No contraddittorio, non accertamento

il contraddittorio endoprocedimentale è un diritto del contribuente, quindi l’assenza rende nullo l’avviso di accertamento anticipato (C.T.P. di Aosta, segnalata da Mario Agostinelli)

FATTO

Con ricorso n. 88/13, depositato il 12 giugno 2013 pressò la Segreteria della Commissione Tributaria Provinciale di Aosta, la società “AL. VA. S.p.a.”, con sede in Aosta, ……, in persona del suo legale rappresentante sig. Pi. BA., nato a Roma il 3.6.1957 e residente in Roma – ……, rappresentata e difesa, anche disgiuntamente tra di loro, dal dott. Ed. CH., …… e dal dott. Pi. Pa. MA. ……, iscritti all’Albo dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Aosta, con studio professionale in Aosta, ……, presso il cui studio è elettivamente domiciliata ai fini del presente procedimento, giusta procura in calce al ricorso stesso, impugna l’avviso di accertamento n. ……/2012, notificato il 18.12.2012, relativo ad IRES, IRAP ed IVA per il periodo di imposta anno 2007.

Con l’avviso di accertamento impugnato, l’Agenzia delle Entrate, Direzione Regionale della Valle d’Aosta, accertava, per l’anno di imposta 2007, maggiori componenti positivi, ai fini Ires, Irap ed Iva, per € 967.745,74 in base ad un aumento dei valori dichiarati sugli atti di c/v, applicando i valori desumibili dall’Osservatorio del mercato immobiliare (OMI) e ad una rettifica, in aumento, dei metri quadrati venduti per ogni unità immobiliare, nonché una maggiore IVA dovuta pari ad € 224.290,00 poiché le vendite, effettuate dalla società nell’anno 2007, non avrebbero potuto usufruire dell’aliquota agevolata al 10%, ma bensì di quella ordinaria, allora, del 20%, cui avrebbero dovuto essere assoggettate.

Nel corso del contraddittorio tra l’Agenzia delle Entrate e la parte privata, non si perfezionava l’adesione perché la società “Al. Va. s.p.a.” dichiarava che solamente per due appartamenti su otto, il prezzo dichiarato sarebbe stato inferiore al valore minimo previsto dall’OMI e che era stata applicata l’aliquota del 10% agevolata IVA alle vendite in ossequio alle risoluzioni n. 14 del 13.1.1996 e n. 321 dell’8.10.2002 dell’Agenzia delle Entrate.

 

Con il ricorso proposto in data 16.5.2013 la società “Al. Va. s.p.a” chiede l’annullamento, previa sospensione, dell’avviso di accertamento impugnato sulla base di sette motivi di doglianza.

Sostiene la ricorrente che l’Ufficio avrebbe violato le norme dell’art. 24 L. 4/1929, dell’art. 1, L. 146/1998 e dell’art. 12, commi 2 e 4, L. 212/2000, non avendo redatto e consegnatole apposito processo verbale di constatazione di chiusura delle operazioni di verifica, con ciò violando il principio del contraddittorio e del diritto alla difesa impedendole di avvalersi degli istituti deflattivi previsti attualmente sin dalla consegna del p.v.c. stesso.

La mancata consegna del p.v.c., oltre alle violazioni di cui sopra avrebbe comportato violazioni anche all’art. 97 della Costituzione ed all’art. 1 L. 241/1990 in quanto l’Ufficio non avrebbe, ledendo il diritto alla difesa assicurato dal contraddittorio, consentito alla parte privata di avvalersi degli istituti deflattivi previsti ed avrebbe reso inevitabile una vertenza “potenzialmente evitabile” ponendosi in contrasto con “i principi generali di economicità ed efficacia dell’azione amministrativa”.

L’Ufficio avrebbe, infatti, notificato l’avviso di accertamento senza previa redazione di processo verbale di constatazione e senza rispettare il termine “dilatorio” di 60 giorni dalla notifica del processo verbale di constatazione e, quindi, in spregio a tutta la normativa vigente, che impone la chiusura delle operazioni di verifica con la formalizzazione delle contestazioni mediante redazione di apposito processo verbale di contestazione, per il rispetto del principio del contraddittorio e del diritto alla difesa di parte privata, non potendosi appellare alla “particolare e motivata urgenza, “richiesta per legge, per poter derogare a tale termine.

