Indagini finanziarie: gli eventuali costi vanno provati

quando il fisco ricostruisce il reddito in base ad indagini finanziarie, non è detto che ad eventuali “ricavi occulti” possano essere automaticamente abbinati “costi occulti”

Con sentenza n. 6425 del 21 marzo 2011 (ud. del 23 febbraio 2011) la Corte di Cassazione si è occupata, ancora una volta, di indagini finanziarie, affermando che vanno considerati ricavi sia le operazioni attive (versamenti) che quelle passive (prelevamenti), salvo che il contribuente non provi che i versamenti sono registrati in contabilità e che i prelevamenti sono serviti per pagare determinati beneficiari, e senza che si debba procedere alla deduzione presuntiva di oneri e costi deducibili.

Il passo centrale della sentenza

Osservano i giudici “che secondo consolidato orientamento di questa Corte, da cui non vi è motivo di discostarsi, in tema di Iva (così come in tema di accertamento delle imposte sui redditi), e con riferimento all’acquisizione dei movimenti di un conto corrente bancario riconducibili ad un’attività d’impresa, debbono essere considerati ricavi sia le operazioni attive (versamenti) che quelle passive (prelevamenti), salvo che il contribuente non provi che i versamenti sono registrati in contabilità e che i prelevamenti sono serviti per pagare determinati beneficiari; e ciò senza che si debba procedere alla deduzione presuntiva di oneri e costi deducibili, giacchè, in forza della disposta inversione dell’onere della prova, grava sul contribuente l’onere di superare la contraria presunzione di legge (relativa), attestando la ricorrenza di specifici costi deducibili con concreti elementi di prova e non mediante affermazioni di carattere generale, semplici presunzioni o il richiamo all’equità (cfr. Cass. nn. 7813/10, 26312/09, 24055/09, 2821/08, 25365/07, 14 675/06)”.

Brevi considerazioni

L’indagine creditizia e finanziaria costituisce un’autonoma attività istruttoria che può essere esercitata anche indipendentemente da precedenti attività di controllo, quali verifiche o ispezioni documentali, sia pure nell’osservanza delle regole fissate dai novellati numeri 7 degli articoli 32 del D.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del D.P.R. n. 633 del 1972, a differenza di quanto previsto dal numero 6-bis, pur esso novellato, che invece necessitano sempre dell’attivazione di una preventiva procedura di accertamento, ispezione o verifica.

La documentazione così ottenuta sarà analizzata a cura dell’organo procedente al fine di riscontrare direttamente se le movimentazioni – attive (accreditamenti) e passive (prelevamenti) – ivi evidenziate siano o meno coerenti con la contabilità del soggetto sottoposto a controllo, ovvero non siano imponibili o non rilevino per la determinazione del reddito e/o della base imponibile Iva, come anche, con riguardo alle persone fisiche, non risultino compatibili con la loro complessiva capacità contributiva.

Qualora, invece, alle predette movimentazioni non sia possibile dare immediata rilevanza e concludenza ai fini dell’accertamento, l’ufficio procedente, pur nell’ambito delle sue autonome valutazioni discrezionali, può avviare, se lo ritiene opportuno, il contraddittorio con il contribuente.

In particolare, ai fini reddituali, il numero 2 del comma 1 dell’articolo 32 del D.P.R. n. 600 del 1973 prevede che i dati e gli elementi risultanti dai rapporti e dalle operazioni intercettati ai sensi del successivo numero 7 o rilevati secondo la particolare procedura di cui all’art. 33, c. 2 e 3, sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli artt. 38, 39, 40 e 41 se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine.

Come è ormai noto, la normativa sulle indagini finanziarie opera in modo automatico, non richiedendo ulteriori elementi di riscontro per conferire validità al controllo, consentendo, però, al contribuente – anche attraverso il contraddittorio – di dimostrare l’irrilevanza fiscale delle movimentazioni riscontrate.

Nell’esaminare la sentenza ci vengono in soccorso le indicazioni delle Entrate; in particolare, il punto 5.5. della circolare n.32/2006 si occupa dell’incidenza dei cd. costi occulti.

In ordine alle imposte dirette, per quanto concerne l’accertamento dei redditi d’impresa determinati sulla base delle scritture contabili, le Entrate partono dal disposto dell’art. 109, c. 4, lett. b, u.p., del Tuir (applicabile anche alle imprese minori ex art. 66, c. 3, Tuir), il quale prevede che “le spese e gli oneri specificamente afferenti i ricavi e gli altri proventi, che pur non risultando imputati al conto economico concorrono a formare il reddito, sono ammessi in deduzione se e nella misura in cui risultano da elementi certi e precisi“.

Ovviamente, in virtù dell’espresso richiamo contenuto nell’art. 40 del D.P.R. n. 600 del 1973, le previsioni normative recate dall’articolo 39 spiegano la loro efficacia, oltre che nei confronti delle persone fisiche titolari di reddito d’impresa, anche nei riguardi delle persone giuridiche individuate dall’art.73 del Tuir e delle società di persone ed associazioni indicate nell’art. 5 dello stesso Tuir.

Le indicazioni che andiamo subito a vedere trovano sostanziale applicazione anche nei confronti del reddito professionale, laddove la presunzione legale in esame è prevista anche nei confronti dei lavoratori autonomi ed in particolare per quanto riguarda la valenza che assumono i prelevamenti e gli importi riscossi, che se non giustificati da parte del contribuente possono essere ripresi a tassazione quali componenti positivi del relativo reddito (in particolare, cfr. art. 39, c. 3, del D.P.R. n. 600 del 1973).

