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Come è ben noto, ai sensi dell’art. 22 del D.L. n. 78/2010, l’Ufficio che procede alla determinazione sintetica del reddito complessivo ha l’obbligo normativo di instaurare un preventivo contraddittorio, condicio sine qua non dell’azione di accertamento la cui inosservanza comporta la nullità del provvedimento finale. Sussiste, quindi, l’obbligo giuridico di invitare il contribuente a comparire di persona o per mezzo di rappresentanti per fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell’accertamento e, successivamente, di avviare il procedimento di accertamento con adesione ai sensi dell’art. 5 del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218.
La disposizione di legge di recente introduzione, in altre parole, ha sancito l’obbligatorietà di una prassi operativa in realtà già intrapresa dagli Uffici finanziari; infatti, gli Organi centrali dell’Agenzia delle Entrate hanno sempre indirizzato gli Uffici periferici verso il contraddittorio preventivo con riferimento alla forma di accertamento in esame.
Occorre evidenziare, infatti, che sebbene la vecchia formulazione dell’art.38 del D.P.R. n. 600/1973 non prevedesse l’obbligatorietà del preventivo contradditorio con il contribuente, in realtà la stessa Amministrazione Finanziaria ha più volte ribadito l’opportunità, prima di notificare l’avviso di accertamento, di instaurare un confronto con il cittadino.
Infatti, la circolare ministeriale n. 109/E del 1999:
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segnalava la necessità di “permettere al contribuente di provare preventivamente che il reddito determinabile sinteticamente trova giustificazione, in tutto o in parte, nel possesso di redditi esenti o soggetti alla ritenuta alla fonte a titolo d’imposta o ad imposta sostitutiva, ovvero in altre circostanze di fatto quali, ad esempio, disinvestimenti patrimoniali, percezione di indennizzi che legittimamente non hanno concorso alla determinazione del reddito, atti di liberalità degli ascendenti”;
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.precisava che tale prova “potrà essere richiesta in fase istruttoria (questionario, verbale di colloquio) ovvero con l’invito di comparizione previsto, ai fini dell’accertamento con adesione, dall’art. 5, comma 1, del D.Lgs. n. 218/97”;
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stabiliva che “in sede di valutazione delle prove giustificative addotte dal contribuente, gli Uffici si attengano ai necessari principi di ragionevolezza, al fine di pervenire a determinazioni reddituali convincenti e sostenibili secondo gli ordinari canoni probatori”.
Ex pluribus, la circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 49/E del 2007 rimarcava la necessità di vagliare ogni genere di giustificazione del contribuente, anche riferibile ai componenti il nucleo familiare, che, pur non essendo espressamente considerata nel comma 6 dell’art. 38 del D.P.R. n. 600/73, fosse suscettibile di apprezzamento, quale, ad esempio, utilizzo di finanziamenti, utilizzo di somme di denaro derivanti da eredità, donazioni, vincite, ecc., utilizzo di effettivi redditi conseguiti a fronte di importi fiscali convenzionali (ad esempio, i redditi agrari tassati non in base al reddito effettivamente prodotto, bensì alle rendite catastali aggiornate), utilizzo di somme riscosse, al di fuori dall’esercizio d’impresa, a titolo di risarcimento patrimoniale.
In ogni caso, suddetto contraddittorio, antecedentemente alle disposizioni dettate con il più volte citato art. 22 del D.L. n. 78/2010, non è stato ritenuto condicio sine qua non per la validità dell’accertamento sintetico; infatti, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7485 del 27.03.2010, ha recentemente ribadito che la mancata instaurazione del contraddittorio non inficia la validità dell’accertamento, stante la mancata previsione in tal senso ad opera del legislatore; a detta della Corte, infatti, “l’accertamento con metodo sintetico del reddito imponibile del contribuente non reca alcun vizio di illegittimità laddove non sia stato preventivamente attivato il contradditorio ben potendo il soggetto verificato allegare ogni e qualsiasi elemento atto ad inficiare l’efficacia probatoria e la portata delle presunzioni invocate dall’Amministrazione finanziaria.”
