Indagini bancarie a maglie larghe: possono essere estese a terzi

il Fisco può estendere la raccolta dei dati bancari del contribuente a tutti i conti bancari che egli stesso controlla effettivamente, a prescindere dal nominativo a cui è intestato il conto

Con sentenza n. 446 del 10 gennaio 2013 (ud. 18 ottobre 2012) la Corte di Cassazione ha ancora una volta legittimato l’operato degli uffici che estendono le indagini finanziarie a soggetti terzi, rispetto al contribuente verificato.

 

Il principio espresso dalla Corte

Il dettato normativo di riferimento (art. 51 c. 2 n. 7 del D.P.R. n. 633/72) che “abilita gli Uffici finanziari e la Guardia di Finanza a richiedere copia dei conti intrattenuti con il contribuente, non circoscrive l’analisi ai soli conti correnti bancari e postali o ai libretti di deposito intestati esclusivamente al titolare dell’azienda, in quanto l’accesso ai conti intestati formalmente a terzi, le verifiche finalizzate a provare per presunzioni la condotta evasiva e la riferibilità alla società delle somme movimentate, ben possono essere giustificati dal rapporto di stretta contiguità familiare o lavorativa e da un’attività d’impresa logicamente compatibile con la produzione di ricavi, incombendo in ogni caso sulla società contribuente la prova contraria (C. 26173/11)”.

Inoltre, prosegue la sentenza, “l’utilizzazione dei dati risultanti dai depositi bancari non può ritenersi limitata, in caso di società di capitali, ai conti formalmente intestati all’ente, ma riguarda anche quelli formalmente intestati a terzi, allorchè risulti provata tramite presunzioni la sostanziale riferibilità all’ente dei conti medesimi o di alcuni loro singoli dati (C. 13391/03)”.

Nella prova per presunzioni (artt. 2727 e 2729 c.c.), è infatti sufficiente che il rapporto di dipendenza logica tra il fatto noto e quello ignoto sia accertato alla stregua di canoni di probabilità, con riferimento ad una connessione possibile e verosimile di accadimenti, la cui sequenza e ricorrenza possono verificarsi secondo regole di esperienza (Sez. Un. 9961/1996), così che il convincimento del giudice di merito “può ben fondarsi persino su una sola presunzione, purchè grave e precisa, nonché su una presunzione che sia in contrasto con altre prove acquisite, qualora la stessa sia ritenuta di tale precisione e gravità da rendere inattendibili gli elementi di giudizio ad essa contrari (C. 16993/07)”.

Nella fattispecie sottoposta al vaglio della Corte, il giudice d’appello, erroneamente e immotivatamente, trascura “sia la relazione probabilistica tra movimentazioni bancarie sospette (fatto noto) e disponibilità extracontabili in evasione d’imposta (fatto ignoto), sia la legittima acquisizione di dati bancari relativi a terzi collegati alla società contribuente. Trascura, inoltre, il dato di fatto che libretti di deposito intestati al padre dell’ex amministratore della società contribuente (B.G.) erano movimentati da dipendenti o impiegati della contribuente, nonchè da persone (C.M., C.L. e B.F.), le quali, nonostante la cointestazione della gestione patrimoniale immobiliare nella quale inizialmente erano investite le somme depositate sui libretti, hanno offerto alla G.d.F. spiegazioni del tutto evasive”.

 

Le nostre considerazioni

La possibilità di acquisire ed utilizzare dati ed elementi risultanti dai conti, formalmente intestati a soggetto diverso giuridicamente rispetto a quello oggetto di accertamento, o verifica, è strettamente correlata alla circostanza che il terzo sia legato allo stesso da particolari rapporti (cointeressenza, rappresentanza organica, mandato, rapporti di parentela…) che giustifichino la presunzione di riferibilità dei relativi movimenti bancari ad operazioni imponibili relative al soggetto sottoposto ad accertamento, come peraltro già previsto dalla circolare n. 131/1994, parte 3.

La valutazione dei presupposti per il dirottamento delle indagini nei confronti di terzi può essere effettuata nei casi di sussistenza di elementi inequivoci e/o documentali, che attestino la riconducibilità del conto in capo ad un soggetto diverso dell’intestatario.

Osservano le Entrate nella C.M. n. 32/2006 che, nonostante l’assenza di una espressa previsione normativa, è indubbia l’estendibilità delle indagini ai conti di “terzi“, cioè di soggetti non interessati dall’attività di controllo, atteso che (per la costante giurisprudenza di legittimità formatasi al riguardo) le citate disposizioni, utilizzando la locuzione “i dati e gli elementi risultanti dai conti possono essere posti a base delle rettifiche e degli accertamenti“, legittimano anche l’apprensione di quei conti di cui il contribuente sottoposto a controllo ha avuto la concreta ed effettiva disponibilità, indipendentemente dalla formale intestazione.

Sul punto, la direttiva n.1/2008 della Guardia di Finanza afferma correttamente che se fosse preclusa l’utilizzabilità delle risultanze finanziarie nei riguardi di soggetti diversi rispetto a quello nei cui confronti le stesse sono state esperite, si verrebbe a creare il rischio di “asimmetrie” fra quanto constatato nei confronti di questo e la sua controparte in certe operazioni fiscalmente rilevanti.

