell’avente diritto deriva che le stesse non sono assimilabili ai ticket restaurant, ma piuttosto ad un sistema di mensa aziendale, che può essere definita “diffusa” in quanto il dipendente può rivolgersi ai diversi esercizi pubblici che, avendo sottoscritto la convenzione, sono abilitati a gestire la card elettronica.

Le prestazioni rese attraverso di esse, quindi, non concorrono alla formazione del reddito di lavoro dipendente, a prescindere dal superamento o meno del limite di 5,29 euro, di cui all’art. 51, comma 2, lettera c), del Tuir (riferito esclusivamente alle prestazioni ed alle indennità sostitutive di mensa).

Resta inteso che nell’ipotesi in cui le card elettroniche venissero dotate di funzioni diverse – come, ad esempio, quelle di titoli di credito e/o documenti contenenti importi di spesa predeterminati – alle prestazioni ad esse collegate dovrà essere attribuita una qualificazione diversa, non potendo più la somministrazione essere considerata come svolgentesi nell’ambito di una mensa aziendale.

Una volta individuata la natura delle somministrazioni di alimenti e bevande a mezzo card elettroniche, il regime fiscale applicabile ad esse non presenta particolari difficoltà.

In tale ipotesi, infatti, in sede di fatturazione al datore di lavoro committente, la società emittente la card applicherà l’aliquota del 4 per cento, trattandosi di una fattispecie riconducibile nell’ambito applicativo di cui al n. 37) della Tabella A, Parte II, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633.

L’Iva corrisposta alla società emittente la card sarà detraibile per il datore di lavoro in ossequio al disposto di cui all’art. 19-bis1, comma 1, lettera e), del D.P.R. n. 633 del 1972.

Resta fermo che il pubblico esercizio convenzionato per il servizio di somministrazione pasti reso ai dipendenti emette fattura nei confronti della società emittente e non nei confronti del datore di lavoro e che pertanto in tale fase la fattispecie non può assumere la qualificazione di “mensa aziendale”.

Ne consegue che nei rapporti fra la XZ e l’esercizio convenzionato la misura dell’aliquota applicabile sarà del 10 per cento, attesa la specifica regolamentazione contenuta al n. 121) della Tabella A, Parte III, dello stesso D.P.R. n. 633 del 1972.

Infine, per quanto concerne l’imposta sul reddito delle società – Ires – l’insieme dei corrispettivi conseguiti dalla società emittente la card a fronte delle prestazioni rese sarà considerato ricavo ai sensi dell’art. 85 del Tuir.

 

Buoni pasto al personale assunto con rapporto di lavoro part-time (Ris. N.118/E del 30 ottobre 2006)

Con la risoluzione n. 15 dicembre 2004, n. 153/E l’Amministrazione Finanziaria ha ritenuto opportuno precisare, che “ove l’orario di lavoro non preveda la fruizione della pausa pranzo, i buoni pasto eventualmente corrisposti da parte del datore di lavoro, non essendo destinati a realizzare una prestazione sostitutiva del servizio di vitto, concorreranno alla determinazione del reddito di lavoro dipendente (e della base imponibile contributiva), al pari degli altri compensi in natura percepiti”.

La stessa risoluzione n. 153/E del 2004 si rifà, peraltro, a precedenti documenti di prassi amministrativa quali, ad esempio, la circolare 23 dicembre 1997, n. 326/E, che, al punto 2.2.3., chiarisce che i buoni pasto devono

“consentire soltanto l’espletamento della prestazione sostitutiva nei confronti dei dipendenti che ne hanno diritto”.

Ciò premesso, va considerato che sono intervenute disposizioni normative che hanno rinnovato il comparto dei servizi sostitutivi di mensa aziendale mediante buoni pasto.