 

Secondo parte ricorrente l’Ufficio, in violazione all’art. 54 DPR. 633/72 ed all’art. 39 D.P.R. 600/73, avrebbe basato il proprio accertamento non su fatti certi ma su presupposti inesistenti, come le metrature non reali ma presunte, come i valori al mq. errati, come le autorimesse considerate in maniera autonoma senza che queste siano suscettibili di valutazione autonoma e non avrebbe supportato le proprie affermazioni con altri elementi probatori, quali mutui accesi da compratori per importi superiori a quelli dichiarati, quali vendite similari nel periodo, quali saldi IVA costantemente a credito o comportamenti antieconomici della società.

Sempre, secondo il parere di parte privata, l’Ufficio non potrebbe chiedere l’applicazione dell’aliquota IVA intera (all’epoca del 20%), anziché quella ridotta del 10%, poiché tratterebbesi di unità immobiliari urbane con tutte le caratteristiche, intrinseche ed estrinseche, così come riconosciute dalla risoluzione n. 14/1996.

Ne conseguirebbe, quindi, anche l’infondatezza della pretesa sanzionatoria avanzata dall’Ufficio con il provvedimento impugnato, perché le sanzioni non sarebbero applicabili in quanto là società ricorrente si sarebbe uniformata a quanto affermato dal Ministero delle Finanze e perché l’applicazione contestata sarebbe priva di motivazione. Tutti i valori dichiarati rientrerebbero nell’intervallo (minimo e massimo) dei valori OMI per l’anno 2007 ad eccezione di due incongruenze lievi e, quindi, non sufficienti a far presumere validi sospetti di evasione.

Lo scostamento sarebbe infatti di soli 11.869,23 Euro e riguardante due unità immobiliari che, seppure con vista pregevole, avrebbero aperture su un solo lato, perché altri tre lati in corrispondenza del terreno in piano seminterrato.

 

Conclusioni quindi di parte privata in via gradata:

– per l’annullamento dell’avviso di accertamento impugnato, perché illegittimo nella sua emissione e perché infondata la pretesa tributaria in esso contenuta;

– per la riduzione, in subordine, della pretesa in esso contenuta secondo legge e risultanze di causa;

– per l’eliminazione e la dichiarazione, in ogni caso, di non applicabilità o di riduzione al minimo delle sanzioni applicate;

– per la condanna dell’Ufficio al pagamento delle spese.

 

Con il medesimo atto introduttivo la società “AL. VA. S.p.A.” instava per la sospensione dell’esecuzione, ex art. 47 DLgs. 546/92, dell’atto impugnato, ravvisando il “fumus boni iuris” per i motivi legati alla procedura di emanazione ed all’infondatezza della pretesa dell’Ufficio verificatore, nonché il “periculum in mora” per l’elevato ammontare delle somme complessivamente richieste (€ 1.535.193,74) a fronte della forte esposizione debitoria della ricorrente nei confronti degli Istituti Bancari e di Credito.

Con foglio di controdeduzioni prot. n. 2013/27039 del 3.6.2013, depositato presso la Segreteria della Commissione in data 4.7.2013, l’Agenzia delle Entrate – Direzione Regionale della Valle d’Aosta – Ufficio Legale, si costituiva in giudizio sostenendo, punto per punto, l’infondatezza delle censure di parte privata.

L’Ufficio non ha redatto processo verbale di constatazione di chiusura delle operazioni di verifica “per la semplice ragione che non ha effettuato alcuna verifica!”, in quanto a suo giudizio per attività di verifica devono intendersi quelle svolte presso il contribuente ai sensi degli artt. 33 DPR 600/73 e 52 DPR 633/72 e non già quella, come del caso, svolta a tavolino sulla base di dati reperiti e di quelli presenti in Anagrafe Tributaria.

