La deducibilità dei costi da reato è retroattiva

la nuova disciplina relativa all’eventuale deducibilità dei costi da reato e l’interpretazione data dai massimi organismi giurisprudenziali prevedono che la deducibilità di eventuali costi derivanti da reati tributari vada valutata in base alla vigente norma di legge

Con ordinanza n. 190 del 16 luglio 2012 (ud 7 marzo 2012) la Corte Costituzionale, chiamata a valutare la costituzionalità dell’art. 14, c. 4-bis, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, ha disposto la restituzione degli atti al giudice a quo, perché proceda ad una nuova valutazione che tenga conto delle modifiche introdotte dal decreto-legge 2 marzo 2012, n. 1, convertito in legge 26 aprile 2012 n. 44, il quale, all’art. 8, c. 1, ha disposto la sostituzione del comma censurato.

Per la Corte Costituzionale, con la nuova formulazione del censurato comma 4-bis, il legislatore,da un lato, ha ridotto l’ambito dei componenti negativi connessi ad illecitipenali e non ammessi in deduzione nella determinazione dei redditi di cuiall’art. 6, c. 1, del T.U. n. 917/86, limitandolo ai “costi e … spesedei beni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per ilcompimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo” e,dall’altro, ha richiesto che, in relazione a tale delitto, “il pubblicoministero abbia esercitato l’azione penale o, comunque, … il giudiceabbia emesso il decreto che dispone il giudizio ai sensi dell’articolo 424del codice di procedura penale ovvero sentenza di non luogo a procedere aisensi dell’articolo 425 dello stesso codice fondata sulla sussistenza dellacausa di estinzione del reato prevista dall’articolo 157 del codice penale…”.

A sua volta, il comma 3 dell’articolo 8 del decreto-legge n. 16 del 2012, disciplinandol’applicazione nel tempo dei commi 1 e 2 dello stesso art. 8, ha previsto che essi “si applicano in luogo di quanto disposto dal comma 4-bis dell’articolo 14 della legge 24 dicembre 1993, n. 537, previgente, anche per fatti, atti o attività posti in essere prima dell’entrata in vigore degli stessi commi 1 e 2, ove piú favorevoli, tenuto conto anche degli effetti in termini di imposte o maggiori imposte dovute, salvo che i provvedimenti emessi in base al citato comma 4-bis previgente non si siano resi definitivi”.

 

La nuova normativa

Come si legge nella relazione illustrativa al provvedimento, la modifica normativa introdotta si propone di sostituire l’attuale disposizione con altra più adeguata alla finalità di inibire in modo inequivoco la deducibilità dei componenti negativi di reddito direttamente connessi al compimento delle fattispecie di reato più gravi, evitando che tale indeducibilità possa essere letta come una sanzione impropria, venendo invece la stessa inquadrata come regola generale nell’ambito della determinazione del reddito imponibile.

In particolare, vengono in specie circoscritte le ipotesi di indeducibilità ai soli costi e spese relativi a beni o prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo, “per il quale il giudice abbia emesso il decreto che dispone il giudizio (ai sensi dell’articolo 424 del codice di procedura penale). Naturalmente si specifica che qualora intervenga una sentenza definitiva di assoluzione compete il rimborso delle maggiori imposte versate in relazione alla non ammissibilità in deduzione e dei relativi interessi”.

Di conseguenza, l’indeducibilità non trova applicazione per i delitti colposi in ragione della non intenzionalità della condotta e quindi del difetto di finalizzazione dei costi eventualmente sostenuti al compimento dei delitti.

Per effetto di tale disposizione, “l’indeducibilità non trova applicazione per i costi e le spese esposti in fatture o altri documenti aventi analogo rilievo probatorio che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi, ferme restando le regole generali in materia di detrazione della relativa imposta sul valore aggiunto di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 e in tema di deduzione previste dal testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917; pertanto, ove del caso, l’indeducibilità dei costi rappresentati in documenti emessi da soggetti che in tutto o in parte non hanno effettivamente posto in essere l’operazione, sarà, comunque, rilevabile per effetto delle altre disposizioni normative eventualmente applicabili e connesse ai requisiti generali di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità dei componenti negativi”.

L’indeducibilità è, invece, subordinata all’esercizio dell’azione penale da parte del pubblico ministero.

Ai fini Iva, l’imposta rimane indetraibile, sempre che non il contribuente non riesca a provare la buona fede.

A sua volta, l’art. 8, c. 2, del D.L.n.16 del 2 marzo 2012, prevede che “ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi non concorrono alla formazione del reddito oggetto di rettifica i componenti positivi direttamente afferenti a spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati, entro i limiti dell’ammontare non ammesso in deduzione delle predette spese o altri componenti negativi. In tal caso si applica la sanzione amministrativa dal 25 al 50 per cento dell’ammontare delle spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati indicati nella dichiarazione dei redditi. In nessun caso si applicano le disposizioni di cui all’articolo 12 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n.472, e la sanzione è riducibile esclusivamente ai sensi dell’art. 16, comma 3, del decreto legislativo 18 dicembre 1997 n. 472”.

Pertanto, i componenti positivi relativi a costi e spese non sostenuti non vengono rettificati quali maggiori ricavi nella misura in cui i costi inesistenti non sono stati ammessi in deduzione. Trova spazio, però, la sanzione dal 25% al 50% dei costi non sostenuti, senza applicazione del concorso di reato e della continuazione.

La relazione illustrativa al provvedimento afferma che la disposizione relativa alle cd. operazioni oggettivamente inesistenti intende, da un lato, colpire con una specifica sanzione pecuniaria l’antigiuridicità dell’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti (con la sanzione amministrativa dal 25% al 50% dell’ammontare delle spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati indicati nella dichiarazione dei redditi) e, dall’altro, salvaguardare il principio costituzionale della capacità contributiva.

In particolare, la disposizione di cui al comma 2, che è di natura procedurale, in materia di accertamento ai fini delle imposte sui redditi, prevede che non concorrono alla formazione del reddito oggetto di rettifica i componenti positivi direttamente afferenti a spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati, entro i limiti dell’ammontare non ammesso in deduzione delle predette spese o altri componenti negativi che, per effetto delle ordinarie disposizioni tributarie, non sono in alcun caso ammessi in deduzione in quanto non effettivamente sostenuti.

In ogni caso, resta applicabile il disposto di cui all’art. 21, c. 7, del D.P.R. n. 633/72 e resta ferma l’indetraibilità dell’IVA relativa ai beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati.

 

31 luglio 2012

Francesco Buetto