La legittimità delle indagini finanziarie su terzi

vediamo in quali casi è possibile al Fisco procedere ad indagini nei confronti di persone terze (rispetto al contribuente soggetto a controllo) ed utilizzare tali dati ai fini del recupero dell’evasione

Con sentenza n. 10573 del 13 maggio 2011 (ud. del 2 marzo 2011) la Corte di Cassazione, nel contesto delle indagini finanziarie, ha legittimato l’Amministrazione finanziaria a sindacare e verificare anche le posizioni giuridiche di soggetti terzi legati da particolari rapporti con il contribuente (legami familiari, rapporti di collaborazione e lavoro), utilizzate per scopi elusivi ovvero di evasione fiscale.

 

La decisione: l’aspetto principale

Questa corte ha svariate volte (tra le altre, Cass. n. 2009/374) affermato che, in tale ipotesi, il contribuente non può fondatamente dolersi del fatto che le indagini bancarie abbiano riguardato conti e depositi intestati a terzi, dovendo ritenersi consentita simile operazione, ai sensi delle norme richiamate, quando l’ufficio abbia motivo di ritenere, in base agli elementi indiziar raccolti, ritenuti congrui dal giudice tributario di merito, che tali conti e depositi fossero stati utilizzati per occultare operazioni commerciali, ovvero per imbastire una vera e propria gestione extracontabile, a scopo di evasione fiscale (Cass. nn. 27032/2007, 17243/ 2003, 13819/2003, 13391/2003, 4987/2003, 2980/2002)”.

Nel caso sottoposto all’esame dei giudici, sono stati ritenuti legittimi gli accertamenti anche nel caso di “conti correnti bancari o libretti di deposito intestati a familiari del contribuente, non potendosi ragionevolmente disconoscere la sussistenza di un identico interesse all’accertamento, in presenza di gravi, precisi e concordanti indizi circa la fittizia intestazione di tali conti, utilizzati al medesimo scopo di evasione fiscale (Cass. nn. 6232/2003, 8683/20028826/2001)”.

Ciò in conformità all’insegnamento (Corte. Cost. sent. n. 51/1992) che la tutela del segreto bancario non può spingersi fino a costituire ostacolo od intralcio all’attuazione di esigenze costituzionali primarie, come l’accertamento degli illeciti tributari, costituenti ipotesi di particolare gravità in quanto rappresentano violazione di un dovere inderogabile di solidarietà.

La presunzione di operazioni commerciali non registrate, discendente dalla riscontrata movimentazione di somme su conti formalmente intestati a terzi costituisce, quindi, valido indizio a favore della tesi erariale, non qualificabile come presunzione di doppio grado, dovendosi escludere simile conclusione quando, per disposizione di legge (D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, c. 2, n. 2), i singoli dati ed elementi risultanti dall’indagine bancaria debbono essere posti a base delle rettifiche e degli accertamenti, “se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto nelle dichiarazioni o che non si riferiscono ad operazioni imponibili” (Cass. n. 27032/2007, già cit.).

Nel caso in esame, il conto risultava intestato ad una collaboratrice, sul cui conto il contribuente verificato aveva la possibilità di operare.

 

Breve nota

Su tali tematiche, la giurisprudenza degli ultimi anni ha privilegiato soluzioni più aderenti alla sostanza del rapporto tributario sottostante all’avviso di accertamento piuttosto che a valutazioni legate alla forma.

Già con sentenza n. 4775 del 28 febbraio 2011 (ud. del 21 ottobre 2010) la Corte di Cassazione ha legittimato la rettifica operata sulla base delle indagini finanziarie sui conti correnti formalmente intestati a persone legate da particolari rapporti con il contribuente (nella specie, convivente) e sulle cui movimentazioni non si è fornita prova della non riferibilità delle somme alla maggiore capacità contributiva contestata in sede di accertamento.

E sempre la Corte di Cassazione, con sentenza n. 19493 del 13 settembre 2010 (ud. del 22 giugno 2010), ha, fra l’altro, affermato, “l’estensione delle indagini bancarie anche a soggetti terzi rispetto alla società non può ritenersi illegittima in quanto tutti detti soggetti hanno riferimento nella società o quale amministratore e soci o quale congiunto di questi e, quindi, in una società, come nella specie, la cui compagine sociale e la cui amministrazione è riferibile ad un unico ristretto gruppo familiare ben si può ritenere che l’esistenza di tali vincoli sia sufficiente a giustificare la riferibilità al contribuente accertato delle operazioni riscontrate su conti correnti bancari intestati a tali soggetti, salva naturalmente la facoltà di questi di provare la diversa origine di tali entrate (Cass. nn. 1728/1999, 8683/2002, 13391/2003, 4357/2007, 6743/2007, 27032/2007, 19362/2008). Inoltre… la verifica può estendersi anche ai conti dei congiunti degli amministratori della società contribuente, essendo il rapporto familiare sufficiente a giustificare – salvo prova contraria – la riferibilità al contribuente accertato delle operazioni riscontrate sui conti bancari degli indicati soggetti (Cass. n. 18868/2007)” (nel caso di specie, la suocera dell’amministratore unico, sui cui conti erano delegati ad operare il predetto socio e l’altro socio della società contribuente, cugino del primo).

