Accertamento integrativo: le caratteristiche

una recente sentenza di Cassazione analizza in quali casi il Fisco può validamente correggere il suo operato ed emettere l’accertamento definito “integrativo”

Con la sentenza n. 8029 del 3 aprile 2013 (ud 13 novembre 2012) la Corte di Cassazione torna ad occuparsi di accertamento integrativo.

Nel caso in questione l’elemento nuovo che lo legittimava era costituto da un p.v.c., e che se era pur vero che i precedenti atti ispettivi avevano esaminato l’acquisto del know how senza contestarlo, l’accertamento successivo non poteva che essere nuovo ed effettivamente integrativo rispetto ai precedenti, a nulla rilevando se l’accesso ispettivo fosse stato diretto ad acquisire nuovi elementi su tale operazione.

 

La sentenza sul punto

La Corte osserva che sulle condizioni legittimanti il c.d. accertamento integrativo, “si è andata stratificando … una consolidata giurisprudenza, alla stregua della quale sono nuovi gli elementi non soltanto non conosciuti, ma anche non conoscibili dall’Amministrazione al momento del precedente accertamento, essendole inibito di valutare differentemente, in un secondo momento (e salvo il caso della diversa azione in autotutela – v. Cass. n. 2531/2002), dati e documenti già a sua disposizione (ex plurimis, Cass. n. 14377/2007; Cass. n. 4164/1995; Cass. n. 3888/1988)”.

Ciò significa che “gli accertamenti integrativi non possono essere fondati sugli stessi elementi di fatto del precedente o dei precedenti accertamenti, ma altresì che la conoscenza dei nuovi elementi deve essere avvenuta in epoca successiva a quella in cui l’originario accertamento è stato notificato – cfr. Cass. n. 451/2002”.

L’espressione “sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi“, d’altra parte, richiama testualmente analoga dizione utilizzata dal D.P.R. n. 645 del 1958, art. 35 nel vigore del quale la Corte aveva avuto modo di precisare che essa indicava “elementi non soltanto non conosciuti, ma neppure conoscibili al momento di detto accertamento, e non può essere quindi esercitato per correggere errori nell’apprezzamento di elementi già a disposizione” – cfr. Cass. n. 282 del 23/01/1985, Cass. n. 3056 del 30/03/1987.

Alla base di tale indirizzo sta il convincimento che l’accertamento nei confronti del contribuente deve avere carattere unitario, dovendosi evitare l’inutile proliferazione di atti a mezzo del vincolo dell’amministrazione a utilizzare subito, e nel medesimo contesto, tutti gli elementi a sua disposizione”.

Sul punto la Corte rileva “ che i già acquisiti elementi, per escludere la legittimità dell’accertamento integrativo, debbono in ogni caso risultare sufficienti a sorreggere la valutazione in ordine al profilo attinente alla attribuzione soggettiva degli elementi di redditività. Nel senso che l’integrazione dell’accertamento è comunque consentita, sul presupposto della successiva conoscenza di nuovi elementi, nel caso in cui da questi soltanto possa dirsi legittimata l’inferenza in ordine all’attribuibilità al contribuente, e non ad altri, degli elementi di redditività già eventualmente riscontrati. Questo perchè – come detto – la ratio della previsione di cui al D. P. R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 3, poggia sulla necessità di evitare che il privato sia soggetto ad un’inutile proliferazione di atti, in quanto solo l’inutilità suppone potersi annettere all’azione accertatrice la natura di azione indiscriminata e vessatoria, come opportunamente specificato di recente – cfr. Cass. n. 10583/2011“.

Di conseguenza, “può dunque ritenersi assodato che il requisito della novità non ricorre quando si tratti di diversa, o più approfondita, valutazione del materiale probatorio già acquisito dall’ufficio, dovendosi riconoscere che con l’emissione dell’atto di rettifica l’ufficio consuma il suo potere di accertamento in relazione al materiale probatorio a sua disposizione – cfr. Cass. 10526/2006“.

