Sono legittime le indagini finanziarie su terzi

ecco una rassegna della recente giurisprudenza di Cassazione sulla possibilità di estendere a terzi (familiari dell’imprenditore – soci ed amministratori della società) le indagini sui movimenti bancari

Con tre recenti sentenze la Corte di Cassazione ha confermato la legittimità dell’estensione delle indagini finanziarie ai terzi. Analizziamo le pronunce in questione.

 

La sentenza n. 20449 del 6 ottobre 2011 (ud. del 12 maggio 2011)

Per la Corte, “in tema di poteri di accertamento degli uffici finanziari devono ritenersi legittime le indagini bancarie estese ai congiunti del contribuente persona fisica, ovvero a quelli degli amministratori della società contribuente, in quanto sia il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, n. 7, riguardo alle imposte sui redditi, che il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51, riguardo all’IVA, autorizzano l’ufficio finanziario a procedere all’accertamento fiscale anche attraverso indagini su conti correnti bancari formalmente intestati a terzi, ma che si ha motivo di ritenere connessi ed inerenti al reddito del contribuente, ipotesi, questa, ravvisabile nel rapporto familiare, sufficiente a giustificare, salva prova contraria, la riferibilità al medesimo accertato delle operazioni riscontrate su conti correnti bancari degli indicati soggetti, come nella specie; in particolare quando si tratti di movimentazioni bancarie cospicue senza che gli amministratori o terzi diano valida giustificazione di tali operazioni (cfr. anche Cass. Sentenze n. 18083 del 04/08/2010, n. 374 del 2009)”.

La Corte, inoltre, ha accolto il vizio di motivazione opposto dall’A.F. (la CTR non considerava che, a prescindere dalle dichiarazioni rese dai vari clienti alla polizia tributaria, piuttosto erano significative le rilevanti operazioni inerenti ai conti correnti bancari intestati ai soci e parenti per farle risalire alla società di persone, senza che essa avesse offerto prova contraria).

La censura, che in parte rimane assorbita dal primo motivo, viene condivisa dalla Suprema Corte, “posto che erano determinanti i rilievi emersi circa le movimentazioni bancarie, ancorchè formalmente facenti capo a oggetti diversi dalla contribuente, ma ad essa strettamente collegati per esserne soci e stretti parenti di questi, sicchè non poteva non scattare la prova presuntiva, con conseguente inversione dell’onere della prova sulla contribuente, che però non lo assolveva”.

 

L’ordinanza n. 19888 del 29 settembre 2011 (ud. del 21 giugno 2011)

Questa Corte ha più volte affermato che, in tema di accertamento dell’IVA, la presunzione, stabilita dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51, comma 2, n. 2, secondo la quale i singoli dati ed elementi risultanti dai conti bancari sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dal successivo art. 54, se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto nelle dichiarazioni o che non si riferiscono ad operazioni imponibili, ha un contenuto complesso, consentendo di riferire i movimenti bancari all’attività svolta in regime IVA, eventualmente dalla persona fisica, e di qualificare gli accrediti come ricavi e gli addebiti come corrispettivi degli acquisti; essa può essere vinta dal contribuente che offra la prova liberatoria che dei movimenti egli ha tenuto conto nelle dichiarazioni, o che questi non si riferiscono ad operazioni imponibili: la prova che il contribuente è tenuto a dare della non riferibilità ad operazioni imponibili deve essere specifica e riguardare analiticamente i singoli movimenti bancari, tale cioè da dimostrare che ciascuna delle operazioni effettuate è estranea a fatti imponibili (Cass. nn. 28324/2005, 1739/2007, 9146/2010)”.

In particolare, “questa Corte ha affermato che in tema di accertamento delle imposte, il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600,art. 32, n. 7, e il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51, autorizzano l’Ufficio finanziario a procedere all’accertamento fiscale anche attraverso indagini su conti correnti bancari formalmente intestati a terzi, ma che si ha motivo di ritenere connessi ed inerenti al reddito del contribuente, acquisendo dati, notizie e documenti di carattere specifico relativi a tali conti, sulla base di elementi indiziar tra i quali può assumere rilievo decisivo la mancata risposta del contribuente alla richiesta di chiarimenti rivoltagli dall’Ufficio in ordine ai medesimi conti, e senza che l’utilizzabilità dei dati dagli stessi risultanti trovi ostacolo nel divieto di doppia presunzione, attenendo quest’ultimo alla correlazione tra una presunzione semplice ed un’altra presunzione semplice, e non già al rapporto con una presunzione legale, quale è quella che ricorre nella fattispecie in esame (Cass. nn. 27032/2007, 374/2009, 1023/2008)”.

