La rimessione in termini deve essere tempestiva

la rimessione in termini presuppone la tempestività dell’iniziativa della parte che assuma di essere incorsa in una decadenza per causa ad essa non imputabile; tale tempestività postula un’immediata reazione della parte stessa al palesarsi della necessità di svolgere un’attività processuale ormai preclusa

La rimessione in termini, tanto nella versione prevista dall’art. 184 bis, quanto in quella di più ampia portata prefigurata dal novellato art. 153, co. 2 c.p.c., presuppone la tempestività dell’iniziativa della parte che assuma di essere incorsa in una decadenza per causa ad essa non imputabile. Siffatta tempestività postula, invero, un’immediata reazione della parte stessa al palesarsi della necessità di svolgere un’attività processuale ormai preclusa, ovverosia non appena la medesima abbia acquisito la consapevolezza di avere violato il termine stabilito dalla legge o dal giudice per il compimento dell’atto

Massima di Ignazio Buscema

 

CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 23 ottobre 2013, n. 24016

Premesso in fatto

1. Con sentenza n. 155/9/11, depositata il 26.9.11, la Commissione Tributaria Regionale della Puglia accoglieva l’appello proposto dalla Agenzia delle Entrate – Ufficio di Bari avverso la decisione di primo grado, con la quale era stato accolto il ricorso proposto dall’avv. A.A. nei confronti dell’avviso di accertamento, emesso dall’Ufficio ai fini IRPEF, IRAP ed IVA per l’anno di imposta 2005.

2. La CTR – in riforma della decisione di prime cure – riteneva, invero, del tutto legittimo l’atto impositivo, emesso dall’Amministrazione finanziaria sulla base degli studi di settore e tenuto conto delle ragioni esposte dal contribuente, poiché pienamente conforme al disposto degli artt. 42 d.P.R. 600/73 e 7 L. 212/00.

3. Per la cassazione della sentenza n. 155/9/11 ha proposto ricorso il contribuente affidato a tre motivi, ai quali l’Agenzia delle Entrate ha replicato con controricorso.

Osserva in diritto

1. Con il primo motivo di ricorso, l’A. denuncia la violazione degli artt. 101, 184 bis c.p.c., 36 d.lgs. 546/92 e 111 Cost. in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.

1.1. La sentenza di appello sarebbe, invero, a parere del ricorrente, affetta da nullità per violazione del principio del contraddittorio previsto dagli artt. 101 c.p.c. e 111 Cost., nonché per omessa pronuncia ai sensi degli artt. 36 d.lgs. 546/92 e 112 c.p.c., per non essersi la CTR pronunciata affatto sull’istanza di rimessione in termini, proposta dall’A. in data 12.7.11, dopo la celebrazione dell’udienza di discussione del ricorso in appello dell’Amministrazione finanziaria, tenutasi in data 30.6.11. Con tale istanza, l’A. – difensore di sé medesimo, attesa la sua qualità di avvocato – chiedeva di essere rimesso in termini per la costituzione nel giudizio di secondo grado, essendogli stata la tempestiva costituzione in siffatto giudizio impedita – a suo dire – da “incontrovertibili gravi motivi di salute”.

Su tale domanda del contribuente, peraltro, il giudice del gravame non si sarebbe espresso in alcun modo, provvedendo, per contro, al deposito della sentenza, in data 26.9.11.

1.2. Il motivo è infondato.

1.2.1. Non può revocarsi in dubbio, infatti, che la rimessione in termini, tanto nella versione prevista dall’art. 184 bis, quanto in quella di più ampia portata prefigurata dal novellato art. 153, co. 2 c.p.c., presupponga la tempestività dell’iniziativa della parte che assuma di essere incorsa in una decadenza per causa ad essa non imputabile. Siffatta tempestività postula, invero, un’immediata reazione della parte stessa al palesarsi della necessità di svolgere un’attività processuale ormai preclusa, ovverosia non appena la medesima abbia acquisito la consapevolezza di avere violato il termine stabilito dalla legge o dal giudice per il compimento dell’atto (Cass. 23561/11, 4841/12).