Nel caso specifico, risulta “pacifico fra le parti che nei confronti della società contribuente era stato notificato, per l’anno 1996 oggetto dell’avviso di accertamento qui rilevante, altro avviso di accertamento sulla base di pregressi processi verbali di contestazione, al quale si è aggiunto quello qui esaminato, ove si è richiamato il processo verbale reso dalla Guardia di Finanza il 24.12.2001. E’ poi la stessa società contribuente a riferire che nell’avviso di accertamento redatto il 27.7.2001 – notificato il 20.8.2001 – relativo al periodo d’imposta 1995, ove si richiamava espressamente il PVC del 17.5.2001, nulla veniva richiesto o contestato in ordine alla documentazione afferente al contratto di know how – cfr. pag. 10 ricorso“.

Se è vero che elemento nuovo che legittimi il potere di rettifica dell’accertamento in materia di IVA, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57 comma 3, è qualsiasi elemento che, nei termini di legge, venga a conoscenza dell’Ufficio successivamente alla notifica del precedente avviso di accertamento e che risulti idoneo a giustificare la pretesa di una maggiore imposta, indipendentemente da ogni suo collegamento con altri fatti in precedenza accertati – Cass. 20 maggio 2011, n. 11231 – non assume diretto rilievo, al fine di escludere la novità, che i nuovi documenti sui quali l’amministrazione ha fondato l’accertamento integrativo si collegassero ad altri fatti – quali l’esistenza del contratto di know how – precedentemente accertati una volta ritenuta la loro utilità e decisività per l’acquisizione di nuove conoscenze utili ai fini dell’emissione dell’accertamento integrativo”.

Il giudice di appello, nel caso in questione, ha ritenuto esistenti specifici elementi di novità desunti dalla documentazione presa in esame nel processo verbale del dicembre 2001.

 

Brevi note

Ricordiamo che la Corte di Cassazione, con la sentenza n.11231 del 20 maggio 2011 (ud. del 9 febbraio 2011), peraltro richiamata nella sentenza che si annota, aveva già avuto modo di affermare che, ai fini IVA, requisito di legittimità per l’esercizio del potere integrativo o modificativo dell’accertamento già notificato al contribuente da parte dell’Amministrazione finanziaria, sotto pena di nullità, è la conoscenza sopravvenuta di nuovi elementi di fatto, rispetto a quelli posti a fondamento del primo avviso, che devono essere espressamente indicati. “Non vi è dubbio che in tema di I.V.A., requisito di legittimità per l’esercizio del potere integrativo o modificativo dell’accertamento già notificato al contribuente da parte dell’Amministrazione finanziaria è la conoscenza sopravvenuta di altri elementi di fatto, nuovi rispetto a quelli posti a fondamento del primo avviso, come implicitamente emerge dalla considerazione che la stessa norma richiede, a pena di nullità, che l’atto integrativo indichi i nuovi elementi di fatto e gli atti e i fatti attraverso i quali l’Ufficio ne ha avuto conoscenza, adempimento che, evidentemente, assolve anche alla funzione di consentire un controllo sulla posteriorità dei fatti sui quali l’Ufficio fonda una nuova pretesa (Cass. 4.8.2010, n. 18065; 17.3.2010, n. 6459; 21.11.2002 n. 16391)”.L’atto impositivo oggetto del giudizio scaturiva da elementi nuovi perchè, pur riguardando sempre l’annualità 1990, “riguarda altri soggetti ed altri importi” rispetto a quelli già oggetto di accertamento coi primi avvisi di rettifica. Ed invero è conforme a giurisprudenza consolidata di questa Corte il principio secondo il quale: “In tema di accertamento delle imposte sui redditi, costituiscono dati la cui sopravvenuta conoscenza legittima l’integrazione o la modificazione in aumento dell’avviso di accertamento, mediante notificazione di nuovi avvisi, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 43, comma 3, anche i dati conosciuti da un ufficio fiscale, ma non ancora in possesso di quello che ha emesso l’avviso di accertamento al momento dell’adozione di esso” (v. Cass. 12.5.2006, n. 11057; 9.9.2005, n. 18014).

 

6 giugno 2013

Francesco Buetto