I dubbi di costituzionalità sul compenso di Equitalia

di Sentenze tributarie

Pubblicato il 23 settembre 2013

è manifestatamente fondata la questione di legittimità costituzionale sul compenso che spetta ad Equitalia sulla riscossione coattiva delle cartelle esattoriali (C.T.P. di Latina)

Ordinanza del 29/01/2013 n. 40 - Comm. Trib. Prov. Latina - Sezione/Collegio 31

Intitolazione:

 

Riscossione - riscossione coattiva - compenso di riscossione - collegamento con il debito tributario- dl. n. 201/11 - costi del servizio di riscossione - Rilevanza

 

Massima:

E' rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 3 e 97 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 17 di Equitalia (che già per l'art. 29 del d.l. n. 78/10 non sopporta l'onere della notifica della cartella di pagamento) ad una forma di ulteriore "balzello" applicabile in proporzione a quanto dovuto dal contribuente senza un collegamento specifico ai costi effettivamente sostenuti dalla società per il servizio.

 

Testo:

PREMESSA.

Con ricorso depositato presso la segreteria di questa CTP il 27 aprile 2012, iscritto al n. 1050/2012 RGR, la sig.ra CA, legale rappresentate della SAI in liquidazione, rappresentata e difesa dal commercialista Gianfranco Castellano, giusta procura in atti, proponeva ricorso avverso l'intimazione di pagamento n. 05720129008582643/000, emessa dalla società Equitalia Sud SpA Agente della riscossione per la provincia di Latina, con la quale si intima di versare entro cinque giorni la somma di euro 638.250,65 per importi iscritti a ruolo conseguenti alla cartella di pagamento n. 057 2007 0017869402/000, notificata il 10.05.2007, emessa a seguito di imposte Irap,Iva e ritenute alla fonte sui redditi per l'anno 2002. Gli importi richiesti sono così ripartiti:

a) importo non pagato in cartella euro 454.800,15;

b) compenso di riscossione euro 22.642,73;

e) interessi euro 160.807,77, fino al 10.04.2012;

d) altri interessi di mora maturati dal 10.04.2012 da determinare.

A sostegno del ricorso deduceva i seguenti motivi:

La notifica dell'intimazione è priva della relata di notifica e sulla busta manca il numero del registro cronologico e la sottoscrizione.

Dopo una dettagliata esposizione della normativa disciplinante le notificazioni tributarie, concludeva per la violazione dell'art. 26 DPR 602/73 con la conseguente inesistenza della notifica.

2) In merito ai compensi dovuti per la riscossione e delle altre spese nonché agli interessi di mora deduceva:

Nell'avviso viene riportato il valore di euro 21.94,23 per le spese del compenso di riscossione nonché euro 158.090,59 per interessi.

L'atto è nullo per difetto di motivazione in quanto il Concessionario non ha indicato l'articolazione dei servizi resi con i relativi costi sostenuti.

Detta carenza motivazionale pone il contribuente nell'impossibilità dell'esercizio alla tutela giurisdizionale dei propri diritti e interessi (art. 113 della Carta Costituzionale).

Gli interessi imputati al contribuente sono indicati nel complesso e non analiticamente come statuito dalla Corte di Cassazione con la sentenza 4516 del 21 marzo 2012.

Deduceva che il compenso non può essere proporzionato al valore da riscuotere, ma deve essere proporzionato al tipo di prestazione resa o da rendere; il compenso non è un'imposta, che può essere anche progressiva in funzione della capacità contributiva (art. 53 della Costituzione), ma è un valore che viene attribuito ad un servizio reso o da rendere.

Rileva che la norma di riferimento, citata dalla concessionaria della riscossione, non può fissare una percentuale fissa applicabile ad ogni importo perché così facendo creerebbe una disparità di trattamento tra i contribuenti soggetti al servizio in quanto, pur effettuando le stesse operazioni, per il servizio reso, il compenso varia in relazione agli importi dovuti per tributi, interessi e sanzioni.

Obietta che così come applicata diventa un'altra imposta progressiva, o una ulteriore sanzione applicabile al contribuente in proporzione al debito eventualmente dovuto.

Deduceva ancora che il compenso è il corrispettivo che dovrebbe essere erogato ad una serie di prestazioni le quali dovrebbero essere elencate e documentate, come si pretende nei contratti tra privati e valorizzate ai fini di determinarne il costo totale.

