Siamo tutti soggetti alle indagini finanziarie

l’accertamento in base ai movimenti di conto corrente può essere effettuato contro qualsiasi contribuente, anche un lavoratore dipendente…

 

Con sentenza n. 21132 del 13 ottobre 2011 (ud. del 7 luglio 2011) la Corte di Cassazione ha confermato che l’utilizzazione dei dati acquisiti presso le aziende di credito non è subordinata alla prova che il contribuente eserciti attività d’impresa o di lavoro autonomo. Se non viene contestata la legittimità dell’acquisizione dei dati risultanti dai conti correnti bancari, i medesimi possono essere utilizzati sia per dimostrare l’esistenza di un’eventuale attività occulta, impresa, arte o professione, sia per quantificare il reddito ricavato da tale attività, incombendo al contribuente l’onere di dimostrare che i movimenti bancari che non trovano giustificazione sulla base delle sue dichiarazioni non sono fiscalmente rilevanti.

 

Il processo

La controversia concerne l’impugnazione di più avvisi di accertamento ai fini IVA per omessa fatturazione di operazioni imponibili e omessa dichiarazione, nonchè più avvisi di contestazione circa l’omessa istituzione delle scritture contabili. L’attività accertatrice si fondava anche sulle eseguite verifiche bancarie.

La contribuente sosteneva di non aver svolto attività di lavoro autonomo, come affermato dall’Erario, bensì lavoro dipendente collaborando con il coniuge professionista.

Con più sentenze la Commissione adita accoglieva i ricorsi della contribuente ritenendo indimostrata l’attività di lavoro autonomo.

Il giudice d’appello, riunite le impugnazioni dell’Amministrazione finanziaria, le rigettava, affermando che l’amministrazione non aveva provato la sussistenza di un lavoro autonomo e che, quindi, non potessero applicarsi le presunzioni di cui all’art. 51 del D.P.R. n. 633 del 1972.

Avverso tale sentenza l’amministrazione propone ricorso per cassazione, lamentando fra l’altro la violazione e falsa applicazione dell’art.51, del D.P.R. n. 633 del 1972, nonchè vizio di motivazione, contestando l’esattezza del presupposto assunto dal giudice di merito circa la necessità di una previa prova della sussistenza di un lavoro autonomo, perchè operi la presunzione di cui alla richiamata norma.

 

I motivi della decisione

Per la Corte il ricorso è fondato. Infatti, “in tema di IVA, l’utilizzazione dei dati acquisiti presso le aziende di credito, ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51, comma 2, n. 2, non è subordinata alla prova che il contribuente eserciti attività d’impresa (o di lavoro autonomo): infatti, se non viene contestata la legittimità dell’acquisizione dei dati risultanti dai conti correnti bancari, i medesimi possono essere utilizzati sia per dimostrare l’esistenza di un’eventuale attività occulta (impresa, arte o professione), sia per quantificare il reddito ricavato da tale attività, incombendo al contribuente l’onere di dimostrare che i movimenti bancari che non trovano giustificazione sulla base delle sue dichiarazioni non sono fiscalmente rilevanti” (Cass. n. 9573/2007). Ed è stato altresì affermato che “in tema di accertamento dell’IVA, la presunzione, stabilita dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51, comma 2, n. 2, secondo la quale i singoli dati ed elementi risultanti dai conti bancari sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dal successivo art. 54, se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto nelle dichiarazioni o che non si riferiscono ad operazioni imponibili, ha un contenuto complesso, consentendo di riferire i movimenti bancari all’attività svolta in regime IVA, eventualmente dalla persona fisica, e di qualificare gli accrediti come ricavi e gli addebiti come corrispettivi degli acquisti; essa può essere vinta dal contribuente che offra la prova liberatoria che dei movimenti egli ha tenuto conto nelle dichiarazioni, o che questi non si riferiscono ad operazioni imponibili” (Cass. n. 26692/2005).

Pertanto, “il giudice di merito non poteva ritenere irrilevanti le presunzioni di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, tanto più in una fattispecie nella quale veniva contestata alla contribuente l’omessa dichiarazione, ma avrebbe dovuto tenerne conto, anche unitamente ad altri elementi emergenti dal processo, perchè la contribuente, che allegava la propria posizione di lavoratrice dipendente, avrebbe dovuto dare la prova che i movimenti bancari non erano riferibili ad operazioni imponibili”.

 

Brevi note

Propri pochi giorni fa, con sentenza n. 19692 del 27 settembre 2011 (ud. del 23 giugno 2011), la Corte di Cassazione, nell’affrontare tutta una serie di questioni di rilievo in ordine alle indagini finanziarie, si era soffermata sulla valenza dei versamenti riscontrati in un conto di un soggetto privato.

Anche in questo caso, il ricorrente deduceva l’illegittimità sotto molteplici aspetti della procedura di acquisizione dei dati bancari, e comunque l’infondatezza dell’accertamento stante l’inapplicabilità nei suoi confronti della presunzione di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, c. 1, n. 2, operante solo per i lavoratori autonomi e gli esercenti attività d’impresa (categorie alle quali egli era estraneo).

Ma la Cassazione è stata di parere opposto: l’Amministrazione finanziaria è legittimata a ritenere i versamenti su un conto corrente privi di giustificazione, quali redditi imputabili al contribuente, spettando a questi dimostrarne l’estraneità all’imponibile ricostruito in sede di accertamento. “Ed invero il D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 32 e 38, hanno portata generale e pertanto riguardano la rettifica delle dichiarazioni dei redditi di qualsiasi contribuente, quale che sia a natura dell’attività dagli stessi svolta e dalla quale quei redditi provengano, la qual cosa in particolare è da ritenersi per quanto relativo all’applicabilità della presunzione di cui all’art. 32, comma 1, n. 2. Nè in contrario senso può fondatamente invocarsi il riferimento ai “ricavi” e alle scritture contabili contenuto nella suddetta norma, giacchè esso risulta limitativo unicamente della possibilità per l’ufficio di desumere reddito dai “prelevamenti”, non potendosi certamente in via generale e per qualsiasi contribuente presumere la produzione di un reddito da una spesa, e potendo viceversa una simile presunzione trovare giustificazione per imprenditori o lavoratori autonomi, per i quali te spese non giustificate possono infatti ragionevolmente ritenersi costitutive di investimenti. Ciò senza peraltro che l’utilizzo dei termini suddetti possa in alcun modo impedire all’ufficio di desumere per qualsiasi contribuente che i “versamenti” operati sui propri conti correnti, e privi di giustificazione, costituiscano reddito, dovendosi ritenere tale attività accertativa pienamente consentita dalla norma in esame e assolutamente ragionevole”.

 

15 novembre 2011

Roberta De Marchi