La Corte Suprema avrebbe evidenziato, secondo il parere dell’Ufficio, che le garanzie di cui alla Legge n. 212 del 2000, art. 12, si riferiscono “espressamente agli accessi, ispezioni e verifiche fiscali eseguite nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali” e sono quindi prestate esclusivamente a favore del contribuente verificato in loco.

L’art. 54, comma 3, del DPR 633/1972 espressamente prevede che l’Ufficio possa procedere a rettifica, indipendentemente dalla previa ispezione del contribuente, qualora l’esistenza di operazioni imponibili risulti da altri atti e documenti in suo possesso (cfr. Corte di Cass., 5^ sez., n. 13486 dell’11.6.2009).

Le garanzie di cui alla legge n. 212/2000, con riferimento, in particolare, all’art. 12, non varrebbero nei casi in cui gli elementi posti a fondamento della pretesa tributaria, formalizzata nell’avviso di accertamento notificato, risultano acquisiti “aliunde” e non comportano accessi, ispezioni e verifiche fiscali presso i locali di esercizio dell’impresa (Cass. n. 16354/2012).

I richiami normativi di controparte sarebbero, quindi, destituiti di fondamento, perché applicabili solamente ad attività di verifica svolte presso il contribuente che non interessa il caso in esame poiché “… l’Ufficio ha ‘semplicemente’ provveduto a rettificare la dichiarazione dei redditi ai sensi e per gli effetti dell’art. 39, c. 1, DPR 633/73 [Ndr. 600/73] (per le II.DD) e dell’art. 54 DPR 633/72 (per l’IVA)”.

 

A parere dell’Ufficio l’azione accertatrice dell’Amministrazione Finanziaria non sarebbe retta, in linea di massima e salvo specifici casi, dal principio del contraddittorio e sarebbero legittimi gli atti impositivi cosiddetti “anticipati”, emessi cioè prima del decorso dei 60 giorni dal rilascio del pvc poiché “l’effetto derogatorio dell’urgenza sussiste ex senza che sia a tal fine necessario che il fatto che la determini sia enunciato nell’atto impositivo, il quale deve indicare esclusivamente le ragioni della pretesa tributaria”.

A sostegno della propria tesi cita numerosa giurisprudenza di Cassazione ed in particolare Cass. n. 4273/2001 e n. 14675/2006, n. 11944/2012 e Corte Cost. n. 33 del 26.2.2002.

Per quanto riguarda la ripresa tributaria effettuata e quindi la ricostruzione, in base alla quale sono stati determinati maggiori elementi positivi per Euro 967.745,74, l’Ufficio ne sostiene la correttezza e la legittimità perché è stata considerata:

la posizione delle unità immobiliari compravendute (a pochi minuti da Courmayeur e dagli impianti di risalita per lo sci);

l’andamento del mercato immobiliare supportato dalla Federazione Italiana Agenti Immobiliari Professionali (F.I.A.I.P.) e dalle quotazioni O.M.I.;

La rideterminazione delle metrature indicate da parte privata in maniera imprecisa e senza documentazione idonea.

Per cui l’eccezione di controparte relativa alla presunta assenza del presupposto impositivo è infondata perché “è legittimo l’accertamento fondato sull’esistenza di considerevoli discordanze tra i ricavi dichiarati e quelli desumibili dalla caratteristica dell’attività esercitata dalla società immobiliare, pur in presenza di una contabilità perfettamente regolare… Pertanto i dati in tal modo presunti possono essere utilizzati dall’ufficio anche in contrasto con le risultanze di scritture contabili regolarmente tenute, finché non ne sia dimostrata l’infondatezza mediante idonea prova contraria, il cui onere è a carico del contribuente” (Cass. n. 19942/2012).