D’altra parte, occorre evidenziare che, sempre nell’ambito del diritto tributario, vi sono procedure di accertamento che, pur regolate da un lex probatoria pro – fisco, non prevedono obbligatoriamente un preventivo confronto con il contribuente. Con riguardo, infatti, alle indagini finanziarie di cui all’art.51, comma 2, n.7 del D.P.R. n. 633/1972 e all’art.32, comma 1, n.7 del D.P.R. n. 600/1973, la giurisprudenza della Corte di Cassazione e la stessa Agenzia delle Entrate (Circolare n.32/E/2006) hanno chiaramente affermato che il contraddittorio del contribuente costituisce una semplice facoltà conferita agli Organi di controllo, non obbligatoria né sul piano della legittimità degli accertamenti finanziari, né sul piano della possibilità di ricostruire comunque la posizione fiscale del soggetto sulla base delle risultanze degli accertamenti stessi. La giurisprudenza della Corte di Cassazione (sent. 07.02.2008 n. 282), in ormai numerosissime pronunce, ha aderito in pieno a questa impostazione, riconoscendo non solo la legittimità, ai fini dell’accertamento in tema di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, dell’utilizzazione dei dati relativi ai movimenti dei conti correnti bancari del contribuente anche in assenza di una apposita convocazione dello stesso nella fase istruttoria, rilevando l’insussistenza di norme che impongano tale convocazione prima della fase dell’accertamento vero e proprio, ma facendo comunque salvo l’effetto, pure in questa circostanza, di determinare in capo al contribuente l’obbligo di dimostrare, in caso di omessa contabilizzazione o dichiarazione delle operazioni bancarie e finanziarie, la loro irrilevanza fiscale. In altri termini, la mancata effettuazione del contraddittorio preventivo non degrada la presunzione legale prevista dalla disciplina in esame a presunzione semplice.
Sulla questione dell’obbligatorietà del contraddittorio nell’accertamento sintetico nella formulazione antecedente a quella introdotta dalla manovra correttiva, comunque, non sono mancate pronunce giurisprudenziali di segno opposto; infatti, con le sentenze della CTR di Roma n. 160 del 23.04.2008 e della CTP di Novara n. 8 del 10.02.2009, è stato ribadito che l’ufficio non solo deve previamente confrontarsi con il contribuente, ma ha anche l’obbligo di motivare il perché ha ritenuto infondate le deduzioni difensive di quest’ultimo.
Le considerazioni poc’anzi formulate consentono di comprendere l’importanza delle innovazioni introdotte dal D.L. n. 78/2010, chiaramente ispirate dalla necessità di adeguare gli strumenti accertativi ai principi attualmente regolanti l’attività pubblica. Infatti, il rapporto tra il cittadino e la Pubblica Amministrazione è stato oggetto di un profondo processo di rivisitazione teso al superamento della concezione autoritativa dell’azione amministrativa; in altre parole, la Pubblica Amministrazione, nel perseguimento dei propri fini istituzionali, è tenuta al contemperamento dell’esigenza di improntare le propria azione ai criteri di tempestività, efficacia, efficienza ed economicità con l’imprescindibile tutela della posizione giuridica di cui risulta titolare il cittadino nei confronti della stessa azione amministrativa.
Il legislatore, quindi, al fine di improntare il procedimento amministrativo tributario ai principi della cooperazione, trasparenza, rispetto reciproco degli “attori”, certezza dei diritti e snellezza delle procedure, ha disciplinato le relazioni tra gli organi di controllo ed i controllati tramite il c.d. Statuto dei Contribuenti, approvato con la Legge 27 luglio 2000, n. 212 (in Gazz. Uff., 31 luglio, n. 177) e contenente i principi generali dell’ordinamento tributario, attuativi delle disposizioni costituzionali di cui agli artt. 3, 23, 53 e 97 Cost., cui devono essere coordinate e rese coerenti le disposizioni vigenti in materia.
Il principio generale di collaborazione contenuto nella Legge n. 241/1990 viene ulteriormente ribadito in ambito tributario dall’art.10 dello Statuto del Contribuente. Tale disposizione normativa, contenente un principio intimamente connesso con le già analizzate previsioni a tutela della chiarezza, trasparenza e certezza dei rapporti tra contribuente e Fisco, prevede che questi devono essere improntati alla collaborazione e buona fede.
