Indagini finanziarie: quando conta il conto del figlio

in caso di accertamento bancario il Fisco può agire anche per controllare i movimenti di conti correnti formalmente intestati a familiari ma che, tuttavia, sono nella disponibilità del contribuente accertato

Con la sentenza n. 4904 del 27 febbraio 2013 (ud. 20 dicembre 2012) la Corte di Cassazione torna ad occuparsi di indagini finanziarie.

 

Il fatto

L’ufficio ha utilizzato le risultanze delle indagini bancarie, pur essendo il conto corrente cointestato con persone estranee all’accertamento. Nella specie, il conto corrente era cointestato col figlio.

 

La sentenza

La Corte sostiene che, in forza di consolidata giurisprudenza (p.es. Cass. 1999 n. 1728, Cass. 2002 n. 8683, Cass. 2003 n. 13391, Cass. 2007 n. 2085, Cass. 2007 n. 6743), è legittima l’estensione “delle indagini bancarie ai congiunti, reputando il rapporto familiare sufficiente a giustificare, salvo prova contraria, la riferibilità al contribuente accertato delle operazioni riscontrate su conti correnti bancari intestati o cointestati a familiari”.

Resta fermo, osserva la Corte, che gli indizi possano costituire prove dell’evasione e sono utilizzabili nella globalità del meccanismo presuntivo, “legittimando appunto le presunzioni semplici, purchè queste siano gravi, precise e concordanti (cioè dotate di inferenza probabilistica univoca, non plurima, e non confliggente con altri elementi probatori: cfr. Cass. 2012 n. 3281) in coerenza con la connotazione evincibile dagli artt. 2727 e 2729 c.c..”

 

Brevi note

E’ possibile per l’ufficio acquisire ed utilizzare dati ed elementi risultanti dai conti, intestati a soggetto diverso rispetto a quello oggetto di accertamento, se legato allo stesso da particolari rapporti di parentela che giustifichino la presunzione di riferibilità dei relativi movimenti bancari ad operazioni imponibili relative al soggetto sottoposto ad accertamento (cfr. circolare n. 131/1994, parte 3).

E’ questo il pensiero peraltro espresso dalla Corte di Cassazione nel corso di questi anni.

Su tali tematiche registriamo le seguenti recenti sentenze della Cassazione.

  • Con la sentenza n. 21420 del 30 novembre 2012 (ud. 11 ottobre 2012), per la Corte di Cassazione “in tema di accertamento delle imposte, il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, n. 7, e il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51, autorizzano l’Ufficio finanziario a procedere all’accertamento fiscale anche attraverso indagini su conti correnti bancari formalmente intestati a terzi, ma che si ha motivo di ritenere connessi ed inerenti al reddito del contribuente, acquisendo dati, notizie e documenti di carattere specifico relativi a tali conti, sulla base di elementi indiziari” (cfr. Corte Cass. 5′ sez. 17.06.2002 n. 8683 – con specifico riferimento a conto corrente intestato al coniuge del contribuente; id. 5′ sez. 21.12.2007 n. 27032) o quando comunque “l’ufficio abbia motivo di ritenere, in base agli elementi indiziari raccolti, che gli stessi siano stati utilizzati per occultare operazioni commerciali, ovvero per imbastire una vera e propria gestione extra-contabile, a scopo di evasione fiscale” (cfr. Corte Cass. 5′ sez. 12.01.2009 n. 374).

  • Con la sentenza n. 446 del 10 gennaio 2013 (ud. 18 ottobre 2012) la Corte di Cassazione ha affermato che il dettato normativo di riferimento (art. 51 c. 2 n 7 D.P.R. n. 633/72) che “abilita gli Uffici finanziari e la Guardia di Finanza a richiedere copia dei conti intrattenuti con il contribuente, non circoscrive l’analisi ai soli conti correnti bancari e postali o ai libretti di deposito intestati esclusivamente al titolare dell’azienda, in quanto l’accesso ai conti intestati formalmente a terzi, le verifiche finalizzate a provare per presunzioni la condotta evasiva e la riferibilità alla società delle somme movimentate, ben possono essere giustificati dal rapporto di stretta contiguità familiare o lavorativa e da un’attività d’impresa logicamente compatibile con la produzione di ricavi, incombendo in ogni caso sulla società contribuente la prova contraria (C. 26173/11)”.Inoltre, “l’utilizzazione dei dati risultanti dai depositi bancari non può ritenersi limitata, in caso di società di capitali, ai conti formalmente intestati all’ente, ma riguarda anche quelli formalmente intestati a terzi, allorchè risulti provata tramite presunzioni la sostanziale riferibilità all’ente dei conti medesimi o di alcuni loro singoli dati (C. 13391/03)”.Nella prova per presunzioni (artt. 2727 e 2729 c.c.), è infatti sufficiente che il rapporto di dipendenza logica tra il fatto noto e quello ignoto sia accertato alla stregua di canoni di probabilità, con riferimento ad una connessione possibile e verosimile di accadimenti, la cui sequenza e ricorrenza possono verificarsi secondo regole di esperienza (Sez. Un. 9961/1996), così che il convincimento del giudice di merito “può ben fondarsi persino su una sola presunzione, purchè grave e precisa, nonché su una presunzione che sia in contrasto con altre prove acquisite, qualora la stessa sia ritenuta di tale precisione e gravità da rendere inattendibili gli elementi di giudizio ad essa contrari (C. 16993/07)”.

  • Con la sentenza n. 3762 del 15 febbraio 2013 (ud. 4 dicembre 2012), per la Suprema Corte “i dati raccolti dall’Ufficio in sede di accesso ai conti correnti bancari del contribuente consentono, in virtù della presunzione contenuta nel D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 32 e 39, di imputare gli elementi da essi risultanti direttamente a ricavi dell’attività svolta dal medesimo, salva la possibilità per il contribuente di provare che determinati accrediti non costituiscono proventi della detta attività. Detta presunzione legale ‘vincola l’Ufficio tributario ad assumere per certo che i movimenti bancari effettuati sui conti correnti intestati al contribuente siano a lui imputabili, senza che risulti necessario procedere all’analisi delle singole operazioni, la quale è posta a carico del contribuente, in virtù dell’inversione dell’onere della prova” (Cass. n. 19493 del 2010 in motivazione ed ivi richiami di conformi precedenti).Peraltro, la giurisprudenza della Corte ha altresì chiarito che “l’estensione delle indagini bancarie anche a soggetti terzi rispetto alla società non può ritenersi illegittima in quanto tutti detti soggetti hanno riferimento nella società o quale amministratore e soci o quale congiunto di questi e, quindi, in una società, come nella specie, la cui compagine sociale e la cui amministrazione è riferibile ad un unico ristretto gruppo familiare ben si può ritenere che l’esistenza di tali vincoli sia sufficiente a giustificare la riferibilità al contribuente accertato delle operazioni riscontrate su conti correnti bancari intestati a tali soggetti, salva naturalmente la facoltà di questi di provare la diversa origine di tali entrate” (Cass. n. 19493 del 2010 in motivazione ed ivi richiami di conformi precedenti).

 

2 aprile 2013

Roberta De Marchi