Afferma che nel caso di specie non si conoscono le articolazioni della prestazione che possano consentire una valutazione ragionevole. Richiama il parere dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato sull'aggio previsto dall'art. 17 D.Lgs n. 112/1999; parere del Consiglio Nazionale dei dottori commercialisti; sentenza della Corte Costituzionale n. 480 del 30 dicembre 1993; sentenza Consiglio di Stato n. 29 gennaio 2008, n. 272.

Conclude, affinché, previa sospensiva, in via preliminare dichiarare nulla la cartella per inesistenza della notifica.

In via pregiudiziale di verificare la costituzionalità della normativa richiamata dal Concessionario.

In via principale di riconoscere la mancata correttezza e la mancata corrispondenza del rapporto tra la consistenza delle prestazioni ed il valore attribuito alle stesse.

Dichiarare illegittima la pretesa indicata nell'avviso di intimazione di pagamento e di ordinare l'annullamento e lo sgravio dell'avviso.

L'Agenzia delle Entrate, costituitasi in giudizio con controdeduzioni in data 26 giugno 2012, ha chiesto di essere estromessa dal giudizio atteso che l'oggetto del giudizio è tutto imperniato sui presunti difetti dell'intimazione di pagamento.

Il Concessionario, con articolate controdeduzioni, contestava tutti i motivi di ricorso, sostenendo la regolarità della notifica. Eccepiva il difetto di legittimazione passiva in ordine alla illegittimità della pretesa indicata nell'avviso di intimazione di pagamento. Concludeva, pertanto, con l'istanza di rigetto del ricorso stesso.

Il Concessionario sulla mancata indicazione del servizio reso relativamente alla misura del compenso evidenziava che il compenso per il concessionario è determinato ai sensi dell'art. 17, comma 3, del D.lgs n. 112/1999 nella misura del 9% delle somme iscritte a ruolo oltre gli interessi di mora. Lo stesso, quindi, non necessita di motivazione. Si opponeva alla sospensiva e concludeva per il rigetto del ricorso.

Con ordinanza interlocutoria in data 22 agosto 2012 veniva concessa la sospensiva dell'atto impugnato. Il ricorso è stato discusso nella pubblica udienza del 29 ottobre 2012. Dopo la relazione introduttiva svolta dal relatore, le parti costituite sono state ammesse alla discussione. A seguito di puntuale esposizione dei fatti di causa, i rappresentanti delle parti si richiamavano ai motivi dedotti e concludevano, rispettivamente, il ricorrente, per l'accoglimento del ricorso e il concessionario per il rigetto. L'Ufficio finanziario per la dichiarazione di carenza di legittimazione passiva.

Il Collegio riservava la decisione; detta riserva veniva sciolta nella Camera di Consiglio del 5 dicembre 2012 dove veniva dichiarata la sospensione del processo e la rimessione degli atti alla segreteria della Corte Costituzionale.

FATTO.

Per la parte ricorrente l'intimazione di pagamento dovrebbe essere annullata oltre che per i vizi di notifica per l'evidente sproporzione rispetto alla modestissima attività effettuata dal Concessionario consistita unicamente nella notifica dell'intimazione di pagamento.

Con un dettagliato esame della normativa sul punto evidenzia che gli importi non possono ritenersi a carattere retributivo; risulta, pertanto, sproporzionata l'imposizione ex lege di percentuale fissa di remunerazione.

Il Concessionario sulla mancata indicazione del servizio reso relativamente alla misura del compenso si è limitato a sostenere che il suo compenso è determinato ai sensi dell'art. 17, comma 3, del D.lgs n. 112/1999 nella misura del 9% delle somme iscritte a ruolo oltre gli interessi di mora. Lo stesso, quindi, non necessita di motivazione.

Per la risoluzione della presente controversia si impongono alcune riflessioni per cui la Commissione, esaminati gli atti e sentite le parti in pubblica udienza, ritiene di sospendere la decisione sul ricorso e rimettere gli atti alla Corte Costituzionale affinché si pronunci sulle questioni che saranno appresso specificate.

Equitalia è una società a totale capitale pubblico: 51% Agenzia delle Entrate e 49% I.N.P.S. E' nata il 1° ottobre del 2006 incaricata dell'esercizio dell'attività di riscossione dei tributi, contributi e sanzioni.

Il gruppo Equitalia è composto da Holding Equitalia SpA, Equitalia Giustizia e Equitalia servizi.

