Indagini finanziarie: la prova incombe sul contribuente

nel caso in cui l’accertamento effettuato dall’ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, è onere del contribuente, a carico del quale si determina una inversione dell’onere della prova, dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non siano riferibili ad operazioni imponibili

Con sentenza n. 6906 del 25 marzo 2011 (ud. del 15 dicembre 2010) la Corte di Cassazione ha affermato che, nel processo tributario, nel caso in cui l’accertamento effettuato dall’ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, è onere del contribuente, a carico del quale si determina una inversione dell’onere della prova, dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non siano riferibili ad operazioni imponibili, mentre l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto, per legge, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti.

Fatto e Diritto

La controversia trae origine dall’impugnazione proposta dal contribuente avverso l’avviso di accertamento emesso per la rettifica dell’imponibile ai fini delle imposte dirette per i periodi d’imposta 1995, 1996 e 1997.

In questa sede rileva, in particolare, la contestazione relativa alla mancata contabilizzazione di ricavi, conseguente alla rilevazione di prelevamenti da conti correnti non adeguatamente giustificati dal contribuente.

L’adita C.T.P. accoglieva, sul punto, il ricorso.

L’Ufficio proponeva appello incidentale, assumendo che il contribuente non aveva superato la presunzione posta dall’art. 32 del D.P.R. n. 600 del 1973, non avendo indicato i beneficiari dei prelievi, nè dimostrato che essi non fossero rilevanti ai fini reddituali.

La C.T.R., invece, ha ritenuto erroneo detto assunto, ed respinto l’appello della parte erariale, reputando che il citato art. 32 “significa soltanto che occorre comunque tenere conto ai fini dell’accertamento dei prelievi e ciò è accaduto nella specie perchè, con la decisione impugnata, non si è tenuto conto dei prelievi ai fini di ridurre l’entità del reddito imponibile come dovrebbe essere senza la disposizione invocata“.

L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, deducendo plurima violazione e falsa applicazione di norme di legge, dei principi in materia di prova e di società, nonchè motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria su punto decisivo. Lamenta, infatti, che la C.T.R., confermando la sentenza di primo grado, avrebbe erroneamente affermato che gli importi di cui ai prelevamenti dai conti bancari, in mancanza del richiamato art. 32, c. 2, dovrebbero essere tout court considerati costi per acquisti, contrariamente a quanto risulta dalla lettera e dalla ratio di essa, secondo cui vengono presunti ulteriori ricavi (in aggiunta a quelli derivanti dai versamenti “non giustificati“), sicchè non avendo il contribuente fornito alcuna prova idonea a vincere detta presunzione, la C.T.R. avrebbe dovuto confermare l’atto impositivo in cui l’importo dei prelievi era stato incluso nel reddito imponibile, non avendo, peraltro, motivatamente accertato che il contribuente avesse fornito detta prova contraria.

La sentenza

Per la Corte “sussiste … la lamentata violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32. La decisione impugnata ha violato le regole desumibili dalla disposizione normativa sopra indicata, sul valore da attribuire a tutti i dati – non solo versamenti, ma anche prelevamenti desunti dalla movimentazione di conti correnti bancari. Va infatti ribadito che, nel processo tributario, nel caso in cui l’accertamento effettuato dall’ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, è onere del contribuente, a carico del quale si determina una inversione dell’onere della prova, dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non siano riferibili ad operazioni imponibili, mentre l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto, per legge, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti (Cass. 26 febbraio 2009 n. 4589). Invero, il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, come il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, impone di considerare ricavi sia i prelevamenti, sia i versamenti su conto corrente, salvo che il contribuente non provi che i versamenti sono registrati in contabilità e che i prelevamenti sono serviti per pagare determinati beneficiari, anziché costituire acquisizione di utili; posto che, in materia, sussiste inversione dell’onere della prova, alla presunzione di legge (relativa) va contrapposta una prova, non un’altra presunzione semplice ovvero una mera affermazione di carattere generale (Cass. 5 dicembre 2007 n. 25365; 5 ottobre 2007 n. 20858; 27 luglio 2007 n. 16720; 13 giugno 2007 n. 13819; 21 marzo 2007 n. 6743; 8 settembre 2006 n. 19330; 23 giungo 2006 n. 14675; 9 settembre 2005 n. 18016; cass. nn. 7267/02, 9103/01)”.

Ne deriva che la C.T.R. ha impropriamente affermato che si sarebbe tenuto conto dei prelevamenti ai fini dell’accertamento solo perchè i prelevamenti stessi non sono stati considerati “ai fini di ridurre l’entità del reddito imponibile, come dovrebbe essere senza la disposizione invocata“.