Ancor prima, con la sentenza n. 1452 del 3 dicembre 2008, dep. il 21 gennaio 2009, la Corte di Cassazione ha ritenuto che in tema di accertamento delle imposte, il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, n. 7, e il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51, autorizzano l’Ufficio finanziario a procedere all’accertamento fiscale anche attraverso indagini su conti correnti bancari formalmente intestati a terzi, ma che si ha motivo di ritenere connessi ed inerenti al reddito del contribuente, acquisendo dati, notizie e documenti di carattere specifico relativi a tali conti, sulla base di elementi indiziari tra i quali può assumere rilievo decisivo la mancata risposta del contribuente alla richiesta di chiarimenti rivoltagli dall’Ufficio in ordine ai medesimi conti, e senza che l’utilizzabilità dei dati dagli stessi risultanti trovi ostacolo nel divieto di doppia presunzione, attenendo quest’ultimo alla correlazione tra una presunzione semplice ed un’altra presunzione semplice, e non già al rapporto con una presunzione legale, quale è quella che ricorre nella fattispecie in esame (V. pure Cass. Sentenze n. 27032 del 21/12/2007, n. 18421 del 2005, n. 6232 del 2003)”. Inoltre, osserva la Corte, “le indagini bancarie estese ai congiunti del contribuente persona fisica ovvero a quelli degli amministratori della società contribuente devono ritenersi legittime, essendo il rapporto familiare sufficiente a giustificare, salva prova contraria, la riferibilità al contribuente accertato delle operazioni riscontrate sui conti correnti bancari degli indicati soggetti. Detto principio deve, peraltro, estendersi all’accertamento d’Ufficio, ex art. 41, del D.P.R. citato, in radicale assenza di dichiarazione, posto che in tale ipotesi l’Ufficio può avvalersi anche di presunzioni prive dei requisiti della gravità, precisione e concordanza (cfr. anche Cass. Sentenze n. 18868 del 07/09/2007, n. 13391 del 2003, n. 8683 del 2002)”.

Le modifiche normative apportate alle indagini bancarie/finanziarie impongono a tutti gli operatori – uffici e professionisti – una attenzione particolare, dal momento che l’equazione addebitamenti + accreditamenti = ricavi / corrispettivi non contabilizzati è prevista normativamente.

Una volta avviato il controllo nei confronti di un determinato contribuente, spesso gli uffici ritengono opportuno estenderlo a soggetti terzi collegati – direttamente o indirettamente – con il verificato.

Nel corso di questi anni la Corte di Cassazione, come abbiamo visto, più volte è stata chiamata a pronunciarsi sull’argomento, sempre affermando che le risultanze dei conti correnti bancari – quando si tratti di conti intestati a soggetti diversi da quelli sottoposti a verifica -, in tanto possono essere invocate a sostegno di presunti acquisti o vendite in evasione d’imposta, in quanto risultino concreti elementi che autorizzino a collegare quei movimenti con operazioni commerciali del soggetto nei cui confronti si intende procedere ad accertamento.

Dall’esame dei conti si possono trarre indicazioni certe se le stesse sono assistite da gravità, precisione e concordanza, al fine di stabilire se i movimenti di capitali presenti nel conto siano il frutto di operazioni commerciali di terzi.

Acclarata l’estendibilità delle indagini a terzi, resta fermo che la valutazione dei presupposti per dirottare le indagini nei confronti di terzi può essere effettuata nei casi di sussistenza di elementi documentali, che attestino la riconducibilità del conto in capo ad un soggetto diverso dell’intestatario.

E’ vero che, in via di principio, le potestà di controllo in esame trovano applicazione unicamente ai rapporti intestati o cointestati al contribuente sottoposto a controllo, ma è pur vero che le stesse potestà si applicano anche relativamente ai rapporti intestati e alle operazioni effettuate esclusivamente da soggetti terzi, specialmente se legati al contribuente da vincoli familiari o aziendali, a condizione che l’ufficio accertatore dimostri che, la titolarità dei rapporti come delle operazioni, è superata in relazione alle circostanze del caso concreto, dalla sostanziale imputabilità al contribuente medesimo delle posizioni creditorie e debitorie rilevate dalla documentazione bancaria acquisita (in tal senso, Cassazione nn. 1728/1999, 8457/2001, 8826/2001 e 6232/2003).

 

28 giugno 2011

Francesco Buetto