1. 2.2. Ebbene, nel caso di specie, l’A. ha depositato il ricorso per rimessione in termini il 12.7.11, ossia a distanza di oltre due mesi dalla scadenza del termine nel quale sì sarebbe dovuto costituire nel giudizio di appello (ossia il 6.5.11, essendo stata la notifica dell’atto di gravame effettuata nei suoi confronti il 7.3.11), e solo dopo che l’udienza di discussione era stata già tenuta. Né il ricorrente lamenta in alcun modo una omissione di notifica, ovvero della comunicazione della data di udienza, tali da poter influire sull’instaurazione del contraddittorio e sull’esercizio del diritto di difesa.

D’altra parte, dalla certificazione sanitaria in data 11.7.11, riprodotta nel ricorso, si evince che il contribuente si trovava in precarie condizioni di salute, quanto alla deambulazione, fin dall’inizio dell’anno 2011, sicché il medesimo era certamente consapevole da tempo della difficoltà di costituirsi tempestivamente in udienza, per cui ben poteva – e doveva – predisporre per tempo l’istanza in parola.

La censura in esame va, pertanto, rigettata.

2. Con il secondo motivo di ricorso, l’A. denuncia, poi, la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.

2.1. La decisione di seconde cure sarebbe, infatti, affetta da nullità – secondo il ricorrente – anche sotto un secondo profilo, ovverosia per essersi la CTR pronunciata nel merito del gravame,. accogliendo l’appello dell’Ufficio, pur avendo l’Amministrazione concluso il proprio ricorso chiedendo dichiararsi la “nullità” dell’impugnata sentenza. Il giudice di appello sarebbe, di conseguenza, incorso nel vizio di extrapetizione, con conseguente nullità della decisione resa nel giudizio di gravame.

2.2. La censura è infondata.

2.2.1. Il solo fatto che erroneamente l’atto dì appello dell’Agenzia delle Entrate si concluda con la richiesta di dichiarare “nulla” la sentenza di primo grado, non comporta extrapetizione, per essersi il giudice pronunciato sul merito della vicenda. Va considerato – per vero – che, come lo stesso ricorrente riconosce (pp. 5 e 6 del ricorso), l’Amministrazione aveva compiutamente riproposto le difese di merito già avanzate in prime cure, circa la legittimità dell’atto impositivo emesso nei confronti dell’A., non avendo, quindi, incentrato affatto il proprio gravame su presunti vizi idonei ad inficiare la validità della sentenza di primo grado.

2.2.2. D’altro canto, deve ritenersi che la valutazione dell’atto di appello, da parte del giudice di seconde cure, non possa che essere globale, nel senso che essa debba essere condotta in relazione all’intero atto, tenendo conto anche delle deduzioni contenute nel corpo di esso, e senza limitarsi al solo esame delle relative conclusioni (cfr. Cass. 17013/10). Sicché, nel caso concreto, correttamente la CTR non si è ritenuta vincolata dalle sole conclusioni del ricorso in appello dell’Amministrazione, ed ha provveduto a determinare il thema decidendo del giudizio di gravame anche alla stregua di quanto dedotto nell’intero atto.

Anche il presente motivo di ricorso va, dunque, disatteso.

3. Con il terzo motivo, l’A. denuncia, infine, l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un fatto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.

3.1. Il giudice di appello avrebbe, difatti, omesso di valutare adeguatamente – a parere del ricorrente – la documentazione sanitaria versata in atti, dalla quale si desumerebbe, a suo avviso, che – in conseguenza delle notevoli ripercussioni fisiche subite in conseguenza di un grave sinistro stradale – il reddito di esso istante per gli anni successivi a quello in contestazione (2005) sarebbe stato sensibilmente inferiore. Di qui il carattere “del tutto episodico” che l’aumento del volume di affari nel 2005 rivestirebbe, ad avviso dell’A..