Per ciò che concerne l’applicazione dell’aliquota IVA ordinaria (20% all’epoca) con conseguente recupero della differenza con quella agevolata del 10% applicata da parte privata, l’Ufficio evidenzia che le determinazioni assunte con la Risoluzione n. 14/1996 nell’anno di imposta 2007, non erano più attuali e da considerarsi superate a fronte dell’entrata in vigore del D.L. n. 223/2006 (cosiddetto decreto Bersani) del 14.7.2006, poiché è rilevante ai fini dell’applicazione delle imposte la corretta distinzione tra immobili strumentali ed immobili ad uso abitativo, per cui l’Amministrazione Finanziaria, con la circolare n. 27 del 4.8.2006, quindi precedente all’anno di imposta 2007 di cui qui si discute, ha precisato “che la distinzione tra immobili ad uso abitativo e immobili strumentali deve essere operata con riferimento alla classificazione catastale dei fabbricati, a prescindere dal loro effettivo utilizzo”. Disposizione per la quale la cessione degli immobili per cui è causa, accatastati in categoria catastale D/2, relativa ad alberghi e pensioni, dovrà applicarsi l’IVA con aliquota ordinaria del 20% e non con aliquota agevolata inferiore.

Del tutto irrilevante sarebbe il fatto, come sostiene parte privata, che le unità immobiliari urbane cedute siano “atte a soddisfare autonomamente tutte le esigenze dei gruppi famigliari che le abitano” poiché dotate “tra l’altro, di angolo-cucina, bagno e posto auto”.

Il fatto che il residence venga destinato allo svolgimento di un attività di impresa di tipo turistico-alberghiero escluderebbe, quindi, che gli alloggi che fanno parte di tale complesso possano essere assimilate alle case di civile abitazione di cui alla Legge 2.7.1949 n. 408 e ciò “in quanto per casa di civile abitazione è da intendersi il luogo destinato ad ospitare, con tendenziale continuità, nuclei famigliari, per lo svolgimento della loro vita privata” (Cass. n. 8129/2001).

Infondato sarebbe, a parere dell’Ufficio, anche la doglianza secondo la quale non sarebbero irrogabili le sanzioni in materia di IVA, essendosi, la parte privata, uniformata a quanto affermato dal Ministero delle Finanze con risoluzione n. 14/1996, senza però rendersi conto che detta risoluzione era totalmente superata a seguito delle modifiche legislative intervenute nell’anno 2006 e di cui già evidenziato più sopra.

Le sanzioni sarebbero diretta ed inevitabile conseguenza delle violazioni accertate e ricadrebbe sul ricorrente l’onere di dimostrare l’esistenza di eventuale causa di non punibilità ai sensi dell’art. 6 DLgs. n. 472/1997.

Sanzioni che l’Ufficio ha irrogato nelle misure minime e nella maniera più favorevole alla parte privata.

 

Giudicando il ricorso infondato e quindi privo del c.d. “fumus boni iuris” l’Ufficio si oppone alla richiesta sospensiva dell’atto impugnato.

Non esisterebbe neanche “il periculum” perché la richiesta tributaria, di cui è questione, ammonterebbe in realtà ad 1/3 delle somme dovute (Euro 500.000,00 c.a.) e pertanto sarebbe assente il rischio di un danno grave ed irreparabile in considerazione che l’esposizione debitoria della società “Al. Va. s.p.a.” per Euro 5.779.330,00 sarebbe in parte nei confronti di imprese collegate e per debiti tutti esigibili oltre l’esercizio successivo e bilanciate da immobilizzazioni materiali, depositi bancari e riserva copertura perdite per importi superiori. Somme poi che, se riconosciute non dovute dalla Commissione adita, sarebbero rimborsate maggiorate degli interessi legali oggi del 2,5% annuo.

Conclusioni quindi per il rigetto del ricorso con condanna della parte soccombente alla rifusione delle spese di giudizio.

 

Con altri tre ricorsi, rubricati ai nn. 224/13, 225/13 e 226/13, depositati presso la Segreteria della Commissione Tributaria Provinciale di Aosta il 10.10.2013, la società “AL. VA. s.p.a.” impugnava gli avvisi di accertamento rispettivamente:

n. ……/3013, notificato il 25.6.2013, relativo a IRES, IRAP ed IVA per l’anno 2008;

n. ……/2013, notificato il 25.6.2013, relativo a IRES, IRAP ed IVA per l’anno 2009;

n. ……/2013, notificato il 25.6.2013, relativo ad IVA per l’anno 2010; tutti emessi dall’Agenzia delle Entrate – Direzione Regionale della Valle d’Aosta.

