La presentazione della dichiarazione dei redditi da parte del fallito

il fallito che non presenta la dichiarazione dei redditi e dell’IVA precedente rispetto alla sentenza del Tribunale che dichiara fallita la società, rischia la sanzione penale per evasione fiscale

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1549/2011 indica come il fallito che non presenta la dichiarazione dei redditi e dell’Iva precedente rispetto alla sentenza del Tribunale che dichiara fallita la società, rischia la sanzione penale.

In particolare, la vicenda tocca il rappresentante legale di una società dopo dichiarata fallita che è stato condannato sia in primo sia in secondo grado in quanto non aveva presentato la dichiarazione annuale dei redditi e Iva.

Il soggetto contro la sentenza della Corte d’Appello, ricorre per cassazione lamentando:

  • violazione di legge: si considera violato l’articolo 5 del Dlgs 74/2000 in relazione agli articoli 2, 3, 4, e 5 del Dpr 322/1998 ;

  • violazione e falsa applicazione dell’46 cod. pen. ed insufficiente ed illogica motivazione sul punto;

  • che nella identificazione dei requisiti della condotta doveva essere escluso il dolo specifico come elemento soggettivo del reato, in quanto nel periodo di riferimento l’imprenditore era detenuto in uno Stato estero e questo costituiva una ipotesi di forza maggiore o di costringimento fisico, che escludeva il dolo. Su tali circostanze la corte d’appello ha omesso di motivare;

  • che il termine per la presentazione delle dichiarazioni fiscali relative al periodo precedente scadeva il 31 ottobre 2002. La sentenza dichiarativa di fallimento era stata pronunciata il 5 ottobre e quindi l’onere della presentazione era proprio del curatore fallimentare.

La Corte di cassazione annulla la sentenza impugnata senza rinvio perché il reato è estinto per prescrizione.

In particolare considera il ricorso infondato perché, secondo il dettato dell’art. 5 del D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, spetta al curatore presentare la dichiarazione dei redditi relativa al periodo compreso tra l’inizio del periodo d’imposta e la data in cui ha effetto la dichiarazione di fallimento, mentre spetta al fallito presentare la dichiarazione dei redditi per i periodi di imposta anteriori al fallimento.

Si sottolinea che nel caso di specie la dichiarazione dei redditi è quella relativa al periodo 2001, periodo anteriore al fallimento, e quindi l’obbligo di presentare la dichiarazione dei redditi spettava al soggetto.

Inoltre, la Corte fa riferimento alla sua giurisprudenza, ricordando come con la sentenza nr. 299/1995, la stessa Sezione avesse già affermato che “Spetta al fallito presentare la dichiarazione dei redditi per i periodi di imposta anteriori al fallimento, mentre il curatore deve presentare quelle successive alla dichiarazione di fallimento, comprese quelle relative al periodo di imposta compreso tra l’inizio del periodo di imposta e la dichiarazione di fallimento”, inoltre, “in materia di fallimento, la soggettività passiva nel rapporto tributario permane nei confronti del fallito, il quale dopo la dichiarazione di fallimento perde solo la disponibilità dei suoi beni nonché la capacità processuale e quella di amministrare il suo patrimonio. Coerentemente, resta in capo al fallito l’obbligo di presentare la dichiarazione dei redditi relativamente ai periodi di imposta anteriori alla sentenza di fallimento, mentre relativamente ai periodi di imposta successivi è il curatore fallimentare che … è obbligato a presentare la dichiarazione dei redditi per l’intervallo di tempo compreso tra l’inizio del periodo di imposta e la dichiarazione di fallimento”.

Quanto espresso dalla giurisprudenza della Corte, è conforme alla normativa vigente: secondo l’articolo 5, comma 4, del Dpr 322/1998, nei casi di fallimento, le dichiarazioni relative al periodo compreso tra l’inizio del periodo d’imposta e la data della sentenza fallimentare devono essere presentate dal curatore entro quattro mesi dalla nomina.

Inoltre, per confermare che il contribuente fallito è il soggetto passivo nell’ambito del rapporto tributario, si ricorda come

  • la Corte di Cassazione con l’ordinanza 25947/2010, ha considerato legittimo ed utilizzabile dal fisco il processo verbale di constatazione sottoscritto dal fallito e non dal curatore.

Dunque, la Cassazione sostiene e ribadisce che con la dichiarazione di fallimento si realizza solo la perdita della legittimazione sostanziale e processuale dell’imprenditore fallito che continua ad essere soggetto del rapporto tributario: a questo punto, comunque, si puntualizza che la perdita della legittimazione sostanziale limita il soggetto nella sua facoltà dispositiva mantenendo sempre la titolarità dei rapporti.

Per questo, gli atti del procedimento tributario creati prima della dichiarazione di fallimento del contribuente, sono opponibili alla curatela, mentre quelli cerati dopo, hanno, come destinatario, l’impresa fallita ed il curatore come legale rappresentante.

L’incapacità processuale in cui incorre il fallito è relativa poiché lo stesso perde la capacità di stare in giudizio per quei rapporti nei quali subentra il curatore: dunque il fallito, limitatamente alle questioni per le quali il fallimento non agisce, può agire per far valere i diritti personali e patrimoniali;

  • con risoluzione nr. 171/2002, l’Agenzia dell’Entrate ha affermato come il fallito conserva le situazioni soggettive legate al rapporto tributario e la titolarità giuridica dei redditi personali, sia quelli attratti al fallimento, sia quelli estranei a esso: per questo il fallito indicherà nella personale dichiarazione dei redditi, tutti i redditi personali attratti e non attratti al fallimento.

La Corte conclude affermando come, secondo il dettato dell’articolo articolo 5 del Dlgs 74/2000, il fallito che non presenta le obbligatorie dichiarazioni dei redditi per periodi d’imposta anteriori al fallimento, anche se il fallimento è avvenuto prima della scadenza per la presentazione della dichiarazione, è punito per evasione fiscale, ferma restando la decorrenza dei termini prescrittivi.

Infatti, nel caso di specie, la Corte ritiene che sussistano i termini di prescrizione: si è instaurato il rapporto processuale di impugnazione, con la conseguenza che possono essere rilevate e dichiarate le cause di estinzione del reato verificatesi dopo l’emissione della sentenza impugnata.

9 aprile 2011

Sonia Cascarano