In diverse statuizioni giurisprudenziali, inoltre, si è più volte affermata l’opportunità di garantire, anche nel procedimento amministrativo tributario di accertamento delle imposte, la partecipazione del cittadino; infatti, è stato puntualizzato quanto di seguito riportato:
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in virtù dei principi di "buona amministrazione" e di "legalità dell'attività amministrativa", si deve ritenere che, sebbene non espressamente previsto, "il contraddittorio procedimentale amministrativo sia necessario anche in materia tributaria" - la causa era relativa ad un accertamento basato sui parametri contabili - (Cass. 07.02.2008 n. 2816);
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la fase di contraddittorio con il contribuente riveste importanza anche in ipotesi di accertamenti fondati sul c.d. "redditometro", sebbene ciò non sia espressamente previsto dal legislatore (CTR Roma 23.04.2008 n. 160);
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l'art. 52 c. 6 del DPR 633/72, secondo cui di ogni accesso deve essere redatto processo verbale da cui risultino, tra l'altro, le richieste fatte al contribuente e le risposte ricevute, "evidenzia che il contraddittorio tra le parti deve instaurarsi sin dalla fase procedimentale ed istruttoria che precede la redazione del verbale di constatazione" (CTC.07.04.2005 n. 3170);
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è affetto da vizio di motivazione l'atto che non illustri per quali ragioni le deduzioni difensive del contribuente sono state ritenute prive di rilievo (CTP Vercelli 17.08.2009 n. 55).
Ex pluribus, analizzando le disposizioni interne dettate dal Corpo della Guardia di Finanza con la Circ. 1/2008 (Parte III, cap. 3), si evince che il contraddittorio è ritenuto una fase fondamentale del procedimento di verifica perché, pur non costituendo un preciso dovere giuridico, viene sottolineato “come una costruttiva ed equilibrata dialettica, adeguatamente formalizzata, tra verificatori e soggetto ispezionato sia quanto mai opportuna, nell'interesse stesso della proficuità e sostenibilità delle risultanze del controllo".
Ulteriori spunti di riflessione rinvengono, altresì, dall’analisi della giurisprudenza della Corte di Giustizia della Comunità Europea. Infatti, nella c.d. sentenza “Sopropé”1, la Corte di Giustizia europea (C-349/07, decisione del 18 dicembre 2008), si è pronunciata in ordine al “giusto procedimento tributario” e alla necessità dell’instaurazione del contraddittorio obbligatorio con il contribuente ante avviso di accertamento, specialmente in ipotesi di accertamento attraverso costi standard, con valutazioni automatiche.
La sentenza “Sopropé” della Corte Ue ha riconosciuto come il principio del contraddittorio nel procedimento tributario corrisponda ad un principio fondamentale del diritto comunitario. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sentt. del 18 dicembre 2009 nn. 26635, 26636, 26637, 26638) hanno ribadito, nel solco della citata pronuncia della Corte di Giustizia europea, due principi fondamentali nell’ordinamento tributario: da un lato, l’esistenza e la vigenza nell’ordinamento del principio del giusto procedimento tributario, ma soprattutto che il contraddittorio è uno strumento irrinunciabile (nell’istruttoria e a tutela del contribuente) rispetto alle ipotesi di accertamento, innanzitutto per quello fondato su dati standard. L’organo giurisdizionale comunitario, pertanto, ha affermato che:
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i diritti fondamentali sono parte integrante dei principi generali dei quali la Corte di Giustizia garantisce l’osservanza, ispirandosi alle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri e alle indicazioni fornite dai trattati internazionali sulla tutela dei diritti dell’uomo, cui i Paesi membri hanno cooperato o aderito;
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il rispetto dei diritti della difesa costituisce un principio generale del diritto comunitario che trova applicazione ogniqualvolta l’Amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto ad esso lesivo;
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in forza di tale principio, i destinatari di decisioni che incidono sui loro interessi devono essere messi in condizione di manifestare utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi sui quali l’Amministrazione intende fondare la sua decisione;
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la regola ha lo scopo di consentire all’autorità competente di considerare gli elementi del caso per assicurare una effettiva tutela del soggetto coinvolto, al fine di consentirgli di correggere un errore o far valere elementi relativi alla sua situazione personale e far sì che la decisione sia adottata o non sia adottata, ovvero abbia un contenuto piuttosto che un altro.