Equitalia Sud è la società che riscuote in Campania, Lazio, Molise, Puglia, Basilicata e Calabria.

Ad Equitalia per l'esercizio della propria attività, la legge stabilisce dei compensi (Aggio ed altri).

Tutto ciò che il cittadino paga a Equitalia viene interamente restituito agli enti creditori, ad eccezione dell'aggio e delle spese di riscossione stabilite dal legislatore.

La percezione dell'aggio nella misura del 9% viene criticata aspramente dagli operatori.

Infatti basta considerare i nuovi avvisi di accertamento esecutivi emessi dall'Agenzia delle Entrate dal 1° ottobre 2011.

Nel sistema degli accertamenti esecutivi il contribuente deve versare le somme entro il termine per il ricorso e, in tal caso non sono previsti gli aggi da corrispondere; per contro attraverso tali atti esecutivi se il contribuente non adempie al pagamento delle somme dovute entro il termine di presentazione del ricorso, l'aggio deve essere pagato interamente nella misura del 9% esclusivamente in capo al contribuente anche se fino a quel momento l'agente della riscossione non ha svolto nessuna funzione al servizio in quanto il ruolo e la cartella di pagamento sono state assorbite dall'avviso di accertamento esecutivo. Si assiste, pertanto, ad una remunerazione tutta in capo al contribuente senza una controprestazione di un servizio da parte di Equitalia.

Di recente il legislatore è intervenuto rivisitando radicalmente il sistema della remunerazione dei costi necessari per la riscossione dei tributi, sostituendo integralmente il primo comma dell'art. 17 del D.Lgs 13 aprile 1999 n.l12, rinunciando all'utilizzo del termine "aggio" e preferendo il più appropriato termine "rimborso".

Attraverso il D.L 201/2011 vi è una revisione normativa sull'aggio anche se limitatamente alle cartelle di pagamento, la norma di revisione non riguarda, infatti, gli atti esecutivi, infatti il D.L. 201/2011 non ha modificato l'art. 29 del DL 78/2010 in tema di accertamenti esecutivi.

Un completo riassetto del sistema delle remunerazione degli agenti della riscossione è data dalle novità introdotte dai commi da 13 quater a 13 sexies art. 10 d.l. n. 201/2011 secondo cui gli agenti della riscossione hanno diritto al rimborso dei costi fissi in proiezione.

I decreti con cui verrà sostituito l'aggio devono essere approvati entro il 31 dicembre 2013 (art. 10 comma quinquies, del D.L. n. 201/2011 e quindi la riforma dell'aggio dovrebbe entrare in vigore nel 2014.

Ne consegue che prima di detto momento si continuerà ad attuare l'art. 17 del D.Lgs n. l12/1999 ante D.L. 201/2011 poiché la riforma sarà attuata nel 2014.

Infatti è stabilito che fino alla data di entrata in vigore dei Decreti sopra citati (per la determinazione della remunerazione degli agenti della riscossione, e per tipologie, misura e modalità di rimborso, resta ferma la disciplina vigente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del Decreto 201/2011.

Alla controversia in esame si applica, quindi, la disciplina prevista dall'art. 17 D.Lgs 112/1999.

DIRITTO.

La Commissione, preso atto della richiesta di remissione sollevata dalla ricorrente secondo cui l'art, l'art. 17, comma 1, del D.Lgs n.l 12/1999, così come modificato dall'art. 32, comma 1 del decreto legge n. 185/2008 presenta profili di incostituzionalità essendo in contrasto con la Carta Costituzionale relativamente agli articoli 3 e 97 della Costituzione osserva: l'eccezione sollevata dal ricorrente del controllo di costituzionalità dell'art. 17 D.Lgs 112/1999 appare rilevante e pertinente ai fini della decisione da parte di questa Commissione e non manifestamente infondata per cui non può essere respinta l'istanza di remissione alla Corte Costituzionale della sollevata questione di legittimità costituzionale per l'aperto e radicale contrasto con i principi di ragionevolezza e di buon andamento della pubblica amministrazione di cui agli articoli 3 e 97 della Costituzione.

