I controlli automatizzati sul modello 770 non provano l’omesso versamento dei contributi

i controlli automatizzati sul modello 770 (da cui risulta un debito) non rappresentano, da soli, una prova sufficiente per la condanna nei confronti dell’imprenditore per il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 17710 del 28 aprile scorso, è tornata nuovamente sulla questione spinosa degli omessi versamenti delle ritenute previdenziali e la presentazione del modello 770: per i giudici di legittimità i controlli automatizzati sul citato modello non sono, da soli, una prova sufficiente per la condanna prevista per l’omesso versamento delle ritenute previdenziali.

 

Il contenzioso

Un imprenditore ha proposto ricorso avverso la sentenza della Corte d’appello emessa nel marzo del 2014, con cui veniva confermata la sentenza emessa dal Tribunale ordinario, che lo aveva condannato alla pena di 7 mesi di reclusione, oltre alle pene accessorie di legge, per aver omesso di versare nel termine di legge le ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituti relative ad emolumenti erogati nell’anno 2005, per un importo pari ad € 52.558,00.

Nel ricorso in Cassazione, l’imprenditore, ritiene che nel suo caso vi sia stata un erronea applicazione della legge penale in punto di ritenuta sussistenza del reato di cui all’art. 10-bis, del D.Lgs. n. 74 del 2000.

In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza per aver confermato la responsabilità penale del ricorrente pur in assenza di elementi che consentissero di ritenere sussistenti gli elementi oggettivi e soggettivi del reato; nel ricorso si sostiene che:

  1. da una parte che l’imprenditore non sarebbe stato posto nelle condizioni di verificare l’esattezza della richiesta dell’istituto in merito alla quantificazione delle ritenute omesse, non essendo certo l’importo esattamente dovuto (a fronte dei conteggi eseguiti sulla base della comunicazione inviata, sostiene il ricorrente, l’importo dovuto era pari a 38.560,00 euro, laddove l’Istituto aveva indicato un importo di € 52.558,00 frutto di un controllo automatico), non avendo l’istituto stesso eseguito alcuna verifica effettiva, donde l’incertezza del risultato raggiunto;

  2. dall’altra parte, l’Agenzia delle Entrate aveva eseguito la comunicazione in un momento in cui il ricorrente non era più il legale rappresentante della società che, nel frattempo, aveva anche mutato la sede, con conseguente impossibilità del ricorrente di verificare l’esattezza della richiesta dell’Ufficio, né provvedere a pagare in prima persona quanto dovuto, donde sarebbe anche mancante il relativo elemento psicologico del delitto contestato.

Nel ricorso, inoltre, viene citata la questione di una recente decisione della Cassazione che ha affermato che nel reato de quo la prova del rilascio ai sostituiti delle certificazioni attestanti le ritenute effettivamente operate non può essere costituita dal solo contenuto della dichiarazione modello 770 proveniente dal datore di lavoro; nel caso in esame, dunque, essendo stata tratta la prova esclusivamente sulla base dei controlli automatizzati eseguiti dall’Ufficio finanziario anziché sulla base delle ritenute certificate, il reato non sarebbe configurabile.

 

La normativa vigente

Con l’entrata in vigore del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, venne abolita ogni sanzione penale per l’omesso versamento delle ritenute, come pacificamente riconosciuto dalla giurisprudenza, mentre restò in vigore la sanzione di cui all’art. 13, comma 1, del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, che prevede la sanzione amministrativa pari al 30% di ogni importo non versato.

Successivamente, però, il legislatore con l’art. 1, comma 414, della Legge 30 dicembre 2004, n. 311, inserì nel D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, l’art. 10-bis, che ora sanziona “chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti”.

La nuova norma penale presenta una differenza sostanziale rispetto a quella precedente contenuta nella Legge n. 516/1982, in quanto è ora previsto come elemento costitutivo del reato la circostanza che si tratti di “ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti”. A differenza della precedente fattispecie penale, quindi, per la integrazione del reato non è più sufficiente il solo mancato versamento delle ritenute , trattasi di un fatto che di per sé costituisce illecito amministrativo e darà luogo all’applicazione della sanzione amministrativa , ma occorre anche un precedente comportamento commissivo, ossia che il soggetto abbia rilasciato al sostituito la relativa certificazione, e che le ritenute il cui versamento è omesso siano appunto quelle che hanno formato oggetto della suddetta certificazione. Il reato, dunque, è integrato solo nel caso in cui il sostituto d’imposta rilasci le certificazioni, ma non provveda a versare le somme trattenute a titolo di ritenuta entro i termini per la presentazione della dichiarazione annuale; quindi, restano escluse dall’applicazione della norma tanto l’omessa presentazione della dichiarazione annuale quanto il mancato rilascio della certificazione dell’avvenuto versamento; condotte queste che erano invece punite con la normativa previgente contenuta nella Legge n. 516/1982.

