La motivazione per relationem di atti in corso di notifica

il problema di quali atti è necessario notificare al contribuente è sempre vivo: vediamo le ultime novità dalla Suprema Corte

Con sentenza n. 5850 dell’11 marzo 2011 (ud. del 2 febbraio 2011) la Corte di Cassazione, pur ritenendo che difetta di autosufficienza il ricorso per cassazione nel quale sia omesso l’esame delle circostanze di fatto che avrebbero, se esaminate, condotto il giudice del merito all’accoglimento del ricorso, si è occupata, nella specie, della problematica relativa alla legittimità della motivazione per relationem nell’ipotesi di atti in corso di notifica.

La norma di riferimento

L’ultimo periodo del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, c. 2, (nel testo modificato dal D.Lgs. n. 32 del 2001, art. 1) recita: “Se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto nè ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale“.

Tale disposizione consente dunque che l’avviso di accertamento sia motivato con riferimento ad altro atto non allegato nè riprodotto nel suo contenuto essenziale, purchè si tratti di atto conosciuto o ricevuto dal contribuente.

La sentenza della Cassazione

La sentenza impugnata davanti la Corte di Cassazione ha ritenuto validi gli avvisi di accertamento notificati agli odierni ricorrenti sull’assunto della “legittimità dell’avviso di accertamento a carico del socio, che rinvii a quello a carico della società, in quanto il socio ha, in tale sua veste, il potere di prenderne visione”.

I ricorrenti non censurano la sentenza di merito per la suddetta ratio decidendi, ma, col primo motivo, per aver omesso di valutare (sull’erroneo presupposto che la relativa deduzione sia stata effettuata per la prima volta in appello) il fatto decisivo rappresentato dalla asserita contemporaneità tra la notifica degli avvisi di accertamento e la notifica dell’atto di riferimento e, col secondo motivo, per aver falsamente applicato il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, (e la L. n. 212 del 2000, art. 7) ritenendo conosciuto un atto che tale non poteva essere in quanto “in corso di notifica“.

Il presupposto comune ad entrambi i motivi di ricorso per cassazione è dunque il fatto che nel momento in cui i ricorrenti ricevettero la notifica degli avvisi di accertamento impugnati, non si era ancora compiuta la notifica dell’atto a cui la motivazione di tale avvisi faceva riferimento, ossia l’avviso di accertamento destinato alla società U.A. srl.

Il suddetto presupposto fattuale, tuttavia, non è stato indicato nel ricorso per cassazione, perchè in tale ricorso non si fa menzione – ne, tanto meno, si indica in quale sede di merito sarebbe stata fatta menzione – delle date in cui vennero notificati l’avviso di accertamento alla società e gli avvisi di accertamento ai ricorrenti.

I ricorrenti fondano infatti le loro censure alla sentenza di merito sul rilievo che nella motivazione degli avvisi di accertamento impugnati è scritto che l’atto di riferimento (l’avviso di accertamento alla società) è “in corso di notifica“; ma tale rilievo non è concludente, in quanto, perché un atto possa considerarsi conosciuto dal contribuente, ai sensi e per gli effetti dell’ultimo periodo del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, c. 2, ciò che rileva è che esso sia già pervenuto al destinatario al momento della notifica, non al momento della redazione. dell’avviso di accertamento che a tale atto fa riferimento (impregiudicata restando, perchè non dedotta tra i motivi di ricorso, la questione se la notifica di un atto ad una società sia sufficiente per far ritenere l’atto medesimo conosciuto al socio).

È pertanto irrilevante, ai fini del giudizio sulla validità della motivazione degli avvisi di accertamento impugnati dagli odierni ricorrenti, che nella motivazione di detti avvisi non si indichi la data di notifica dell’atto di riferimento, ma si affermi che il medesimo è “in corso di notifica“.

La circostanza di fatto su cui si fonda la critica dei ricorrenti alla sentenza di merito è infatti la contemporaneità tra la notifica degli atti impugnati e la notifica dell’atto di riferimento e tale contemporaneità non si desume da quanto è scritto nella motivazione degli avvisi impugnati, ma avrebbe dovuto essere rappresentata alla Corte mediante l’indicazione delle date delle notifiche degli atti impugnati e dell’atto di riferimento.