Pertanto, conclude la Corte, “la ratio decidendi della sentenza impugnata – secondo la quale l’ufficio può procedere alla rettifica della dichiarazione annuale solo se i documenti a base della pretesa costituiscano prova certa e diretta della infedeltà, con la conseguenza che se i documenti costituiscono solo prove presuntive, non è possibile l’accertamento senza preventiva verifica, e secondo la quale le violazioni all’acquisto e alla vendita per somme rilevate dalle movimentazioni bancarie di C.G. e C.B., soci della società, non sono suffragate da riscontri contabili certi, precisi e concordanti, e secondo cui nell’accertamento basato sulla documentazione raccolta in sede di ispezioni bancarie, il maggior imponibile determinato è il risultato di una presunzione legale relativa che rende ammissibile la prova contraria, ed in particolare nella specie, in cui si è illegittimamente attribuito alla società quanto risultante dai conti correnti dei soci della stessa, estranei però all’amministrazione e rappresentanza della società – non è conforme ai principi sopra enunciati”.

 

L’ordinanza n. 26906 del 14 dicembre 2011 (ud 22 novembre 2011)

In materia di accertamenti bancari il D.P.R. n. 633, art. 51 (ai fini IVA) e il D.P.R. n. 600, art. 32 (per le imposte dirette) prevedono una presunzione legale relativa di “redditività” delle movimentazioni bancarie (prelevamenti eversamenti dai conti correnti riferibili al contribuente) non giustificate; tale presunzione legale è ritenuta da sola sufficiente a motivare la ripresa a tassazione, in mancanza della prova contraria circa l’estraneità delle movimentazioni predette all’attività di impresa. In mancanza della prova contraria, infatti, tutte le movimentazioni bancarie non giustificate possono essere considerata operazioni imponibili (Cass. 10396/2011). Quanto ai poteri di accertamento, sono legittime le indagini bancarie estese ai congiunti del contribuente persona fisica ovvero a quelli di amministratori o dipendenti della parte contribuente, in quanto sia Il D.P.R. n. 600, art. 32, n. 7, (riguardo alle imposte sui redditi,) che il D.P.R. n. 633, art. 51 (riguardo all’IVA) autorizzano l’Ufficio finanziario a procedere all’accertamento fiscale anche attraverso indagini su conti correnti bancari formalmente intestati a terzi, ma che si ha motivo di ritenere connessi e inerenti al reddito del contribuente, ipotesi, questa, ravvisabile nel rapporto familiare e/o aziendale, sufficiente a giustificare, salva prova contraria, la riferibilità al contribuente accertato delle operazioni riscontrate su conti correnti bancari degli indicati soggetti (Cass. 18083/2010 e 20199/2010)”.

 

Brevi considerazioni

Ancora di recente, con sentenza n. 14785 del 5 luglio 2011 (ud. del 22 marzo 2011) la Corte di Cassazione, occupandosi dell’estensione delle indagini finanziarie sui conti di soci e amministratori di società verificata, aveva affermato che, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972,art. 51, nn. 2 e 7, l’acquisizione, dagli istituti di credito, di copia dei conti bancari intrattenuti col contribuente e l’utilizzazione dei dati dagli stessi risultanti ai fini delle rettifiche e degli accertamenti “non possono ritenersi limitate, in caso di società di capitali, ai conti formalmente intestati alla società, ma riguardano anche quelli formalmente intestati ai soci, amministratori o procuratori generali, allorchè risulti provata dall’Amministrazione finanziaria, anche tramite presunzioni, la natura fittizia dell’intestazione o, comunque, la sostanziale riferibilità all’ente dei conti medesimi o di singoli dati od elementi di essi (Cass., 15 luglio 2008, n. 19362; Cass. 30 dicembre 2009, n. 27947; Cass. 5 ottobre 2007, n. 20860; Cass., 7 settembre 2007, n. 18868)”. Infatti, “il rapporto di coniugio o di parentela, ovvero la qualifica di amministratore, determinano un legame talmente stretto da realizzare una sostanziale identità di soggetti, tale da giustificare automaticamente, salvo prova contraria, l’utilizzazione dei dati raccolti (Cass., 1 aprile 2003, n. 4987). Una volta accertata, anche tramite presunzioni, la riferibilità dei conti correnti dei terzi alla società, operano, senza alcuna limitazione, i criteri, anche di natura presuntiva, stabiliti per tale modalità di accertamento. In presenza di accertamenti bancari, costituisce quindi onere del contribuente dimostrare che i proventi desumibili dalla movimentazione bancaria non debbono essere recuperati a tassazione, o perchè egli ne ha già tenuto conto nelle dichiarazioni, o perchè non sono fiscalmente rilevanti, in quanto non si riferiscono ad operazioni imponibili (Cass., n. 9573/2007; Cass., n. 1739/2007). Invero nei casi previsti dalle norme contenute, per l’IVA, nel D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, e, per l’imposta sul reddito, nel D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 (Cass. 26 febbraio 2009, n. 4589; Cass., 20 giugno 2008 n. 16837), l’onere dell’amministrazione di provare la sua pretesa è soddisfatto, per volontà di legge, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti bancari, per cui resta a carico del contribuente l’onere di provare il contrario”. Pertanto, “in una società in cui la compagine sociale è riferibile, come nella specie, ad un unico ristretto gruppo familiare, ben si può ritenere che l’esistenza del legame familiare e la ristrettezza della compagine sociale autorizzino di per se stesse la presunzione di riferibilità alla società delle operazioni riscontrate su conti correnti bancari intestati ai soci; salva naturalmente la facoltà del contribuente (di cui nella specie i soci della T. non si sono avvalsi) di provare la diversa origine di tali entrate (cfr. Cass. nn. 1728/99, 2980/2002,8683/2002, 4987/2003, 13391/2003, 26410/2005, 6743/2007)”.