È evidente, peraltro, che i dati in questione possono essere valorizzati nei confronti del soggetto diverso da quello nei cui confronti sono stati acquisiti alla stregua di qualsiasi altro elemento probatorio ottenuto nei suoi riguardi e quindi come prova diretta di una certa evasione o di una determinata irregolarità, ovvero, più verosimilmente, come presunzione, che, a seconda dei casi, potrà essere grave, precisa e concordante ovvero semplicissima.

Il pensiero espresso dalla Corte di Cassazione nel corso di questi anni può così essere sintetizzato: le risultanze dei conti correnti bancari (quando si tratti di conti intestati a soggetti diversi da quelli sottoposti a verifica), in tanto possono essere invocate a sostegno di presunti acquisti o vendite in evasione d’imposta, in quanto risultino concreti elementi che autorizzino a collegare quei movimenti con operazioni commerciali del soggetto nei cui confronti si intende procedere ad accertamento.

Se in via di principio le potestà di controllo in esame trovano applicazione unicamente ai rapporti intestati o cointestati al contribuente sottoposto a controllo, è indubbio, però, che le stesse potestà si applicano anche relativamente ai rapporti intestati e alle operazioni effettuate esclusivamente da soggetti terzi, specialmente se legati al contribuente da vincoli familiari o commerciali, a condizione che l’ufficio accertatore dimostri che la titolarità dei rapporti come delle operazioni è fittizia o comunque è superata, in relazione alle circostanze del caso concreto, dalla sostanziale imputabilità al contribuente medesimo delle posizioni creditorie e debitorie rilevate dalla documentazione bancaria acquisita (in tal senso, Cassazione nn. 1728/1999, 8457/2001, 8826/2001 e 6232/2003).

L’intestazione fittizia, in sostanza, si manifesta tutte le volte in cui gli uffici rilevino nel corso dell’istruttoria che le movimentazioni finanziarie, sebbene riferibili formalmente a soggetti che risultano averne la titolarità, in realtà sono da imputare a un soggetto diverso che ne ha la reale paternità con riferimento all’attività svolta” e l’organo di controllo può interpellare sia l’uno che l’altro, senza una scaletta ben precisa.

Su tali tematiche, come abbiamo già avuto modo di affermare1, la giurisprudenza degli ultimi anni ha privilegiato soluzioni più aderenti alla sostanza del rapporto tributario sottostante all’avviso di accertamento piuttosto che a valutazioni legate alla forma2. Anche da ultimo, con la sentenza n. 21420 del 30 novembre 2012 (ud. 11 ottobre 2012) la Corte di Cassazione ha confermato che le movimentazioni non giustificate sui conti della moglie giocano sui conti del marito. Gli elementi indiziari che emergevano dal PVC redatto dalla Guardia di Finanza erano costituiti:

  1. dalla frequenza e notevole entità delle somme movimentate sul conto del coniuge;

  2. dall’assenza di redditi propri dichiarati dal coniuge, che svolgeva attività di casalinga;

  3. dalla mancanza di giustificazioni fornite dal coniuge in ordine alle predette movimentazioni ed alla provenienza delle relative somme;

  4. dalla modestissima entità dei ricavi dichiarati per gli anni 1993 e 1994 dal contribuente, che appariva inattendibile in relazione allo specifico settore commerciale (prodotti tessili).

 

E pertanto, la Corte ribadisce che “in tema di accertamento delle imposte, il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, n. 7, e il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51, autorizzano l’Ufficio finanziario a procedere all’accertamento fiscale anche attraverso indagini su conti correnti bancari formalmente intestati a terzi, ma che si ha motivo di ritenere connessi ed inerenti al reddito del contribuente, acquisendo dati, notizie e documenti di carattere specifico relativi a tali conti, sulla base di elementi indiziari” (cfr. Corte Cass. 5′ sez. 17.06.2002 n. 8683 – con specifico riferimento a conto corrente intestato al coniuge del contribuente; id. 5′ sez. 21.12.2007 n. 27032) o quando comunque “l’ufficio abbia motivo di ritenere, in base agli elementi indiziari raccolti, che gli stessi siano stati utilizzati per occultare operazioni commerciali, ovvero per imbastire una vera e propria gestione extra-contabile, a scopo di evasione fiscale” (cfr. Corte Cass. 5′ sez. 12.01.2009 n. 374).

 

8 febbraio 2013

Gianfranco Antico

1 Cfr. ANTICO, Le indagini finanziarie, Roma, 2012, Buffetti Editore.

2 In tale contesto, è utile sottolineare come sia di estrema importanza un’accurata, ordinata ed attenta gestione del conto corrente. E se è vero che non risulta obbligatorio tenere due conti distinti, uno per l’attività d’impresa e l’altro per le esigenze familiari, è incontrovertibile che la gestione delle operazioni bancarie personali su un conto separato risulta quanto mai opportuna ed agevola la difesa in caso di accertamento.