Tutti i suddetti ricorsi di parte privata contestano le riprese tributarie avanzate nei suoi confronti sostenendo, in via pregiudiziale di diritto, non legittimo il comportamento dell’ufficio, che avrebbe omesso il contradditorio e la redazione del processo verbale di constatazione e, quindi, nel merito le errate conclusioni, cui l’ufficio stesso sarebbe giunto, sia riguardo ai maggiori componenti positivi di reddito per una dichiarazione deficitaria degli importi relativi alle cessioni di unità abitative effettuate nel periodo, sia, infine, alla errata applicazione dell’aliquota agevolata IVA.

Come più dettagliatamente visto sopra nell’elencazione dei motivi di doglianza e richieste a conclusione contenuti nel ricorso n. 88/2013.

Con fogli di controdeduzioni prot. n. 2013/44966 del 6.11.2013, n. 2013/44967 e n. 2013/44968 entrambi dell’11.11.2013, tutti depositati presso la Segreteria della Commissione Tributaria Provinciale di Aosta il 14.11.2013, l’Agenzia delle Entrate – Direzione Generale della Valle d’Aosta – Ufficio legale si costituiva in giudizio opponendosi totalmente alle tesi di parte privata e concludendo, per tutti i ricorsi, con la richiesta di reiezione degli stessi come sopra sintetizzato.

Sia la società ricorrente, sia l’Ufficio, con fogli di controdeduzioni presentate, rispettivamente il 17.1.2014 ed il 29.1.2014, sviluppavano ulteriormente le motivazioni espresse nei ricorsi principali e nelle costituzioni in giudizio con dovizia di particolari, di riferimenti legislativi e di giurisprudenza con abbondante produzione al vaglio della Commissione adita.

Nel corso dell’udienza del 25.11.2013 sono state accolte le istanze di sospensiva dei ricorsi n. 88/13, n. 224/13, n. 225/13 e n. 226/13, relativi ad IRES, IRAP ed IVA per gli anni di imposta 2007, 2008, 2009 e 2010.

Nel corso dell’udienza del 25.11.2013, inoltre, a seguito della concorde richiesta delle parti in causa e per connessione oggettiva e soggettiva, la Commissione ha riunito al ricorso n. 88/13 i ricorsi portanti i nn. 224/13, 225/13 e 226/13.

 

DIRITTO

 

I ricorsi riuniti, tempestivi e rituali, per ciò stesso avviati alla discussione, sono fondati e devono, pertanto, essere accolti.

Innanzitutto il Collegio ritiene che debba essere esaminata l’eccezione pregiudiziale sollevata dalla società ricorrente in merito alla mancata redazione, da parte dell’Ufficio, del processo verbale di constatazione, prima della notifica, scaduto il termine di sessanta giorni volto al rispetto dei principi di cooperazione tra amministrazione e contribuente, degli avvisi di accertamento qui impugnati.

L’Ufficio sostiene che non era necessaria la redazione del processo verbale di constatazione di chiusura delle operazioni di verifica “per la semplice ragione che non ha effettuato alcuna verifica!” in quanto per attività di verifica dovrebbero considerarsi quelle svolte “presso il contribuente” mentre nel caso in esame si sarebbe limitato ad un controllo “a tavolino” sulla base dei dati reperiti e di quelli presenti in Anagrafe “Tributaria; in sostanza non sarebbe il caso previsto dall’art. 12, comma 7, della Legge 27 luglio n. 212 (“Statuto dei diritti del contribuente”).

La norma suddetta stabilisce che: “nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori. L’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza”.