Una volta avviato il controllo nei confronti di un determinato contribuente, spesso gli uffici ritengono opportuno estenderlo a soggetti terzi collegati – direttamente o indirettamente – con il verificato.

Nel corso di questi anni la Corte di Cassazione, più volte, è stata chiamata a pronunciarsi sull’argomento, affermando sostanzialmente che le risultanze dei conti correnti bancari – quando si tratti di conti intestati a soggetti diversi da quelli sottoposti a verifica -, in tanto possono essere invocate a sostegno di presunti acquisti o vendite in evasione d’imposta, in quanto risultino concreti elementi che autorizzino a collegare quei movimenti con operazioni commerciali del soggetto nei cui confronti s’intende procedere ad accertamento.

Dall’esame dei conti si possono trarre indicazioni certe se le stesse sono assistite da gravità, precisione e concordanza, al fine di stabilire se i movimenti di capitali presenti nel conto siano il frutto di operazioni commerciali di terzi (i.e. la mancata giustificazione dei cospicui movimenti nei libretti, in assenza di altre significative attività lucrative del parente in senso lato che ne era in possesso, possono costituire elementi atti a suffragare la riferibilità).

Le pronunce più significative emesse nel corso di questi anni1 legittimano l’estendibilità delle indagini a terzi, fermo restando che la valutazione dei presupposti per il dirottamento delle stesse2 può essere effettuata nei casi di sussistenza di elementi documentali o presuntivi, che attestino la riconducibilità del conto in capo ad un soggetto diverso dell’intestatario.

E’ naturale, oltre che presumibile, che il nero giri nei conti di terzi vicini, siano essi parenti (moglie, fratelli, suoceri…) o legati da rapporti societari (soci/società).

Per la stessa A.F.3 è legittimamente indubbia l’estendibilità delle indagini ai conti di “terzi“, cioè di soggetti non interessati dall’attività di controllo, atteso che le citate disposizioni, utilizzando la locuzione “i dati e gli elementi risultanti dai conti possono essere posti a base delle rettifiche e degli accertamenti“, autorizzano anche l’apprensione di quei conti di cui il contribuente sottoposto a controllo ha avuto la concreta ed effettiva disponibilità, indipendentemente dalla formale intestazione.

Quindi, preso atto dell’indirizzo giurisprudenziale – che ha comunque privilegiato soluzioni più aderenti alla sostanza del rapporto tributario sottostante all’avviso di accertamento piuttosto che a valutazioni legate alla forma – e del pensiero dell’Amministrazione finanziaria4, riteniamo acclarato che – se in possesso indizi ed elementi – l’ufficio possa estendere l’indagine a terzi, e imputare i conti/rapporti dei medesimi al contribuente verificato, salva la prova contraria a carico del contribuente.

 

23 gennaio 2012

Gianfranco Antico

1 In generale, per una articolata casistica giurisprudenziale, G. Antico, Indagini finanziarie: orientamenti giurisprudenziali, in “Guida ai controlli fiscali”, n. 12/2007, pag. 63.

2 Cfr. anche sul punto Antico, Indagini finanziarie: recenti orientamenti della Corte di Cassazione sull’estendibilità a parenti e soci, in “Finanza&Fisco”, n. 14/2007, pag. 1054.

3 Cfr. circolare n .32/2006.

4 La circolare n. 32/2006 (paragrafo 5.2.) ritiene che “risulta ormai fuor di dubbio l’estendibilità delle indagini ai conti di terzi”, ogni qual volta “gli uffici rilevino nel corso dell’istruttoria che le movimentazioni finanziarie, sebbene riferibili formalmente a soggetti che risultano averne la titolarità, in realtà sono da imputare a un soggetto diverso che ne ha la reale paternità con riferimento all’attività svolta”.