Incidenza dei costi occulti, in nero, nell’accertamento bancario e difesa del contribuente

In caso di accertamento il contribuente può portare a rettifica dei ricavi accertati i costi occulti, cioè quei costi pagati in nero, relativi al maggior imponibile rilevato dal Fisco?

COSTI OCCULTI

indagini bancariePer quanto riguarda il settore dell’imposizione diretta, particolare attenzione merita la problematica riguardante il regime di deducibilità dei costi e delle spese correlabili ai ricavi e ai compensi non dichiarati risultanti dalle indagini bancarie.

In particolare, per quanto concerne l’accertamento dei redditi di impresa determinati sulla base delle scritture contabili, ai sensi dell’art. 39 del D.P.R. n. 600 del 1973, occorre, in via di principio, rapportarsi al disposto dell’art. 109, c. 4, lett. b, u.p., del Tuir1, il quale prevede che:

Le spese e gli oneri specificamente afferenti i ricavi e gli altri proventi, che pur non risultando imputati al conto economico concorrono a formare il reddito, sono ammessi in deduzione se e nella misura in cui risultano da elementi certi e precisi”.

La lettura di questa disposizione, condizionata dalle anzidette connotazioni di certezza e precisione degli elementi probanti gli oneri e le spese extracontabili, va fatta sistematicamente nell’ambito dell’operatività del primo comma del citato articolo 39, la quale (anche in sede di valorizzazione degli esiti delle indagini effettuate) consente di riprendere come ricavo, a base dell’esercizio della pretesa tributaria, le movimentazioni finanziarie, senza il parallelo riconoscimento di maggiori costi o spese, in mancanza di qualsivoglia giustificazione da parte del contribuente.

In altri termini, in caso di accertamento fondato sia sul metodo analitico (lettere a, b e c del citato comma 1) che su quello analitico-induttivo (successiva lettera d) (per quest’ultima ipotesi, la ricostruzione del reddito d’impresa trae comunque origine dalla contabilità, ma può essere supportata dall’impiego di presunzioni che, tuttavia, devono rispettare rigorosamente i requisiti di gravità precisione e concordanza previsti dall’art. 2729 c.c.), nessun margine si offre all’ufficio ai fini di un possibile riconoscimento di componenti negative di cui non è stata fornita da parte del contribuente prova certa2.

Ciò nella considerazione che sarebbe irragionevole far valere una diversa regola di esperienza che a ricavi occulti siano genericamente e automaticamente accompagnati costi occulti, mentre potrebbe assumere pari e superiore valore una regola contraria che “a ricavi occulti siano accompagnati costi già dichiarati in misura maggiore del reale3.

Ove la presunzione legale operi legittimamente è lo stesso contribuente che sia in sede amministrativa sia eventualmente in quella contenziosa dovrà farsi carico della dimostrazione delle proprie ragioni4. Naturalmente, qualora il contribuente abbia giustificato nel corso del contraddittorio le movimentazioni finanziarie effettuate, non opera la presunzione a livello legale e quindi, in linea di massima, non si configura un parallelo problema di deducibilità di costi. Tuttavia, qualora a fronte di un prelevamento il contribuente indichi come beneficiario un fornitore di cui non ha provveduto a rilevare nei registri contabili le relative operazioni di acquisto, ma di cui fornisce successivamente, in via extracontabile, documentazione probante, l’ufficio procedente dovrà invece riconoscere detto costo in coerenza con i criteri della ricostruzione analitico-induttiva del reddito ai sensi della citata lettera d).5( (Circolare Agenzia Entrate n. 32 del 19.10.2006)

A conclusioni diverse si perviene invece analizzando il metodo di rettifica rappresentato dall’accertamento induttivo (o extracontabile), che è disciplinato dal secondo comma del citato art. 39.

Com’è noto, tale tipo di accertamento consente di determinare il reddito d’impresa “sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti” dall’ufficio procedente, anche indipendentemente dalla contabilità del contribuente e utilizzando presunzioni pur prive degli usuali caratteri di gravità, precisione e concordanza, semprechè ricorra (e quindi venga provata dall’ufficio) una delle circostanze tassativamente elencate nelle lettere a d-bis dello stesso secondo comma.

Pertanto, in caso di ricostruzione del reddito d’impresa sulla base del predetto metodo, l’ufficio non può non tenere conto, soprattutto in assenza di documentazione certa, di un’incidenza percentuale di costi presunti a fronte dei maggiori ricavi accertati; regola che, ovviamente, vale anche se in tutto o in parte i maggiori ricavi siano stati assunti tramite indagini bancarie.