Nell’illecito amministrativo, la condotta commissiva è costituita dall’erogazione di somme comportanti l’obbligo di effettuazione della ritenuta alla fonte e di versamento della stessa all’Erario con le modalità stabilite, mentre la condotta omissiva si concretizza nel mancato versamento della ritenuta mensile nel termine per l’adempimento, fissato al giorno sedici del mese successivo a quello di effettuazione della ritenuta.

I giudici di legittimità con la sentenza n.40526/2014 sottolineano che gli elementi costitutivi dei due illeciti divergono in alcune componenti essenziali, rappresentate in particolare da:

– il requisito della “certificazione” delle ritenute, richiesto per il solo illecito penale;

– la soglia minima dell’omissione, richiesta per il solo illecito penale;

– il termine di riferimento per l’assunzione di rilevanza dell’omissione.

Questa differenza degli elementi costitutivi ha poi portato a ricostruire il rapporto fra i due illeciti in termini, non di specialità, ma piuttosto di “progressione”: la fattispecie penale costituisce, in sostanza, una violazione molto più grave di quella amministrativa e, pur contenendo necessariamente quest’ultima, la arricchisce di elementi essenziali che non sono complessivamente riconducibili al paradigma della specialità, in quanto recano decisivi segmenti comportamentali, che si collocano temporalmente in un momento successivo al compimento dell’illecito amministrativo.

Di conseguenza, qualora l’omesso versamento riguardi ritenute certificate e sia superata la soglia, illecito penale ed illecito amministrativo concorrono ed andranno applicate sia la sanzione penale, sia quella amministrativa.

Pertanto, la norma penale non può trovare applicazione non solo nei casi in cui il sostituto non abbia operato le ritenute, ma anche nei casi in cui non abbia rilasciato la certificazione, nonché nel caso in cui abbia rilasciato la certificazione in un momento successivo alla scadenza del termine per effettuare il versamento. I due presupposti, o meglio gli elementi costitutivi della fattispecie, necessari per attribuire rilevanza penale alla condotta omissiva sono, invero, costituiti dalle parti di condotta attiva comprendenti sia l’effettuazione della ritenuta e sia la successiva emissione della certificazione.

La Corte di Cassazione osserva che i sostituti d’imposta, ossia i soggetti che corrispondono compensi, sotto qualsiasi forma, soggetti a ritenute alla fonte, e che sono tenuti al rilascio della relativa certificazione, sono tenuti a due distinti adempimenti:

1) da un lato, devono presentare annualmente la dichiarazione unica di sostituto d’imposta da cui risultino tutte le somme pagate e le ritenute operate nell’anno precedente, con i dati fiscali e contributivi contenuti nella predetta certificazione, nonché gli ulteriori dati necessari per l’attività di liquidazione e controllo dell’Amministrazione finanziaria e degli enti previdenziali e assicurativi (art. 4, comma 3-bis, D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322). Inoltre devono comunicare “all’Agenzia delle Entrate mediante appositi elenchi i dati fiscali dei percipienti”;

2) dall’altro, sono tenuti al rilascio al sostituito del c.d. CUD, (oggi Certificazione Unica) ossia un’apposita certificazione unica anche ai fini dei contributi dovuti all’Istituto nazionale per la previdenza sociale (INPS) attestante l’ammontare complessivo delle dette somme e valori, l’ammontare delle ritenute operate, delle detrazioni di imposta effettuate e dei contributi previdenziali e assistenziali, nonché gli altri dati stabiliti con il provvedimento amministrativo di approvazione dello schema di certificazione unica.

Tali certificazioni, “sottoscritte anche mediante sistemi di elaborazione automatica, sono consegnate agli interessati entro il 28 febbraio dell’anno successivo a quello in cui le somme e i valori sono stati corrisposti ovvero entro dodici giorni dalla richiesta degli stessi in caso di interruzione del rapporto di lavoro”.

Rileva notare che l’art. 4 cit. distingue tra soggetti tenuti al rilascio della certificazione (che sono tenuti alla presentazione della dichiarazione unica ed alla comunicazione di cui ai commi 3-bis e 6-bis) ed effettivo rilascio e consegna agli interessati della certificazione unica, ossia del c.d. CUD (commi 6-ter e 6-quater).