II contrasto del citato art. 17, 1° comma, con il principio di eguaglianza ex art. 3 Cost. emergerebbe per differenza di trattamento che vi sarebbe fra il cittadino che sia in grado di pagare immediatamente la pretesa (al quale sarebbe consentito, proprio in ragione delle sue condizioni economiche, di versare le somme entro il termine per il ricorso e, in tal caso l'aggio dovuto dal contribuente è pari al 4,65% delle somme iscritte a ruolo, mentre il restante 4,35% è dovuto dall'ente creditore; per contro, quello che non abbia i mezzi sufficienti per fare tale pagamento e non adempie al pagamento delle somme dovute entro il termine di presentazione del ricorso, deve versare l'aggio interamente nella misura del 9%, in forza di un presupposto stabilito dalla, legge e consistente nell'onere di versare una somma, come nel caso di specie, assai ingente.

Alla parità della quantità di servizi offerti è inimmaginabile l'applicazione della diversità del compenso, perché legato al valore di lite, contravvenendo all'art. 3 della Carta Costituzionale. Non è possibile versare importi diversi per la stessa identica prestazione, atteso che la misura della remunerazione non è vincolata all'esercizio di specifiche attività da parte dell'agente della riscossione, ma unicamente all'importo delle somme iscritte a ruolo.

Il comportamento adottato contrasta con quanto affermato nell'art. 3 della Costituzione il quale afferma che "tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese".

In punto di non manifesta infondatezza della questione, il Collegio ricorda che codesta Ecc.ma Corte con la sentenza n.480 del 30 dicembre 1993 ha stabilito che la misura dell'aggio deve ritenersi ragionevole (e quindi costituzionalmente legittima) se essa è contenuta in un importo minimo e massimo che non superi di molto la soglia di copertura del costo della procedura. Nello stesso senso Consiglio di Stato 29 gennaio 2008 n. 272.

La Commissione ritiene che la norma debba essere nuovamente valutata sotto un altro profilo.

Come ha sostenuto la parte appare assolutamente ingiustificato la fissazione della misura dei compensi di riscossione a carico del contribuente nella percentuale fissa del nove per cento delle somme riscosse nel caso in cui il pagamento sia effettuato oltre sessanta giorni dalla notifica della cartella di pagamento, anziché in misura corrispondente ai costi del servizio di riscossione.

I dubbi in ordine alla ragionevolezza dell'attuale misura dell'aggio sono alimentati, oltre che dalla considerazione che la legge non fissa un importo massimo prestabilito dello stesso, anche dalla constatazione che l'agente, nell'ambito della nuova procedura di riscossione delle somme risultanti dagli atti di cui alla lett. a) dell'art. 29, comma 1 D.L. n. 78 del 2010, non avrà più neppure l'onere di notificare la cartella di pagamento risparmiando conseguentemente i relativi costi, per cui dovrà attivasi solo al momento di avviare l'azione esecutiva, per la quale la legge riconosce il rimborso delle spese sostenute. Se a ciò si aggiunge, che a seguito dell'abrogazione a decorrere dal 26 febbraio 1999 dell'obbligo del non riscosso come riscosso (art. 2, comma 1, D.Lgs 22 febbraio 1999, n. 37, l'agente della riscossione non subisce più alcun danno patrimoniale da riparare per effetto dell'inadempimenti del contribuente e che il servizio di riscossione coattiva non è più gestito da concessionari privati, ma da un ente pubblico economico, emergono con chiarezza i profili di dubbia legittimità costituzionale dell'attuale disciplina sul punto.

Le considerazioni contenute nella giurisprudenza di codesta Corte, al costo del servizio pubblico di riscossione, incoraggiano questo giudice a sollevare la questione di legittimità costituzionale dell'art. 17 del D.Lgs 112/1999 richiamato dal concessionario nelle sue controdeduzioni.

Nella sentenza n. 59/1987 codesta Ecc.ma Corte ritenne che la scelta del legislatore "seppure discrezionale, non può sottrarsi al sindacato sotto il profilo del buona andamento secondo i canoni della non arbitrarietà e della ragionevolezza della disciplina rispetto al fine indicato nell'art. 97, primo comma della Costituzione di talché in "sede di un giudizio sulla legittimità costituzionale delle leggi, la violazione del principio di buon andamento dell'amministrazione può essere invocata allorché si assuma l'arbitrarietà o la manifesta irragionevolezza della disciplina impugnata rispetto al fine indicato nell'art. 97, primo comma,Costituzione (C. Cost. n. 10/1980).