E’ appena il caso di ribadire che tale riconoscimento resta escluso ai fini Iva poichè nel meccanismo di tale tributo la base imponibile è costituita dall’insieme dei soli corrispettivi dovuti al cedente o al prestatore.

Trattasi di un criterio che presuppone per la determinazione del reddito da parte dell’impresa la imprescindibile esistenza di un costo a cui corrisponde l’investimento che ha generato il ricavo, atteso che diversamente opinando siffatta determinazione si rivelerebbe confliggente con il principio di capacità contributiva di cui agli artt. 3 e 53 della Costituzione.

Sotto il citato profilo di legittimità, è il caso di sottolineare che la Consulta (con sentenza del 6 giugno 2005, n. 225), sia pure con riferimento a fattispecie pregressa riguardante l’equiparazione dei prelevamenti effettuati da un imprenditore ai ricavi non contabilizzati, ha definitivamente stabilito che la relativa presunzione, sancita dall’art. 32, n. 2, del D.P.R. n. 600 del 1973, resta indenne da qualsiasi censura di illegittimità per le ragioni che: tale presunzione non appare irragionevole in quanto il conseguente procedimento accertativo non si traduce in una sanzione impropria nè, tanto meno, in una disparità di trattamento tra contribuenti.

Non sussiste alcuna violazione del principio di capacità contributiva in quanto risulta pienamente ammissibile l’incidenza percentuale dei relativi costi, e conseguentemente detraibili dall’ammontare dei prelievi non giustificati, trattandosi evidentemente di accertamento “induttivo” in senso stretto corrispondente al modello ricostruttivo di cui all’art. 39, c. 2, in questione.

Gli esiti delle indagini bancarie possono essere posti anche a base degli accertamenti d’ufficio nelle ipotesi di omessa presentazione della dichiarazione o di presentazione di dichiarazione nulla.

Anche per tale tipologia di accertamento, disciplinata dall’art. 41 del D.P.R. n. 600 del 1973, è possibile distinguere il metodo analitico da quello induttivo.

Ai fini che qui interessano, si ritiene utile rammentare che l’ufficio può procedere induttivamente non solo con le stesse modalità previste dal citato secondo comma dell’articolo 39 (cioè, utilizzando dati e notizie comunque pervenuti in suo possesso, avvalendosi anche di presunzioni prive delle connotazioni di cui all’art. 2729 c.c.), ma addirittura su fatti ed elementi, anche isolati, dai quali sia possibile ricavare ragionevolmente la sussistenza e l’entità dei redditi d’impresa anche in difformità da eventuali scritture contabili possedute, laddove il predetto secondo comma subordina l’esercizio di tale facoltà accertativa alla mancanza o grave irregolarità delle scritture stesse.

Ciò comporta che nell’ampia gamma di ipotesi sottese allo stesso art. 41, pur sempre in mancanza o nullità della dichiarazione, il riconoscimento di costi deve essere livellato (anche in misura percentualistica) in ragione dei maggiori ricavi accertati sulla base del meccanismo presuntivo di cui al numero 2) dell’art. 32, senza peraltro che pregiudizialmente debba essere trascurata la presenza in una contabilità ordinata di costi regolarmente registrati.

In definitiva, occorre riconoscere i costi (anche in misura percentualizzata) nelle seguenti ipotesi:

  • ogni qualvolta accertino i ricavi con metodo induttivo puro, ossia nel caso di inattendibilità delle scritture contabili (art. 39 c. 2 D.P.R. 600/73);

  • qualora, nell’ipotesi di omessa dichiarazione (art. 41 D.P.R. n.600/73), si ricostruisca complessivamente la situazione del contribuente prescindendo dalle scritture contabili.

Al contrario, tale regola non trova applicazione allorché sussistano i presupposti per procedere ad accertamento cd. analitico (art. 39 c. 1 lett. a, b, c, d per. 1 D.P.R. n. 600/73) ovvero cd. analitico-induttivo (art. 39, c. 1, lett. d, per. 2).

In tali fattispecie, infatti, troverà applicazione l’art. 109 del TUIR con onere della parte di dimostrare l’esistenza ed inerenza dei componenti negativi di reddito.

Con riferimento agli accertamenti cosiddetti analitici o analitico-induttivi (che comunque traggono origine dalla contabilità) nessun margine si offre all’ufficio procedente ai fini di un possibile riconoscimento di componenti negative di cui non è stata fornita da parte del contribuente prova certa.

Comunque, in assenza di specifiche giustificazioni da parte del contribuente tali costi occulti non possono essere rappresentati da tutti i prelevamenti (Cass. 25-02-2015 n. 3777 sez. T)6.