Nella sentenza della Corte di Cassazione n. 40526/2014, la questione che si pone è se può ritenersi indizio sufficiente (grave, preciso e concordante) la sola presentazione, da parte del datore di lavoro, del mod. 770.

Il Collegio non ignora che diverse decisioni di questa Corte hanno ritenuto che dal solo modello 770 emergerebbe la prova delle ritenute operate e che tali ritenute dovrebbero ritenersi per ciò stesso certificate, dal momento che non avrebbe senso dichiarare quello che non è stato corrisposto e, perciò stesso, certificato.

Ora, la presentazione del modello 770 può costituire indizio sufficiente o prova dell’avvenuto versamento delle retribuzioni e della effettuazione delle ritenute, in quanto con tale modello il datore di lavoro dichiara di averle appunto effettuate. Non può, invece, costituire altresì indizio sufficiente o prova di avere anche rilasciato le certificazioni ai sostituiti prima del termine previsto per presentare la dichiarazione, dal momento che tale modello non contiene anche la dichiarazione di avere tempestivamente emesso le certificazioni.

D’altra parte, va anche considerato che tra i due atti (dichiarazione modello 770 e certificazione rilasciata ai sostituiti) vi sono differenze sostanziali tali da non consentire di ritenere, automaticamente, che l’uno non possa risultare indipendente dall’altro. Si tratta di documenti disciplinati da fonti distinte, rispondenti a finalità non coincidenti e che non devono essere consegnati o presentati contestualmente.

E’ perciò impossibile, proprio a causa del differente contenuto e funzione dei due atti, desumere, dai dati riportati nel modello 770, il concreto rilascio, ad uno o più sostituiti di imposta, del relativo certificato.

E difatti, ben può accadere che il sostituto rilasci i certificati senza avere versato le relative ritenute, e poi non presenti la dichiarazione mod. 770, al fine di evitare di autodenunciare gli illeciti amministrativi e fiscali da lui commessi. Ed è altrettanto possibile che il sostituto non versi le ritenute e non consegni previamente i certificati ai sostituiti e poi trasmetta la dichiarazione annuale, al fine di non incorrere nelle sanzioni amministrative per omessa presentazione del modello 770, mentre il reato non è integrato per il mancato rilascio delle certificazioni.

 

L’analisi della Cassazione

I giudici di legittimità nell’analizzare il ricorso dell’imprenditore evidenziano che, nel caso in esame, corrisponde al vero che la prova dell’omesso versamento delle ritenute certificate venne fornita in sede dibattimentale attraverso la procedura di controllo automatizzato in base alla dichiarazione annuale modello 770/2006 relativa all’anno di imposta 2005; diversamente, non risulta fosse stata eseguita una verifica effettiva, documentale, al fine di accertare l’effettivo ammontare delle ritenute di cui si contesta l’omesso versamento.

La giurisprudenza di questa Corte, come ricordato dall’imprenditore ricorrente non è concorde in ordine alla prova dell’elemento costitutivo del reato di cui all’art. 10-bis, D.Lgs. n. 74 del 2000. Si è, infatti, di recente affermato che nel reato di omesso versamento di ritenute certificate, la prova dell’elemento costitutivo rappresentato dal rilascio ai sostituiti delle certificazioni attestanti le ritenute effettivamente operate, il cui onere incombe all’accusa, non può essere costituita dal solo contenuto della dichiarazione del modello 770, proveniente dal datore di lavoro.

La decisione, si noti, si pone in difformità rispetto alla prevalente giurisprudenza secondo cui nel reato di omesso versamento di ritenute certificate, la prova delle certificazioni attestanti le ritenute operate dal datore di lavoro, quale sostituto d’imposta, sulle retribuzioni effettivamente corrisposte ai sostituiti, può essere fornita dal pubblico ministero mediante documenti, testimoni o indizi.

Nel caso in esame l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale sulla questione è, di per sé, idonea a qualificare il motivo di ricorso come non manifestamente infondato.

La Cassazione osserva, tuttavia, che nel caso in esame il reato si è estinto per prescrizione, maturato quando era ancora pendente il termine di impugnazione della sentenza della Corte d’appello, tenuto conto del termine di prescrizione massima (anni 7 e mesi 6).

La Corte di Cassazione, pertanto, annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione.

 

10 luglio 2015

Federico Gavioli