Pertanto, la Commissione della Comunità Europea, ha ribadito che il rispetto dei diritti della difesa, impone che il destinatario di una decisione lesiva, abbia il diritto di manifestare il proprio punto di vista in un ragionevole periodo di tempo; la sentenza, pertanto, assume un rilievo pratico di assoluto valore, per via del fatto che la Corte di Giustizia Europea ha rimarcato che il contraddittorio corrisponde ad uno strumento di attuazione dei principi di buona amministrazione.
La Cassazione2 si è pronunciata, nello specifico, in tema di accertamento da studi di settore, allineandosi alla citata sentenza UE e dichiarando necessario il contraddittorio preventivo per consentire al contribuente di esercitare il suo diritto di difesa già prima della formazione dell’atto di contestazione della pretesa fiscale, in modo da assicurargli il diritto ad un’adeguata conoscenza preventiva del procedimento, volta a prevenire ingiuste penalizzazioni a seguito dell’azione amministrativa potestativa. Ciò in presenza di prove e motivazioni non scaturite da una effettiva constatazione della realtà reddituale del contribuente ma, meramente costruita a tavolino. Evitando, qualora ce ne fossero le condizioni, il formalizzarsi di una pretesa e di una successiva lite che potrebbero avere un impatto non trascurabile nella sfera economica, patrimoniale e personale dello stesso soggetto, a volte non rimediabile neanche a seguito di vittoria in un successivo giudizio.
Ritornando all’esame dell’attuale accertamento sintetico, è evidente che la fase del contraddittorio rappresenta la naturale sede per fornire la prova contraria prevista dal comma 4 del citato articolo 38, il quale stabilisce che l’Ufficio non può procedere all’accertamentosintetico del reddito sulla base delle spese sostenute nel periodo d’imposta dal contribuente, qualora questi fornisca la prova che il finanziamento di dette spese “è avvenuto con redditi diversi da quelli posseduti nello stesso periodo d’imposta, o con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta o, comunque, legalmente esclusi dalla formazione della base imponibile”.
La possibilità di far valere la prova contraria è, poi, prevista, anche con riferimento all’accertamento “redditometrico”, dal successivo comma 5 dell’indicato articolo.
Si sottolinea, al riguardo, che l’accertamentosintetico del reddito dispensa l’Amministrazione finanziaria da qualunque ulteriore prova rispetto all’esistenza degli indici di spesa e addossa al contribuente l’onere di dimostrare l’infondatezza della pretesa erariale.
Si sottolinea, infine, che il comma 7 dell’articolo 38 prevede che, successivamente al contraddittorio, l’Ufficio ha l’obbligo di avviare la procedura di accertamento con adesione di cui all’art. 5 del D.Lgs. n. 218/1997.
19 settembre 2013
Nicola Monfreda
1 Nella causa C-349/07, meglio nota come causa Sopropè, la domanda di pronuncia pregiudiziale avanzata alla Corte di Giustizia Europea dal giudice remittente, si fondava sull’interpretazione del principio del rispetto dei diritti della difesa nella sede preventiva amministrativa. Si trattava cioè di stabilire se il termine di otto giorni, assegnato dal paese membro al contribuente, dovesse essere ritenuto congruo per esercitare in via preventiva il giusto diritto amministrativo.
2 La Corte di Cassazione, Sez. V, con la sentenza 09-04-2010, n. 8481 ha delimitato l’applicabilità della decisione “Sopropé” ai casi successivi alla medesima. Infatti, ha affermato che “Pur non dubitandosi dell'applicabilità retroattiva delle sentenze interpretative della Corte di Lussemburgo, il principio affermato nella sentenza della causa C-349/07, 'Sopropè/Fazenda Publica', secondo cui all'importatore sospettato di aver commesso un'infrazione doganale va concesso un termine - da otto a quindici giorni - per la presentazione delle proprie osservazioni, prima dell'attivazione della procedura di recupero, derivandone, in caso contrario, una violazione del diritto di difesa, non si applica ai processi in corso, in quanto ciò comporterebbe una generale caducazione di qualunque decisione doganale sfavorevole all'importatore, con pesantissime ricadute su una fondamentale risorsa del bilancio comunitario”.