Come pure, il giudice di appello non avrebbe tenuto in alcun conto, secondo il ricorrente, il costo straordinario costituito dal pagamento di una notevole somma di denaro ad un dipendente, all’esito di una vertenza di lavoro da questi incardinata nei suoi confronti.

3.2. Anche la censura in esame si palesa, peraltro, del tutto infondata.

3.2.1. La motivazione dell’impugnata sentenza, non merita, invero, censura alcuna da parte di questa Corte, palesandosi essa del tutto corretta e logica, nonché in linea con le affermazioni di questo giudice di legittimità in materia di accertamento induttivo fondato su studi di settore. Secondo il costante insegnamento di questa Corte, infatti, l’avviso di accertamento non può fondarsi sul mero scostamento dei dati dichiarati dai contribuente rispetto a quelli relativi alla media del settore, dovendo l’Amministrazione suffragare la pretesa con ulteriori elementi ed indizi idonei a dimostrarne l’attendibilità. Di più, l’Ufficio è tenuto ad instaurare un contraddittorio con il contribuente ed a tenere conto delle sue giustificazioni, sì da pervenire ad un adeguamento personalizzato delle risultanze di tali studi, che tenga conto della probabilità di errore nella stima. La media di settore in sé considerata non è, per vero, un fatto sufficiente a fondare la prova presuntiva di un maggior reddito, potendo assumere tale valore probatorio solo all’esito della valutazione degli elementi raccolti nel contraddittorio con il contribuente, da instaurarsi a pena di nullità dell’atto impositivo (Cass. 17804/12, Cass.S.U. 26635/09).

3.2.2 Ebbene, nel caso concreto, l’impugnata sentenza – dato atto della regolare instaurazione del contraddittorio con l’A. in fase amministrativa – ha adeguatamente valutato le ragioni esposte dal contribuente, pervenendo al convincimento che la documentazione sanitaria dal medesimo prodotta fosse irrilevante, poiché riguardante accertamenti sanitari eseguiti nell’anno 2009, ossia successivi di quattro anni rispetto all’anno dì imposta in contestazione (2005). La CTR ha, dipoi, considerato che l’inabilità fisica del ricorrente non aveva potuto, in concreto, incidere sulla sua capacità lavorativa, come da questi dedotto, essendosi verificato, negli ultimi quattro anni, un costante e regolare aumento dei ricavi conseguiti dall’A. nello svolgimento della sua attività di avvocato.

Allo stesso modo – in considerazione del costante aumento del volume di affari – a parere della CTR non poteva ascriversi un significativo rilievo ad un isolato costo straordinario, per il personale dipendente, affrontato dall’A. nell’anno in considerazione.

Per contro, il giudice di appello ha rilevato che assume certamente valore significativo, sul piano indiziario e presuntivo, il comportamento antieconomico del contribuente, concretatosi nella dichiarazione, da parte del medesimo, di un reddito nettamente inferiore – nell’anno 2005 – ai costi sostenuti per il personale dipendente e per compensi corrisposti a terzi. E non può revocarsi in dubbio che, in caso di accertamento induttivo fondato su studi di settore, l’Ufficio ben possa fondarsi anche solo su alcuni elementi ritenuti sintomatici per la ricostruzione del reddito del contribuente (Cass. 16430/11).

Orbene è indubitabile che, a fronte di un percorso motivazionale corretto e logicamente coerente come quello suesposto, non possa questa Corte censurarne le risultanze, operando un riesame del merito dell’intera vicenda processuale alla stregua delle deduzioni di parte ricorrente, essendo siffatto riesame certamente inibito nella presente sede di legittimità (Cass. 2357/04, 27197/11).

4. Per tutti i motivi esposti, pertanto, il ricorso dell’A. non può che essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente alle spese del presente giudizio, nella misura di cui in dispositivo.

 

P.Q.M.

Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio, che liquida in € 5.500,00, oltre alle spese prenotate a debito.