Indagini finanziarie: il caso dell'amministratore di condominio

il professionista che gestisce per lavoro denaro non suo, quale documentazione deve presentare a discarico, in caso di accertamento basato sui movimenti bancari?

La normativa sulle indagini finanziarie opera in modo automatico, non richiedendo ulteriori elementi di riscontro per conferire validità al controllo.

Il dettato normativo consente, però, al contribuente – anche attraverso il contraddittorio – di dimostrare l’irrilevanza fiscale delle movimentazioni riscontrate.

Pur essendo in presenza di presunzioni relative, la forza della norma è tale che esse si atteggiano quasi a presunzioni assolute, poiché richiedono dei fatti impeditivi od ostativi al verificarsi del presupposto d’imposta, posti a carico de l contribuente.

Infatti, gli elementi – prelevamenti e versamenti – risultanti dall’analisi dei conti sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza per lo stesso fine ( ai fini Iva i prelevamenti sono considerati come pagamenti per operazioni passive non autofatturate).

 

AMMINISTRATORI DI CONDOMINI

Con ordinanza n. 14860 del 5 settembre 2012 (ud. 14 giugno 2012) la Corte di Cassazione ha ritenuto “inadeguata e generica” la sentenza di secondo grado che aveva ritenuto di decurtare dall’imponibile dichiarato l’importo relativo all’IVA incassata dal contribuente, e, dall’altro, che ha affermato che il contribuente “ha dimostrato l’inerenza dei versamenti bancari alle situazioni condominiali ed ai fatti relativi”, fornendo la documentazione ed i giustificativi che hanno determinato la decisione impugnata. La Corte, quindi, ravvisa “il vizio di motivazione in relazione alla prova da parte del contribuente della natura non reddituale dei vari importi accreditati sui propri conti correnti bancari”, proprio per assenza di prova analitica.

 

Brevi considerazioni sulla prova specifica

Già con sentenza n. 13819 del 3 maggio 2007 (dep. il 13 giugno 2007), la Corte di Cassazione – sempre per un contribuente che esercitava l’attività di amministratore di condominio – aveva avuto modo di affermare che la prova liberatoria, che consente di superare la presunzione di cui all’art. 32 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, secondo cui le movimentazioni dei conti correnti bancari legittimano l’accertamento del redditi, non può essere meramente generica e cioè relativa all’attività esercitata, ma deve essere, altresì, specifica in relazione ad ogni singola operazione. Perciò, non è sufficiente che il contribuente adduca la qualità di amministratore di condominio ma è necessario che fornisca la prova analitica della riferibilità di ogni movimentazione bancaria alla sua attività di maneggio di danaro altrui. Diversamente la rispettiva movimentazione, in assenza di altra idonea giustificazione, è configurabile quale corrispettivo non dichiarato.

Per giurisprudenza costante, in materia di Iva, qualora debba riconoscersi, ai sensi dell’art. 51, c. 2, del D.P.R. n.633/72, la ricorrenza dei presupposti per il ricorso a presunzioni semplici basate su operazioni in conto corrente bancario, la prova liberatoria, che il meccanismo comune ad ogni presunzione sposta sul contribuente, si commisura necessariamente alla natura e consistenza degli elementi utilizzati dall’Amministrazione. La valutazione di tali elementi non si traduce in un’automatica assimilazione delle operazioni in conto corrente a corrispettivi non dichiarati, ma richiede un apprezzamento, eminentemente fattuale, della forza presuntiva attribuibile a quelle operazioni, alla luce della prova liberatoria offerta dal contribuente, ed è quindi censurabile in sede di legittimità soltanto per i vizi motivazionali previsti dall’art. 360, n. 5, c.p.c. (Cass. n.19947/2005 e n.11778/2001). Nel caso specifico sottoposto ai giudici nel 2007, la censura dell’Amministrazione finanziaria secondo la quale la motivazione della Commissione tributaria regionale sarebbe sul punto incerta e contraddittoria, è stata accolta, in quanto i giudici di appello hanno motivato l’accoglimento dell’impugnazione della contribuente sul rilievo che “svolgendo la medesima attività di amministratore di condominio ne deriva necessariamente che la stessa obbligatoriamente e necessariamente riceveva rimesse altrui che amministrava per professione”. Tuttavia, osserva la Corte, la circostanza “che la contribuente riceveva sul proprio conto corrente rimesse altrui non è idonea di per sé, ai fini di cui trattasi, ad escludere la totale imputabilità di tutte le movimentazioni bancarie direttamente all’intestataria del conto corrente in assenza di elementi contrari in tal senso”. La motivazione dei giudici di seconda istanza è, quindi, inadeguata, poichè non si sono fatti carico “di verificare, in base alla prova liberatoria offerta dal contribuente, quali fossero le singole movimentazioni bancarie riferibili direttamente all’attività di amministratore di condominio per poter conseguentemente escludere che le stesse non costituissero corrispettivi non dichiarati. La prova liberatoria ai fini di cui trattasi non può essere solo generica e cioè relativa all’attività esercitata, ma deve essere altresì, specifica in quanto, stante la presunzione di cui all’art. 51, comma 2, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, se il contribuente utilizza il conto corrente a lui personalmente intestato anche per maneggio di danaro altrui deve fornire la prova specifica – rectius: analitica – della riferibilità di ogni movimentazione bancaria alla sua attività di maneggio di danaro altrui, diversamente la rispettiva movimentazione, in assenza di altra idonea giustificazione, è configurabile quale corrispettivo non dichiarato”.