DIVERSO ORIENTAMENTO

Tale citata sentenza (Cass. 25-02-2015 n. 3777 sez. T) si pone in antitesi al diverso orientamento7 (vd. sentenza n. 88 della sezione 3 della CTR di Roma, depositata il 28 ottobre 2005), che sulla vexata questio della deducibilità dei costi occulti ha statuito, alla luce della sentenza n 225/2005 della Consulta ed in base ai principi della collaborazione e della buona fede di cui alla legge n. 212/2000, che, nella determinazione del reddito imponibile, dalla somma, pari al totale dei versamenti prelevati e versati sul conto corrente del contribuente, occorre sottrarre le somme prelevate sullo stesso conto, anche in assenza di specifiche giustificazioni.

Tale orientamento, ritiene più rispondente alla realtà dei fatti determinare il reddito imponibile del contribuente decurtando dall’importo accertato, pari alla somma dei prelevamenti e dei versamenti bancari, le somme in uscita ossia gli stessi prelevamenti: le somme prelevate nel contempo dagli stessi conti correnti devono essere decurtate dall’ammontare dell’imponibile accertato (con incidenza del 100% dei maggiori costi rispetto ai relativi ricavi da prelevamenti).

 

 

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20 giugno 2017

Isabella Buscema

1 L‘art 109, c. 4, del TUIR dispone che “le spese e gli altri componenti negativi non sono ammessi in deduzione se non nella misura in cui non risultano imputati al conto economico relativo all’esercizio d’impresa“; l’art. 4 lett. b dispone che “le spese e gli oneri specificamente afferenti i ricavi e gli altri proventi che pur non risultando imputati al conto economico concorrono a formare il reddito, sono ammessi in deduzione se e nella misura in cui risultano da elementi certi e precisi (sent. n. 449 del 30 marzo 2016, ud. 18 novembre 2015, della CTR Venezia, Sez. V).

2 Lo stesso Ufficio ha affermato di aver operato il proprio accertamento su base analitico-induttiva, cioè ai sensi dell’art. 39, c. 1, lett. d, D.P.R. n. 600 del 1973, e dell’art. 54, D.P.R. n. 633 del 1972.

In ragione di detto assunto l’Ufficio avrebbe dovuto tenere in considerazione l’ammontare dei costi occulti deducibili determinati dai verbalizzanti sulla base di riscontri analitici.

Per costante giurisprudenza, il dovere dell’Ufficio di riconoscere una quota parte di costi, a fronte dei maggiori ricavi accertati, opera soltanto nei casi di accertamento puramente induttivo.

Le disposizioni che disciplinano l’accertamento induttivo “puro” sono contenute nell’art. 39, c. 2, lett. a, c, d d-bis, del D.P.R. n. 600 del 1973, per quanto concerne l’imposta sul reddito, e nell’art. 55 del D.P.R. n. 633 del 1972, ai fini dell’imposta sul valore aggiunto.

Tale circostanza, tuttavia, non ricorre nel caso di specie avendo l’Ufficio operato sulla base dell’art. 39, c. 1, lett. d, D.P.R. n. 600 del 1973, e dell’art. 54, D.P.R. n. 633 del 1972, quindi su base analitico-induttiva.

Tale circostanza è rinvenibile dalla motivazione dell’avviso di accertamento.

Per quanto attiene all’accertamento analitico-induttivo di cui all’art. 39, c. 1, lett. d, u.p., del D.P.R. n. 600 del 1973, secondo la giurisprudenza più recente e maggioritaria della Cassazione, la regola del riconoscimento percentualizzato di costi non trova applicazione, dovendo, in tal caso, il contribuente dimostrare l’esistenza ed inerenza dei componenti negativi del reddito (Cass. Sent. nn. 3305/2009 e 4218/2006).

Anche in questo caso, però, il contribuente non ha fornito prova dei costi sostenuti.In definitiva, il contribuente non ha correttamente adempiuto l’onere probatorio posto a proprio carico sia dall’art. 32, c. 2, D.P.R. n. 600 del 1973 che dall’art. 39, c. 1, lett. d, D.P.R. n. 600 del 1973 così che risulta impossibile il riconoscimento dei costi asseritamente deducibili, oltre quelli individuati dai verbalizzanti e non computati, in diminuzione del maggior imponibile accertato, dall’Agenzia delle Entrate (sent. n. 1054 del 18 maggio 2015, ud. 20 aprile 2015, della CTR Bologna, Sez. XIII).