Al riguardo, gli artt. 14-ter et 14-vicies del D.L. 30 giugno 2005, n. 115, inserito in sede di conversione della L. 17 agosto 2005, n. 168, recante disposizioni urgenti per assicurare la funzionalità di settori della Pubblica Amministrazione, al fine di concorrere al conseguimento di più elevati livelli di produttività, ha previsto l’emanazione di un decreto diretto, tra l’altro, a disciplinare le caratteristiche del buono pasto e la regolamentazione dell’utilizzo dello stesso da parte dei lavoratori dipendenti e delle categorie assimilate.

In esecuzione della predetta delega è stato emanato il D.P.C.M. 18 novembre 2005, pubblicato in Gazzetta Ufficiale in data 17 gennaio 2006, recante disposizioni in materia di affidamento e gestione dei servizi sostitutivi di mensa.

Lo stesso decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri prevede poi, all’art. 5, comma 1, lettera c), che i

“buoni pasto sono utilizzati, durante la giornata lavorativa anche se domenicale o festiva, esclusivamente dai prestatori di lavoro subordinato, a tempi pieno o parziale, anche qualora l’orario di lavoro non prevede una pausa per il pasto, nonché dai soggetti che hanno instaurato con il cliente un rapporto di collaborazione anche non subordinato”.

La previsione normativa sopra citata prevede, di fatto, la possibilità che anche in favore dei dipendenti assunti a tempo parziale, con un’articolazione dell’orario di lavoro che non prevede una pausa per il pranzo, siano corrisposti buoni pasto da parte del datore di lavoro.

Si deve ritenere che la nuova normativa abbia tenuto conto del fatto che la realtà lavorativa è sempre più caratterizzata da forme di lavoro flessibili.

Atteso che l’art. 51, comma 2, lettera c), del Tuir fa espresso riferimento alle prestazioni sostitutive del servizio di mensa, ora disciplinate dal provvedimento in discussione, la scrivente ritiene che lo stesso provvedimento, pur non avendo natura tributaria, assuma rilevanza anche ai fini fiscali.

D’altra parte, la normativa fiscale non contiene una disciplina dettagliata delle prestazioni sostitutive di mensa limitandosi a prevederne la non concorrenza al reddito nei limiti previsti.

La risoluzione 15 dicembre 2004, n. 153/E, deve, pertanto, ritenersi superata.

Ne consegue che, anche i lavoratori subordinati a tempo parziale, la cui articolazione dell’orario di lavoro non preveda il diritto alla pausa per il pranzo, ove fruiscano di buoni pasto, sono ammessi a beneficiare della previsione agevolativa di cui all’art. 51, comma 2, lettera c), del Tuir.

Tali buoni pasto non concorreranno, quali compensi in natura, nei limiti dei 5,29 euro giornalieri, alla formazione della base imponibile contributiva e fiscale del lavoratore subordinato assunto con contratto a tempo parziale.

 

Conclusioni

Se per il datore di lavoro lo stabilire una modalità di somministrazione in luogo di un’altra non riveste particolare importanza, attesa la totale deducibilità delle spese sostenute in ragione della massima discrezionalità attribuitagli nella gestione della sua azienda, per il lavoratore dipendente, invece, la fruizione di una somministrazione in luogo di un’altra assume un valore significativo in considerazione del fatto che, come si è visto, in alcuni casi è necessario assoggettare a tassazione una parte di essa.

Senza contare che, con riferimento alla medesima giornata lavorativa, una modalità di fruizione della somministrazione esclude l’altra.

In altri termini, è inibita la cumulabilità delle prestazioni anche nelle ipotesi in cui il valore derivante dalla sommatoria di entrambe resti al di sotto del limite consentito dei 5,29 euro.

Così ad esempio, nell’ipotesi in cui il dipendente fruisca del servizio mensa ed utilizzasse al contempo il ticket restaurant, nella stessa giornata lavorativa, ancorché il cumulo delle prestazioni non superi la soglia di esclusione dal reddito dei 5,29 euro, andrà assoggettata a tassazione una delle due.

 

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Dott. Alfredo Cerabino

Dottore Commercialista in Taranto

29 Gennaio 2008