Nel caso di specie, la parte ricorrente non ha adempiuto all’onere, dai contenuti sopra precisati, della proposizione di una valida impugnazione, in quanto il quesito proposto a conclusione del motivo risulta disancorato dalla concreta fattispecie all’esame della Corte e non è formulato in modo che dalla relativa risoluzione scaturisca necessariamente il segno della decisione. Infatti il quesito “se l’avviso di accertamento sia validamente motivato … quando rinvii ad altro atto in corso di notificazione non ancora pervenuto al destinatario” è inconcludente, perchè non precisa se si riferisca al caso in cui l’atto di riferimento non sia ancora pervenuto al destinatario nel momento della notificazione dell’avviso di accertamento o si riferisca al caso in cui l’atto di riferimento non sia ancora pervenuto al destinatario nel momento della redazione dell’avviso di accertamento (cosicchè nella motivazione di quest’ultimo si faccia necessariamente rinvio ad un atto in corso di notificazione, indipendentemente dal fatto che tale notificazione si perfezioni prima, contemporaneamente o dopo la notificazione dell’avviso di accertamento).

Le nostre generali riflessioni

La Corte di Cassazione ha da tempo ammesso la possibilità di motivare l’atto di accertamento per relationem ad un p.v.c. della Guardia di Finanza o di altri organi verificatori(Cass.,23.07.98, n.7218), fermo restando (Cass. sez.I, 17 maggio 1990, n.4290) che la legittimità della motivazione per relationem è riscontrabile in tutti quei casi in cui il p.v.c. sia conoscibile, anche se in concreto non conosciuto dal destinatario dell’avviso per propria colpa (verbalizzazione del rifiuto di ricevere copia del p.v.c.).

Resta fermo che la motivazione può assolvere la funzione informativa, che le è propria, facendo riferimento ad elementi di fatto offerti da documenti diversi, solo se tali documenti sono allegati o sono comunicati al contribuente, ovvero per altro verso dal medesimo conosciuti (Cass. n. 1825/2010). Non è invece sufficiente (come peraltro pure talvolta affermato: v. Cass., 17/1/1990, n. 4290; Cass., 17/1/1997, n. 4599) che il documento richiamato sia semplicemente conoscibile dal contribuente, a meno che esso non riguardi un atto compiuto alla sua presenza (i.e. il processo verbale di constatazione) o che sia stato a lui comunicato nei modi di legge (v. Cass. 25 maggio 2001, n. 7149; Cass. n.1825/2010).

Appare quindi una forzatura continuare a sostenere oggi la carenza di motivazione di un atto impugnato, in quanto l’atto richiamato – noto al contribuente in quanto notificato – non sia stato allegato a quello principale: l’obbligo di allegazione risulta invece rigorosamente da osservare in tutti quei casi in cui il contribuente non abbia avuto legale conoscenza dell’atto richiamato .

Il rinvio dell’atto amministrativo finale ad un atto procedimentale può esser effettuato, peraltro, non solo alle conclusioni, ma anche, in tutto o in parte, ai fatti accertati e alle ragioni addotte dagli organi istruttori per giungere alle loro qualificazioni giuridiche dei fatti accertati.

Infatti, il procedimento tributario, è solo l’esercizio terminale di un potere che è frazionato tra organi amministrativi diversi, anche di enti pubblici diversi, in dipendenza della divisione del potere di provvedere. In particolare, ai fini che qui interessano, è rilevante il frazionamento, che è ispirato alla natura del processo decisionale.

La riaffermazione della legittimità della motivazione per relationem non esclude che il rinvio possa essere dosato alla misura nella quale l’organo titolare del potere di adottare l’atto dotato di autonomia funzionale intenda recepire l’attività istruttoria e che la sua formulazione sia, perciò, adeguata allo scopo (in questo senso si confronti la sentenza n. 20643 del 30 luglio 2008, ud. del 21 maggio 2008, della Corte di Cassazione).

Ancora con sentenza n. 21951 del 27 ottobre 2010 (ud. del 13 luglio 2010) la Corte di Cassazione richiama tutta una serie di pronunce (Cass. 23 gennaio 2006, n. 1236; 21 marzo 2008, n. 7766; 10 febbraio 2010, n. 2907), con cui è stato precisato che “il rinvio dell’atto amministrativo finale ad un atto procedimentale può esser effettuato, peraltro, non solo alle conclusioni, ma anche, in tutto o in parte, ai fatti accertati e alle ragioni addotte dagli organi istruttori per giungere alle loro qualificazioni giuridiche dei fatti accertati. Infatti, il procedimento amministrativo, anche quello tributario, è la forma della funzione e il potere di adottare l’atto amministrativo finale è solo l’esercizio terminale di un potere che è frazionato tra organi amministrativi diversi, anche di enti pubblici diversi, in dipendenza della divisione del potere di provvedere. In particolare, ai fini che qui interessano, è rilevante il frazionamento, che è ispirato alla natura del processo decisionale umano e che la normazione effettua diffusamente, del potere di provvedere nei preliminari poteri d’iniziativa e d’istruttoria rispetto al finale potere di decidere. Se questo è lo stato della formazione sull’organizzazione amministrativa e sull’attività amministrativa, si appalesa come manifestamente fondata la pretesa delle amministrazioni finanziarie di interpretare la norma sulla motivazione per relationem del provvedimento amministrativo come attributiva, al titolare del potere di decidere, del potere di richiamare nel proprio atto il contributo, d’iniziativa o istruttorio, apportato da un altro organo amministrativo, il cui atto sia normativamente inserito nello stesso procedimento”.