La Cassazione rilevano che, “prescindendo dalla non brillante espressività, i giudici di secondo grado hanno interpretato l’art. 32, comma 2, D.P.R. cit. nel senso che, in mancanza d’idonea prova da parte del contribuente, i prelevamenti in questione non possono essere considerati quali costi deducibili dall’imponibile, mentre essi, lungi dallo svolgere una funzione solo neutrale nella determinazione dell’imponibile, sono – come si è visto – da considerare ricavi, come i versamenti, salvo che il contribuente non provi che siano serviti per pagare determinati beneficiari, anzichè costituire acquisizione di utili”.

Non assume rilievo, invece, la questione dell’asserita violazione del giudicato interno, per avere la C.T.R. ritenuto l’imponibile rettificato come derivante da reddito di partecipazione, anzichè da reddito d’impresa individuale. La qualificazione del reddito come derivante dall’esercizio d’attività d’impresa sotto la forma di società di fatto non è di ostacolo all’estensione della presunzione di cui all’art. 32 cit. anche ai prelevamenti non giustificati sui conti riferibili alla società. “Questa Corte ha avuto modo, infatti, di affermare che la lettera della norma non autorizza l’interpretazione restrittiva prospettata, sia pure in linea subordinata, dall’Agenzia, giacchè l’espressione ‘singoli dati ed elementi risultanti dai conti’, contenuta nel corpo di frase pacificamente riferibile sia alle imprese che ai lavoratori autonomi, comprende i prelevamenti (Cass. n. 11750/08, in motivazione). Nella specie, la rettifica ha utilizzato legittimamente, pertanto, la presunzione ricavabile dai risultati dell’indagine bancaria, che, secondo l’interpretazione letterale della norma in esame, consiste nella rilevazione dei dati e degli elementi reperibili nei conti (prelevamenti compresi); ferma restando la possibilità di prova contraria da parte del contribuente (v. giurisprudenza citata)”.

Brevi considerazioni

Come è ormai noto, la normativa sulle indagini finanziarie opera in modo automatico, non richiedendo ulteriori elementi di riscontro per conferire validità al controllo, consentendo, però, al contribuente – anche attraverso il contraddittorio – di dimostrare l’irrilevanza fiscale delle movimentazioni riscontrate.

Con sentenza n. 21943 del 27 ottobre 2010 (ud. del 22 giugno 2010) la Corte di Cassazione era già giunta alla medesima conclusione: i movimenti bancari vanno giustificati dal contribuente. In presenza di accertamenti bancari, costituisce onere del contribuente dimostrare che i proventi “desumibili dalla movimentazione bancaria non debbono essere recuperati a tassazione“, o perchè egli ne ha già “tenuto conto nelle dichiarazioni“, o perchè (Cass. n. 9573/2007; Cass. n. 1739/2007) “non sono fiscalmente rilevanti” in quanto “non si riferiscono ad operazioni imponibili“. Invero nei casi previsti dalle norme contenute, per l’IVA, nel D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51 e, per l’imposta sul reddito, nel D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 (Cass., 26 febbraio 2009, n. 4589; Cass., 20 giugno 2008 n. 16837), “l’onere dell’amministrazione di provare la sua pretesa è soddisfatto, per volontà di legge, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti bancari” per cui “resta … a carico del contribuente l’onere di provare il contrario, realizzandosi così la riferita ipotesi d’inversione dell’onere della prova” (Cass. nn. 14018/2007, 2450/2007, 19920/2006, 28342/2005) in quanto (Cass., 14 novembre 2003 n. 17243; Cass, 16 aprile 2003 n. 6073; Cass., 1 aprile 2003 n. 4987) “la presunzione di riferibilità dei movimenti bancari od operazioni imponibili si correla ad una valutazione del legislatore di rilevante probabilità (id quod plerumque accidit) che il contribuente si avvalga di tutti i conti di cui possa disporre per le rimesse ed i prelevamenti inerenti all’esercizio dell’attività“. Osserva, ancora la Corte, che in relazione agli accertamenti bancari, “non rileva, per altro, il divieto di doppia presunzione (c.d. praesumptio de praesumpto), che attiene esclusivamente alla correlazione di una presunzione semplice con altra presunzione semplice, ma non con altra presunzione legale, qual è appunto configurabile (circostanza completamente negletta dalla Commissione tributaria regionale) la fattispecie di cui trattasi (Cass., 21 dicembre 2007, n. 27032; Cass. 22 febbraio 2002, n. 2612)”.

21 aprile 2011

Gianfranco Antico