3 È invero ammissibile la deduzione dei costi di gestione e delle spese afferenti i maggiori ricavi accertati dall’ufficio fiscale, i quali pur non risultando imputati al conto economico risultano da elementi certi e precisi (Cass. civile, sez. trib., 25 gennaio 2002, n. 889).

L’onere della prova circa l’esistenza dei fatti che danno luogo a oneri e costi deducibili, ivi compresi i requisiti della inerenza e dell’imputazione ad attività produttive di ricavi, non incombe all’amministrazione finanziaria, ma al contribuente che invoca la deducibilità (Cass. civile, sez. trib., 8 ottobre 2001, n. 12330).

Potendo i maggiori ricavi lordi essere frutto di alterazioni contabili, ben può l’amministrazione accertare i maggiori ricavi senza il riconoscimento dei costi sostenuti per la loro produzione come ammesso da prassi e da giurisprudenza di legittimità (sent. n. 110 dell’ 8 marzo 2016, ud. 14 gennaio 2014, della CTR Perugia, Sez. I).

4 E’ infondato il motivo di appello della contribuente basato sulla lesione del principio di capacità contributiva laddove l’appellata sentenza ha omesso di decurtare, dal reddito accertato ex art.32 dpr 600/73, una percentuale di ricavi imputabili a costi della attività e considerato i versamenti in toto come ricavi.

Come rilevato nella fondamentale sentenza costituzionale interpretativa di rigetto n.225/2005, la disposizione lascia la possibilità al contribuente di dimostrare l’incidenza dei costi tramite l’indicazione del beneficiario dei prelievi (altrimenti da considerarsi ricavi, ex art 32 cit.), e, quanto ai versamenti, se il contribuente dimostra di averne tenuto conto nella determinazione della base imponibile oppure che sono estranei alla produzione del reddito; pertanto, in questa sede il computo dei costi non può essere forfettario, ma deve seguire la prova dell’inerenza del reddito (rappresentato ex lege dai prelievi e versamenti non giustificati) a costi della attività, in assenza della quale, come nella fattispecie, i versamenti devono considerarsi acquisizione di utili. In questi termini la costante giurisprudenza di Cassazione, che sul punto non ammette la rilevanza dei cd costi occulti (cfr. da ultimo Cass. civ. Sez. V, Sent., 25/02/2015, n. 3777). In conclusione, sia i prelievi (tranne che per Euro 74.497,00) che i versamenti (tranne che per Euro 79.900,00) devono considerarsi, ex art 32 del D.P.R. n. 600 del 1973, ricavi ai fini della determinazione del reddito per l’anno in questione (sent. n. 1766 del 5 aprile 2016, ud. 22 marzo 2016, della CTR Roma, Sez. I).

5 Quanto alle passività, si osserva che ogni prelevamento documenta un esborso che, se inerente la attività imprenditoriale, costituisce un costo deducibile.

E’ il contribuente, secondo il normale regime di distribuzione della prova, a dover dimostrare il costo..Per assolvere l’onere della prova deve anzitutto indicare il beneficiario, e poi comprovare la inerenza della spesa.

In assenza della identità del beneficiario, infatti, non è possibile verificare se la stessa sia inerente.

Ciò comporta che nessun costo può essere riconosciuto senza tale indicazione, tuttavia, la sola indicazione non è sufficiente, il contribuente è tenuto anche a giustificare il versamento, dimostrando che la spesa si riferisca a finalità imprenditoriali (sent. n. 66 del 14 marzo 2012, ud. 12 marzo 2012, della CTP Teramo, Sez. I).

Per vincere la presunzione di riqualificazione dei prelevamenti in ricavi, non è sufficiente indicare il beneficiario, ma è necessario dimostrare l’estraneità di quest’ultimo ad un’attività imprenditoriale in grado di generare redditi occultati all’erario:la destinazione dei prelievi bancari può riferirsi a pagamenti di acquisti “in nero“.

Le dichiarazioni rese dal soggetto verificato e dal destinatario dell’erogazione non sono sufficienti a superare la presunzione iuris tantum ove il contribuente non sia in grado di dimostrare, anche su base presuntiva, che il prelievo bancario è stato a favore di un soggetto terzo non correlato all’attività aziendale e non a favore di un proprio fornitore (in relazione al quale si presume sussistente un ricavo occultato all’erario) (Cass. 12-07-2013 n. 17250 sez. T).

L’art. 32, c. 1, D.P.R. n. 600/1973 determina un’inversione dell’onere della prova, ponendo a carico del contribuente il compito di dimostrare chi sia il reale beneficiario dei prelievi bancari (soggetto terzo non correlato all’attività aziendale) altrimenti considerati quali ricavi non contabilizzati (Cass. 10-06-2016 n. 11942 sez. T, Cass. 10-06-2016 n. 11942 sez. T).