E pertanto, è illegittima la decisione di secondo grado che “ha rifiutato erroneamente di attribuire qualsiasi rilevanza al PVC per il fatto che l’Ufficio lo avrebbe recepito acriticamente e ha, quindi, illegittimamente negato ogni efficacia di prova ai fatti accertati in sede istruttoria del procedimento amministrativo ed ha preteso infondatamente che l’Ufficio provasse nuovamente ciò che avrebbe potuto desumersi dagli atti procedimentali amministrativi”. Da ultimo, con ordinanza n. 25211 del 14 dicembre 2010 (ud. del 27 ottobre 2010) la Corte di Cassazione, nel ribadire il principio secondo cui costituisce ius receptum la legittimità della motivazione degli avvisi di accertamento “per relationem”, rinviando al contenuto del processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza, realizzandosi un’economia di scrittura – avendo l’ente impositore fatto proprie conclusioni e non un difetto di autonoma valutazione-, ha affermato che tale principio trova altresì applicazione laddove il p.v.c. abbia ad attingere da altri atti, anche del procedimento penale.

In proposito, osserva la Corte, la motivazione degli atti di accertamento “per relationem“, con rinvio alle conclusioni contenute nel verbale redatto dalla Guardia di Finanza nell’esercizio dei poteri di polizia tributaria, non è illegittima per mancanza di autonoma salutazione da parte dell’ufficio degli elementi da quella acquisiti, significando semplicemente che l’ufficio stesso, condividendone le conclusioni, ha inteso realizzare una economia di scrittura, “che, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente, non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio (v. sul punto tra le altre Cass. n. 10205/ 2003)”.

Il caso specifico

Nel caso in questione la sentenza d’appello ha ritenuto legittimo l’avviso di accertamento sul presupposto della cd. conoscibilità: il socio è in grado di conoscere, pur se nel momento in cui i ricorrenti ricevettero la notifica degli avvisi di accertamento impugnati, non si era ancora compiuta la notifica dell’atto a cui la motivazione di tale avvisi faceva riferimento, ossia l’avviso di accertamento destinato alla società.

Occorre quindi, verificare, se il concetto di conoscibilità, certamente legittimo antecedentemente alle modifiche apportate dallo Statuto del contribuente, possa essere ancora valido oggi.

Va registrata – in questo particolare campo – la sentenza n. 1825 del 28 gennaio 2010 (ud. del 26 ottobre 2009) dove la Corte di Cassazione sul concetto di conoscibilità ha richiesto che il contribuente sia effettivamente a conoscenza del pvc, non bastando la mera conoscibilità che rischia di comprimere i tempi della difesa: “non è invece sufficiente (come peraltro pure talvolta affermato: v. Cass., 17/1/1990, n. 4290; Cass., 17/1/1997, n. 4599) che il documento richiamato sia semplicemente conoscibile dal contribuente, a meno che esso non riguardi un atto compiuto alla sua presenza (ad esempio, il processo verbale di constatazione) o che sia stato a lui comunicato nei modi di legge (v. Cass. 25 maggio 2001, n. 7149)”. Per la Corte, “al di fuori di tali ipotesi il riferimento ad un atto non conosciuto dal contribuente, ma del quale egli possa procurarsi la conoscenza, comporta infatti una più o meno accentuata (e del tutto ingiustificata) riduzione del lasso di tempo a lui concesso per valutare la fondatezza dell’atto impositivo e si risolverebbe in un’indebita menomazione del suo diritto di difesa, che l’art. 24 Cost., annovera tra i principi fondamentali dell’ordinamento ed esige che sia garantito come inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”. Il ricorso a elementi offerti da altri documenti, non conosciuti dal contribuente né a lui comunicati, è dunque legittimo solo se tali documenti sono allegati all’atto che li richiama od in esso riprodotti (v. Cass., 5/8/2002, n. 11669). Orbene, emerge evidente come sia richiesta l’effettiva conoscenza, essendo irrilevante la semplice conoscibilità del documento richiamato per relationem.

5 aprile 2011

Francesco Buetto