La lettura della norma ha portato le Entrate ad affermare che nell’ambito dell’operatività del comma 1 dell’articolo 39, del D.P.R. n. 600/73, è possibile riprendere come ricavo le movimentazioni finanziarie, “senza il parallelo riconoscimento di maggiori costi o spese in mancanza di qualsivoglia giustificazione da parte del contribuente”.

In sostanza, secondo quanto affermato nel documento di prassi citato e avallato ancora oggi dalla Cassazione, “in caso di accertamento fondato sia sul metodo analitico (lettere a), b) e c) del citato comma 1) che su quello analitico-induttivo (successiva lettera d) – per quest’ultima ipotesi, si rammenta che la ricostruzione del reddito d’impresa trae comunque origine dalla contabilità, ma può essere supportata dall’impiego di presunzioni che, tuttavia, devono rispettare rigorosamente i requisiti di gravità precisione e concordanza previsti dall’art. 2729 del codice civile -, nessun margine si offre all’ufficio procedente ai fini di un possibile riconoscimento di componenti negative di cui non è stata fornita da parte del contribuente prova certa”.

Sul punto, l’A.F. richiama la sentenza della Corte di Cassazione n. 18016 del 4 maggio 2005 (depositata il 9 settembre), secondo la quale “alla presunzione di legge (relativa) va contrapposta una prova, non una altra presunzione semplice ovvero una mera affermazione di carattere generale“; e ciò nella considerazione che sarebbe irragionevole far valere una diversa regola di esperienza che a ricavi occulti siano genericamente ed automaticamente accompagnati costi occulti, mentre potrebbe assumere pari e superiore valore una regola contraria che “a ricavi occulti siano accompagnati costi già dichiarati in misura maggiore del reale“. Negli stessi termini si pone anche la sentenza n. 19003, sempre del 2005.

Tali pronunciamenti richiamati – così come l’ultima sentenza che si annota – assumono una decisa importanza(1), poiché intervengono quando sul punto si è già espressa la Corte Costituzionale – sentenza n. 225 dell’8.6.2005 – che ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 32, c. 1, n. 2, del D.P.R. n. 600/1973, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., poiché “l’accertamento induttivo, riferibile ai prelevamenti non giustificati disposti su conti correnti bancari, non si sottrae al rigido ossequio del principio di capacità contributiva; di talché l’Amministrazione finanziaria deve tenere conto, nella determinazione del reddito imponibile, dell’incidenza dei costi correlati ai ricavi il cui conseguimento è peraltro presunto iuris tantum, ammettendosi la prova contraria attraverso l’indicazione del beneficiario dei prelievi. Deve altresì escludersi la violazione del principio di uguaglianza costituendo la disponibilità dei conti correnti bancari elemento idoneo a legittimare il rilievo meramente probatorio attribuito al prelievo non giustificato di somme“. Inoltre, la presunzione legislativa non è lesiva del canone di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., essendo ipotizzabile che i prelievi ingiustificati dai conti correnti bancari siano stati immessi nell’attività d’impresa e siano, “quindi, in definitiva, detratti i relativi costi, considerati in termini di reddito imponibile“.

Naturalmente, se il contribuente ha fornito le valide giustificazioni atte a neutralizzare le movimentazioni finanziarie effettuate, non opera la presunzione a livello legale e quindi, in linea di massima, non si configura un parallelo problema di deducibilità di costi.

Tuttavia, precisa il documento “qualora a fronte di un prelevamento il contribuente indichi come beneficiario un fornitore di cui non ha provveduto a rilevare nei registri contabili le relative operazioni di acquisto, ma di cui fornisce successivamente, in via extracontabile, documentazione probante, l’ufficio procedente dovrà invece riconoscere detto costo in coerenza con i criteri della ricostruzione analitico-induttiva del reddito ai sensi della citata lettera d)”.

Se, invece, l’ufficio utilizza l’accertamento di tipo induttivo, ex art. 39, c. 2 del citato D.P.R. n. 600/73, “l’ufficio non può non tenere conto, soprattutto in assenza di documentazione certa, di un’incidenza percentuale di costi presunti a fronte dei maggiori ricavi accertati; regola che, ovviamente, vale anche se in tutto o in parte i maggiori ricavi siano stati assunti tramite indagini bancarie”.

Ai fini Iva, “tale riconoscimento resta escluso poiché nel meccanismo di tale tributo la base imponibile è costituita dall’insieme dei soli corrispettivi dovuti al cedente o al prestatore (Cassazione n. 7973/2001)”.

Ricordiamo a noi stessi che gli esiti delle indagini bancarie possono essere posti anche a base degli accertamenti d’ufficio nelle ipotesi di omessa presentazione della dichiarazione o di presentazione di dichiarazione nulla. Anche per tale tipologia di accertamento, viene distinto il metodo analitico da quello induttivo.

In mancanza o nullità della dichiarazione, “il riconoscimento di costi deve essere livellato – anche in misura percentualistica – in ragione dei maggiori ricavi accertati sulla base del meccanismo presuntivo di cui al numero 2) dell’art. 32, senza peraltro che pregiudizialmente debba essere trascurata la presenza in una contabilità ordinata di costi regolarmente registrati” ( C.M. n.32/2006).

Nota

1) Cfr. DI CARLO, Accertamenti bancari. Negato l’abbattimento dei costi sul maggior reddito accertato, in “La settimana fiscale”, n. 44/2005, pag. 27

18 aprile 2011

Gianfranco Antico