La norma tributaria, con presunzione juris tantum, viene a considerare i “prelevamenti” dal conto come manifestazione di capacità produttiva di reddito, ipotizzando un impiego/investimento delle relative somme produttivo di nuova ricchezza, per un ammontare pari al corrispondente importo, ove non venga fornita adeguata prova contraria: la presunzione legale “juris tantum”, può essere vinta dal contribuente che offra la prova liberatoria che dei movimenti sui conti bancari egli ha tenuto conto nelle dichiarazioni, o che questi non si riferiscono ad operazioni imponibili, occorrendo all’uopo che vengano indicati e dimostrati dal contribuente la provenienza e la destinazione dei singoli pagamenti con riferimento tanto ai termini soggettivi dei singoli rapporti attivi e passivi, quanto alle diverse cause giustificative degli accrediti e dei prelievi (Cass. 24-02-2016 n. 3597).

6 Soltanto i caso di accertamento induttivo puro, ex art. 39, c. 2, del d.P.R. n. 600 del 1963, il Fisco deve riconoscere una deduzione in misura percentuale forfetaria dei costi di produzione, mentre in ipotesi di accertamento analitico o analitico presuntivo (come le indagini bancarie), è il contribuente che deve dimostrare, con onere probatorio a suo carico, l’esistenza dei presupposti per la deducibilità di costi afferenti ai maggiori ricavi o compensi, senza che l’Ufficio possa o debba procedere al riconoscimento forfetario di componenti negativi (Cassazione sentenza 12 maggio 2017, n. 11881).

7 Nei casi di rinvenimento di conti bancari con versamenti almeno pari ai prelevamenti, si deve presumere che i prelievi siano stati effettuati per coprire i costi della produzione in nero, i cui ricavi sono invece costituiti dai versamenti.

Esemplificando da un prelievo di 100 si presume ottenuto un ricavo di 100, dal quale viene detratto come costo di nuovo 100: il risultato è sempre zero (sent. n. 247 del 7 novembre 2012, ud. 10 ottobre 2012, della CTP Macerata, Sez. II).

Degna di pregio è l’eccezione sul mancato riconoscimento di costi occulti in corrispondenza di ricavi occulti, anche se tale principio affermato dalla giurisprudenza di legittimità ha un suo fondamento giuridico ed economico per gli esercenti attività di produzione di beni e sevizi mentre si rivela una forzatura per gli esercenti attività di lavoro autonomo stante la peculiarietà dei costi di esercizio che non variano al variare dei ricavi in misura proporzionale.

Tuttavia,trattandosi nella fattispecie di un accertamento di tipo induttivo,incardinato sulle indagini bancarie, è possibile ipotizzare che una parte dei prelevamenti postali e bancari afferiscano a pagamenti di costi in nero così come i versamenti afferiscono nella loro totalità a ricavi occulti, per cui non è irragionevole determinare una percentuale di componenti negativi di reddito prendendo a base la media dell’incidenza dei costi sui ricavi nel biennio 2007-2008 presi in considerazione dall’ufficio e da questi calcolato già nella fase endoprocedimentale con l’adesione sottoscritta ed accettata nella misura del 40% invece del 64,94% richiesto dal contribuente che,però,si è riferito al solo anno 2008.

Dal che discende che il maggior reddito accertato dall’ufficio in Euro 175.255,00 deve essere decurtato della somma riconosciuta deducibile di Euro 23.950,00 derivante dai n.17 vaglia postali di cui sono state fornite le generalità ed il rimanente maggior reddito accertato di Euro 148.305,00 deve essere ancora decurtato del 40% a titolo di costi occulti pari ad Euro 59.322 (sent. n. 5129 dell’8 settembre 2016, ud. 7 luglio 2016, della CTR Roma, Sez. IX).

Devesi, in ogni caso, valutare assolutamente compatibile l’incidenza percentuale determinata dal giudice a quo che ha tenuto conto del tipo specifico di bene commercializzato consistente in autoveicoli,spesso anche se non prevalentemente, di buona marca e con costi d’acquisto non irrilevanti.

Autovetture quali Porche,Ferrai e Mercedes (come si evince anche dalla difesa del C.) destinate ad una clientela ristretta e conseguentemente con elevati costi di acquisto e margini di profitto compatibili con le percentuali di cui sopra (sent. n. 1253 del 14 aprile 2014, ud. 6 marzo 2014, della CTR Palermo, Sez. I).