 

Secondo il parere di questo Collegio, la tesi dell’Ufficio è priva di fondamento e di supporto giuridico in quanto:

il titolo: “Diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali”, così come il contenuto dell’art. 12 citato si riferisce a tutti i casi in cui vi sia una verifica fiscale, senza porre ulteriori specificazioni;

il caso, di cui oggi si discute, corrisponde sicuramente ad una verifica fiscale, cui l’Ufficio ha sottoposto, senza accessi presso la sede di attività, la società ricorrente, alla quale non può, di conseguenza, esserle negata l’applicazione di detta norma di legge;

l’Ufficio può legittimamente far proprie le risultanze ed i dati contenuti in Anagrafe Tributaria o di cui viene a conoscenza tramite Enti di statistica, di raccolta dati (OMI, FIAIP, ecc.) o notizie diffuse a mezzo stampa e “media”, ma ciò deve essere inserito all’interno delle procedure previste dallo stesso art. 12.

L’Ufficio avrebbe dovuto quindi tradurre questa sua decisione in uno specifico e motivato processo verbale di constatazione al fine di garantire i diritti della contribuente che la norma in questione ha fissato senza condizionali; ciò non è avvenuto.

L’unica possibilità per l’Ufficio di anticipare i tempi di notifica dell’avviso di accertamento non rispettando i termini di sessanta giorni dalla redazione del processo verbale di constatazione di chiusura delle operazioni di verifica era quello, previsto appunto in caso di particolare e motivata urgenza, di cui, però, agli atti non risulta traccia ed è assorbita dalla mancanza principale: quella cioè di non avere redatto e portato a conoscenza di parte privata del più volte menzionato processo verbale di constatazione.

 

Accertato, dunque, che ci si trova nella situazione prevista dalla norma contenuta nell’art. 12 sopra citato, è necessario ora verificare quali siano le conseguenze della violazione perpetrata dall’Ufficio medesimo.

L’unica sanzione applicabile all’avviso di accertamento emesso prima del compimento del termine di sessanta giorni a decorrere da un momento che non si è neppure verificato, cioè la formazione e la notifica alla società ricorrente (contribuente) del processo verbale di constatazione, malgrado l’assenza di una previsione normativa espressa, non può che essere quella della nullità radicale.

Recentemente, con sentenza n. 18184 del 29.7.2013 delle Sezioni Unite, la Corte di Cassazione, nel risolvere una non sempre uniforme giurisprudenza in materia, ha ribadito la nullità di atti similari, formulando il seguente principio di diritto:

in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’art. 12, comma 7, della Legge 27.7.2000 n. 212, deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni d’urgenza, la illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus”.

Nell’occasione, la Suprema Corte ha anche aggiunto che “detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contradditorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva”.

Se ne deve pertanto dedurre che tutti i contribuenti sottoposti a verifica fiscale, indipendentemente dalle modalità con le quali è stata esercitata l’attività istruttoria e nel rispetto del principio di uguaglianza tra le parti, hanno pieno ed inevitabile diritto a presentare “osservazioni e richieste” prima della notifica dell’avviso di accertamento. La ratio stessa dell’art. 12, comma 7, va vista nell’esigenza, propria di tutto lo Statuto dei diritti del contribuente, di dare concreta attuazione al principio di collaborazione, buona fede e buon andamento della pubblica amministrazione.

Soltanto attraverso la formazione del processo verbale di constatazione, imposto anche dall’art. 21 della legge 7.1.1929 n. 4, si mette il Contribuente nella condizione di esercitare il diritto che l’art. 12, comma 7, gli ha riconosciuto.

L’Ufficio, notificando direttamente l’avviso di accertamento impugnato, senza previa redazione del processo verbale di constatazione, ha aggirato l’obbligo imposto dalla prescrizione statutaria (norma, come già sopra affermato, vincolante la cui non applicazione è sanzionata di nullità insanabile a prescindere da ogni considerazione sulla mancata previsione espressa di una tale, irreparabile conseguenza); la contribuente del caso in esame si è vista, in tal modo, precludere l’esercizio del diritto di difesa mediante lo strumento delle “osservazioni” di cui al più volte citato comma 7.