Irragionevole sembra l'applicazione dell'aggio di riscossione anche sugli interessi di mora, sol che si consideri che l'agente della riscossione, in relazione agli importi non pagati tempestivamente dal contribuente, non ha anticipato alcuna somma all'erario.

La Commissione rileva che la prospettata questione di legittimità costituzionale dell'art. 17, 1° comma, del D.Lgs. 112/1999 è rilevante e non manifestamente infondata atteso che nel caso in esame il pagamento dell'aggio è stabilito in misura fissa anziché in misura corrispondente ai costi del servizio di riscossione.

l'irrazionalità deriva dalla circostanza che detta misura non assicura che la gestione del servizio sia volta soltanto alla copertura dei costi.

Il dubbio sorge nella parte in cui sottopone all'obbligo del pagamento pur in assenza di specifici criteri di determinazione del costo di tale servizio.

Dunque, l'obbligo dell'aggio può ritenersi ragionevole e coerente allorché la misura corrisponda al costo della prestazione, mentre deve ritenersi ingiusto e penalizzante e costituzionalmente illegittimo per l'assenza di un tetto minimo e massimo alla misura dei compensi.

L'ingiustizia di un siffatto sistema è poi risaltata nella fattispecie dalla previsione di una qualche forma di riequilibrio nel 2014.

La disciplina vigente appare quanto mai irragionevole poiché il compenso di riscossione costituisce il corrispettivo di una specifica prestazione di servizi, deve ritenersi del tutto arbitraria la determinazione della misura di tale compenso a carico del contribuente nella percentuale fissa del nove per cento delle somme iscritte a ruolo, non essendo quest'ultima in alcun modo ancorata ai costi di gestione sostenuti dall'agente della riscossione.

Ciò contrasta ad avviso di questo giudice tributario con l'art. 97 per la manifesta irrazionalità.

La questione di legittimità costituzionale involge, dunque, l'art. 17, 1 comma del D.Lgs 112/199 per contrasto con l'art. 3 per la violazione del principio di eguaglianza del cittadino di fronte alla legge laddove il compenso viene legato al valore della lite e 97 relativo al principio di buon andamento della P.A., difettando di quei criteri di trasparenza e correlazione con l'attività richiesta e congruità con i costi medi di gestione del servizio che rappresentano i corollari necessari del principio di buon andamento sancito dall'art. 97, primo comma, Costituzione,per manifesta illogicità. Il Collegio è consapevole che il giudice deve sollevare la questione di legittimità costituzionale soltanto dopo aver accertato l'impossibilità di un iter interpretativo della disposizione conforme alla Costituzione.

Se, infatti tra i poteri del giudice tributario vi è quello, riconosciuto dall'art. 7, comma 5, del D.Lgs n. 546/92 di disapplicare un regolamento o un atto generale rilevante ai fini della decisione, cionondimeno, detto potere non può estendersi a norme di rango ordinario per cui il doveroso tentativo di individuare una interpretazione della norma costituzionalmente corretta non offre altra soluzione se non quella di un intervento del giudice delle leggi per l'impossibilità di individuare una interpretazione adeguatrice che possa correggere in sede interpretativa ed applicativa l'art. 17 del D.Lgs 112/1999.

Per cui, condividendo i dubbi della parte ricorrente, questo Collegio ritiene pertanto che la questione di legittimità costituzionale dell'art. 17, 1 comma 1, del D.Lgs 13 aprile 1999, n. 112, come modificato dall'art. 32, comma 1, lett a) del decreto legge 29 novembre 2008 n. 185, convertito dalla L.28 gennaio 2009 n. 2, in vigore dal 29 novembre 2008, per contrasto con gli art. 3 e 97 della Costituzione, sia rilevante nel presente giudizio in quanto esso non può essere definito in assenza di una risoluzione della questione di legittimità costituzionale e che tale questione non sia manifestamente infondata alla luce delle considerazioni suesposte.

P.Q.M.

Visti gli artt. 134 Cost., 1 legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e 23 legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 87;

Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, dell'art. 17 del D.Lgs 112/1999 testo unico delle disposizioni concernenti il sistema della remunerazione per la riscossione dei tributi per contrasto con gli artt. 3, 97 della Costituzione.

Sospende il giudizio in corso sino all'esito della questione.

Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale, alla quale rimette l'anzidetta questione di legittimità costituzionale ritenuta la sua rilevanza ai fini del decidere.

Manda alla segreteria per gli adempimenti di legge affinché la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa nonché al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.