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Premessa
Terza puntata dedicata allo scottante tema dell’abuso del diritto, così come delineato dalla giurisprudenza di merito e di legittimità.
In questa puntata è il turno delle sentenze rese note nell’anno 2010, per arrivare, nelle prossime puntate, a quelle via via sempre più recenti.
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I diritti di immagine nello sport e l’interposizione fittizia
L’ordinamento tributario è informato al principio del divieto di abuso del diritto, qualificato come utilizzo di strumenti ed istituti giuridici finalizzati per l’elusione dell’adempimento dell’obbligazione a titolo di imposta, pur se tale contegno sia astrattamente non configgente con nessuna specifica disposizione. Coerentemente, deve ritenersi ortodossa e legittima la riconduzione della titolarità del reddito al soggetto il quale riceva sotto forma di provento per lo sfruttamento dei diritti di immagine somme che dissimulano una vera e propria integrazione del corrispettivo dovuto per le prestazioni rese (nella specie, atleti professionisti).
(Cassazione, sezione tributaria, sentenza n. 4737/2010)
Illegittimo un accertamento con contestazioni superficiali o aposittiche
L’Amministrazione finanziaria non è vincolata alla mera apparenza formale della regolarità della documentazione contabile e della sussistenza delle operazioni economiche delle quali contesta l’insussistenza. Deve peraltro allegare dati, elementi, circostanze ed indizi idonei a superarne la valenza probatoria non potendo risolversi l’accertamento in contestazioni superficiali o apodittiche. D’altra parte, assolto tale onere è devoluta al contribuente la dimostrazione circa l’effettività delle operazioni imponibili non potendo però tale attività risolversi nell’opposizione della formalità della documentazione.
(Cassazione, sezione tributaria, sentenza n. 9477/2010)
L’onere della prova nella contestazione dell’abuso del diritto
In tema di abuso del diritto, grava sul soggetto che invoca l’applicazione del regime fiscale l’onere di provare che lo strumento negoziale adottato non ha quale finalità essenziale il conseguimento di un indebito risparmio d’imposta.
(Cassazione, sezione tributaria, sentenza n. 12249/2010)
Il principio dell’abuso di diritto alla Corte di Giustizia Cee
Poichè dalla giurisprudenza comunitaria non si traggono decisive indicazioni interpretative per risolvere i problemi enunciati, questa Corte ritiene necessario, ai fini della decisione della causa, sottoporre alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea le seguenti questioni:
1) se il principio del contrasto all’abuso del diritto in materia fiscale, cosi come definito nelle sentenze in cause C - 255/02 e C 425/06, Halifax e Part Service, costituisca un principio fondamentale del diritto comunitario soltanto in materia di imposte armonizzate e nelle materie regolate da norme di diritto comunitario secondario, ovvero si estenda, quale ipotesi di abuso di libertà fondamentali, alle materie di imposte non armonizzate, quali le imposte dirette, quando l’imposizione ha per oggetto fatti economici transnazionali, quale l’acquisto di diritti di godimento da parte di una società su azioni di altra società avente sede in altro Stato membro o in uno Stato terzo;
2) a prescindere, dalla risposta al precedente quesito, se sussista un interesse di rilevanza comunitaria alla previsione, da parte degli Stati membri, di adeguati strumenti di contrasto all’elusione fiscale in materia di imposte non armonizzate; se a tale interesse osti una non applicazione - nell’ambito di una misura di condono - del principio dell’abuso del diritto riconosciuto anche come regola del diritto nazionale e se in tal caso ricorra una violazione dei principi ricavabili dall‘art. 4, comma 3, del Trattato sull’Unione Europea.
(Cassazione, sezione tributaria, sentenza n. 22309/2010)
Il principio dell’abuso di diritto nella normativa in tema di “prima casa”
L’acquisto da parte dei coniugi in regime di comunione legale di un prima abitazione, la stipulazione di una nuova convenzione matrimoniale con cessione del cinquanta per cento dell’abitazione all’altro coniuge, e l’acquisto da parte di entrambi di una seconda abitazione, non costituiscono un “abuso di diritto”, in quanto, mancando specifiche norme di carattere antielusivo, il vuoto normativo non può esere colmato con l’applicazione di un principio conseguente ad una elaborazione giurisprudenziale.
Nel caso di specie, in data 26 novembre 2003, la contribuente acquistava, congiuntamente al marito, un’abitazione da destinare a prima casa. Ma l’ente impositore contestava tale agevolazione, in quanto la stessa aveva già acquistato, con le medesime agevolazioni in regime di comunione legale con il marito, un altro immobile nel 1991, e recuperava, in capo alla contribuente, il diritto di godere delle agevolazioni fiscali. Si opponeva la contribuente affermando che, nel medesimo giorno in cui era avvenuto l’acquisto del secondo immobile, aveva stipulato una convenzione matrimoniale con la quale aveva ceduto al marito, estromettendola dalla comunione legale esistente tra i coniugi, la propria quota dell’immobile acquistato nel 1991. Conseguentemente la contribuente non risultava essere titolare né esclusiva né in comunione con il proprio coniuge di diritti di proprietà su immobili adibiti a prima casa. Replicava l’ente impositore come la convenzione matrimoniale dovesse essere ritenuta priva di efficacia in quanto posta in essere al fine di consentire una nuova fruizione dell’agevolazione. Il giudice d’appello riteneva come, in mancanza di una specifica norma antielusiva, il comportamento dei contribuenti risultasse essere corretto.
(Commissione Tributaria Regionale Torino, sentenza 1/XXIX/2010)
Compravendita di immobile dissimulata
La costituzione di una società con conferimento del bene così gravato, e la vendita totalitaria delle quote sociali, costituiscono un “abuso di diritto”, in quanto sono operazioni poste in essere per risparmiare l’imposta di registro, ipotecaria e catastale, che devono essere recuperate tenuto conto dell’intrinseca natura e degli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, senza che vi corrisponda il titolo o la forma apparente.
Nel caso di specie. G. V., G. A. e G.L., in data 22 febbraio 2005 costituivano una società di capitale denominata …”, con un capitale sociale di 100mila euro. G.V. conferiva un ramo d’azienda costituita da attività e passività per 96.660 euro, pari al 96,66%. Gli altri due soci conferivano del contante per € 1.670,00, con una partecipazione pari all’1,67% cadauno. In data 22 marzo 2005 G.V. cedeva l’intera quota a G.A. e G.L,. al prezzo complessivo di 96.600 euro. Per il Fisco i due atti, pur essendo distinti tra loro, erano strettamente connessi da un chiaro intento elusivo, al solo scopo di far apparire, come costituzione di società con conferimento di cespiti immobiliari da parte di un socio e successiva cessione di quota, un negozio giuridico sostanzialmente diverso, cioè una vera e propria compravendita immobiliare. In pratica il Fisco ha tassato non i “singoli” negozi ai sensi dell’art. 21, Dpr 131/86 bensì il “complesso” degli stessi ai sensi dell’art. 20, recuperando la differenza tra imposta accertata sul negozio “complessivo” e somma liquidata sulla somma dei “singoli” negozi. Così decidendo la Ctr ha concretamente applicato il principio di “abuso di diritto” elaborato dalla giurisprudenza della Cassazione nelle sentenze nn. 30055-6-7/08 e n. 15029/09.
(Commissione Tributaria Regionale Torino, sentenza 45/XXXVIII/2010)
15 giugno 2012
Danilo Sciuto