 

A giudizio di questo Collegio, l’illegittimità dell’operato dell’Ufficio, che ha omesso la formazione del processo verbale di constatazione, è resa ancora più palese e tangibile dal fatto che alla società contribuente è stata per ciò stesso pregiudicata la possibilità di usufruire delle agevolazioni previste dall’art. 5-bis, del D.L. 25.6.2008 n. 112, che prevede l’istituto dell’adesione a processi verbali di constatazione.

Il senso di detta norma è quello di rendere possibile con estrema rapidità la definizione di un processo verbale di constatazione, redatto ai sensi dell’art. 24 della legge 7.1.1924 n. 4, con un notevole abbattimento delle sanzioni (del 50% rispetto alla riduzione già prevista per altre forme di accertamento con adesione).

In assenza del processo verbale di constatazione diventa superfluo verificare se, nel caso di cui ci si occupa, ricorressero o meno “casi di particolare e motivata urgenza” tali da giustificare l’emissione dell’accertamento senza il rispetto del suddetto termine. Ipotizzando, tuttavia, di superare questo ostacolo, non si può non rilevare che di tali “casi di particolare e motivata urgenza” l’Ufficio non ha fatto cenno alcuno negli atti impositivi (senza, peraltro, esplicitarli, pur tardivamente, nell’odierna sede giudiziale).

Sempre nell’ambito di tali ipotesi, ci troveremmo, quindi, di fronte ad una mancata motivazione della decisione assunta dall’erario.

Anche l’infrazione dell’obbligo di motivazione è, però, espressamente sanzionata in termini di invalidità dell’atto sia, in via generale, dall’art. 21-septies della Legge 27.7.1990 n. 241, sia con riferimento all’accertamento delle imposte sui redditi e dell’IVA, rispettivamente dall’art. 42, commi 2 e 3, del D.P.R. 29.9.1973 n. 600, e dall’art. 56, comma 5, del D.P.R. 29.10.1972 n. 633.

Alcune sentenze, in passato, sostenevano che la sanzione di nullità non era applicabile in quanto l’art. 12 comma 7, rappresenta una norma priva di sanzione. Questo aspetto è, però, già stato debitamente chiarito oltre che dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella citata decisione, anche dalla Corte Costituzionale attraverso l’ordinanza 24.7.2009 n. 244.Vale ricordare anche come, l’Ordinanza depositata il 18.10.2013, la n. 23690 (Pres. Ci., Rel. Bo.), con la quale la Corte di Cassazione ignora il pronunciamento delle Sezioni Unite di soli tre mesi addietro – sentenza n. 18184/2013 (Pres. Lu., Rel. Vi.), resosi necessario per dirimere la “querelle” giurisprudenziale e quindi considerarsi il problema superato – debba considerarsi solo come un “scivolone” della Cassazione e costituisca un’inaccettabile passo indietro ed una irrituale violazione del “precedente vincolante sancito appunto dalle Sezioni Unite con la citata sentenza.

In conclusione, poiché le garanzie di cui all’art. 12, comma 7, non sono state riconosciute nel caso specifico alla società ricorrente, gli avvisi di accertamento non possono che essere dichiarati illegittimi e conseguentemente annullati (cfr. sentenza n. 133/13, udienza del 2.12.2013, pronunciata il 19.12.2013 e dep. in Segr. il 19.12.2013, sez. 3^ della Commissione Tributaria Provinciale di Aosta).

L’accoglimento della questione pregiudiziale rende inutile l’esame degli ulteriori motivi di ricorso avanzati dalla società “AL. VL. S.p.a.”.

Si ravvisano giuste ragioni, considerate le contrastanti interpretazioni giurisprudenziali susseguitesi nel tempo e risolte dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con una pronuncia successiva alla proposizione del ricorso n. 88/2013 e comunque alle notifiche (25.6.2013) degli atti impugnati con i ricorsi ad esso riuniti, per dichiarare l’integrale compensazione delle spese di giudizio.

PQM

La Commissione accoglie i ricorsi riuniti e, per l’effetto, annulla gli avvisi di accertamento impugnati. Spese compensate.