E sempre la Corte Suprema, con sentenza n. 6617 del 19 marzo 2009 (ud. del 23 dicembre 2008) ha riaffrontato la questione, affermando che “non è sufficiente al contribuente dimostrare genericamente diavere fatto affluire su un proprio conto corrente bancario, nell’eserciziodella propria professione, somme affidategli da terzi in amministrazione, maè necessario che egli fornisca la prova analitica della inerenza alla suaattività di maneggio di denaro altrui di ogni singola movimentazione delconto”.

In pratica, dalla natura stessa dell’attività svolta dal contribuente non si può desumere che le somme da questi depositate sul proprio conto corrente gli erano stateaffidate dai condomini per il pagamento degli oneri condominiali.

Come è noto, in via di principio le Entrate, nel corpo della circolare n.32/2006, ritengono che possano “assumere valida valenza giustificativa – soprattutto in caso di discordanza tra i dati bancari e finanziari e le rilevazioni contabili – gli atti e i documenti che provengono dalla Pubblica amministrazione, da soggetti aventi pubblica fede (notai, pubblici ufficiali, eccetera), da soggetti terzi in qualità di parte di rapporti contrattuali di diversa natura, così come nel caso di rimborsi, risarcimenti, mutui, prestiti, eccetera. Poiché le presunzioni legali, inoltre, possono venire contraddette anche da giustificazioni di carattere tecnico, legate al particolare operare del tributo, si precisa che, soprattutto in funzione prospettica dell’accertamento unificato, il contraddittorio deve essere condotto tenendo conto della specificità della singola imposta, in quanto – in linea di massima – la giustificazione ai fini Iva di un movimento bancario può non essere automaticamente valida o significativa anche ai fini reddituali. In particolare, per quanto riguarda la determinazione del reddito, il numero 2) del comma 1 dell’art.32 del D.P.R. n. 600 del 1973 prevede che i dati e gli elementi risultanti dai rapporti e dalle operazioni intercettati ai sensi del successivo numero 7) o rilevati secondo la particolare procedura di cui all’articolo 33, secondo e terzo comma, sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli artt. 38, 39, 40 e 41 se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine”.

Peraltro, osservano le Entrate, “nel nuovo contesto normativo, non solo i versamenti risultanti dai conti bancari ma anche quelli rilevati dai conti finanziari o da operazioni fuori conto si presumono come ricavi, compensi ovvero elementi positivi rappresentativi per le sole persone fisiche di altri elementi reddituali da porre a base delle rettifiche e degli accertamenti di tipo analitico, analitico-induttivo, induttivo e sintetico, laddove la locuzione posto a base va intesa come il riconoscimento legale dell’attitudine probatoria che tali movimentazioni assumono ai fini dell’efficacia presuntiva che l’organo procedente intende utilizzare per assolvere il proprio onere dimostrativo”.

Oggi la Cassazione continua a ribadire quanto precedentemente osservato in altre sentenze ed interpreta la norma: la prova deve essere analitica, specifica e non può essere generica. Deve quindi il contribuente giustificare le singole operazioni.

Infatti, così come la contestazione sugli addebiti da parte dell’A.F. non può avvenire per “masse” o addirittura sulla base di un mero “saldo contabile”, le giustificazioni del contribuente devono riferirsi ai singoli movimenti.

La stessa Cassazione, fra l’altro, con sentenza n. 23690 dell’8 novembre 2007 (dep. il 15 novembre 2007) aveva già affermato che è irrilevante, ai fini dell’utilizzazione dei dati ed elementi emersi dalle movimentazioni deirapporti bancari intrattenuti dal contribuente, la dimostrazione che ilsoggetto verificato eserciti attività d’impresa o che il saldo delrapporto sia negativo. Il contesto nel quale si manifesta l’efficaciaprobatoria presuntiva delle risultanze dell’accertamento è quello deimovimenti riconducibili ad operazioni fiscalmente rilevanti per i quali alcontribuente è data facoltà di dimostrare la relativa estraneità. Prosegue la Corte: “non ha rilievo, a tale proposito, che il conto corrente (nella specie: bancario) risulti avere un saldo negativo, in quanto l’oggetto dell’accertamento sono i movimenti e le scritture relative al conto, considerato in un determinato periodo d’imposta”. Pertanto, conclude la Corte, “erroneamente la decisione impugnata ha ritenuto tali elementi come sforniti di valenza probatoria, limitandosi a far propria la critica solo generica del contribuente e non, come avrebbe dovuto, a considerare, anche in ragione delle chieste controdeduzioni procedimentali, elementi di spiegazione analitici”.

 

16 ott0bre 2012

Francesco Buetto