Il centro degli interessi: la prova del contribuente

quali sono i dati che provano che il contribuente risiede effettivamente all’estero? L’ultima risposta della Cassazione

Con sentenza n. 6934 del 25 marzo 2011 (ud. del 3 febbraio 2011) la Corte di Cassazione ha affermato che in caso di conformità del dato anagrafico con quello reale, confermato da ulteriori indizi ed elementi forniti dal contribuente, spetta a quest’ultimo dimostrare l’eventuale sussistenza del proprio centro di interessi nel territorio dello Stato in luogo del domicilio e della residenza trasferita all’estero.

Il processo

La C.T.R. di Venezia, sez. staccata di Verona, ha rigettato l’appello di M.L. nei confronti dell’agenzia delle entrate, confermando l’avviso di accertamento notificato il 21 dicembre 2004 per l’anno 1999 e relativo al recupero, ai sensi del D.P.R. n. 600, art. 41-bis, della maggiore imposta di € 129.544,60, ottenuta applicando ai dividendi percepiti dalla soc. F.F. (L. 1.729.885.000), la ritenuta ulteriore del 14,5%, pari alla differenza tra quella applicata (12,5%) e quella effettivamente dovuta (27%).

Ha motivato la decisione, ritenendo che la maggiore imposta fosse dovuta in conseguenza dell’iscrizione della contribuente all’A.I.R.E., con residenza effettiva nel Principato di Monaco (1998), e delle risposte date al questionario inviatole dall’amministrazione (2003), atteso che da quest’ultimo risultavano alcuni dati certi:

a. l’iscrizione del figlio presso un liceo monegasco per l’anno scolastico 1999/2000;

b. l’acquisto di un’abitazione nel principato (29 gennaio 1999);

c. il pagamento di bollette per utenze relative ad altro alloggio monegasco temporaneamente occupato nel corso della ristrutturazione dell’abitazione principale (1999).

La sentenza

Per la Corte Suprema, “i giudici d’appello hanno considerato, oltre alla registrazione della contribuente nell’anagrafe degli italiani residenti all’estero (1998), anche l’iscrizione del figlio di costei presso un liceo monegasco per l’anno scolastico 1999/2000, l’acquisto di un’abitazione nel principato (29 gennaio 1999) e il pagamento di bollette per utenze relative ad altro alloggio monegasco, temporaneamente occupato nel corso delle ristrutturazione dell’abitazione principale (1999), dati tutti desunti dalle risposte al questionario”.

L’art. 2, del T.U. n. 917/86 richiede, per la configurabilità della residenza fiscale nello Stato, “tre presupposti, indicati in via alternativa, il primo, formale, rappresentato dall’iscrizione nelle anagrafi delle popolazioni residenti, e gli altri due, di fatto, costituiti dalla residenza o dal domicilio nello Stato ai sensi del codice civile; ne consegue che l’iscrizione del cittadino nell’anagrafe dei residenti all’estero non è elemento determinante per escludere la residenza fiscale in Italia, allorchè il soggetto abbia nel territorio dello Stato il proprio domicilio, inteso come sede principale degli affari ed interessi economici, nonchè delle proprie relazioni personali (Cass. Sez. 5′, Sentenza n. 14434 del 15/06/2010); si tratta cioè del centro degli interessi vitali, ossia del luogo con il quale il soggetto ha il più stretto collegamento sotto il profilo degli interessi personali e patrimoniali (Cassazione civile sez. trib., 07 novembre 2001, n. 13803 – Giust. civ. Mass. 2001, 1873)”.

Dato per pacifico il principio dell’unicità del domicilio desumibile dall’art. 43 c.c., “l’avvenuta iscrizione della contribuente nell’anagrafe degli italiani residenti all’estero sin da 21 dicembre 1998 e la dichiarata nuova residenza anagrafica nel Principato di Monaco … configurava un’evidente presunzione di conformità del dato anagrafico a quello reale, soprattutto alla luce dei convergenti elementi indiziari offerti dalla stessa interessata nel rispondere al questionario inviatole dall’amministrazione e opportunamente valorizzati dai giudici di appello. Spettava dunque alla ricorrente l’onere di dimostrare rigorosamente che, ciononostante, nel 1999 si trovava ancora in Italia il centro dei suoi interessi vitali, ossia il luogo con il quale aveva il più stretto collegamento sotto il profilo degli interessi personali e patrimoniali (secondo la definizione di Cassazione civile sez. trib., 7 novembre 2001, n. 13803 – Giust. civ. Mass. 2001, 1873; cfr. comma 2 bis cit.). Nulla di tutto ciò emerge dal motivo che, in sostanza, si fonda sulla irrilevante (e non dimostrata) autodichiarazione di domicilio in Italia a suo dire contenuta nell’UNICO-2000 per il 1999”.

Brevi note

La teoria tradizionale che imputava l’onere della prova all’Amministrazione finanziaria ha lasciato il posto all’indirizzo opposto ed attuale che addossa sul contribuente l’onere della prova.

Fa da spartiacque la sentenza n. 21953 del 21 settembre 2007 (dep. il 19 ottobre 2007) che ha, altresì, negato l’esistenza di un presunto contrasto interno in ordine al soggetto che deve assolvere la prova; “le sentenze che vengono abitualmente citate a sostegno della teoria secondo cui l’onere della prova graverebbe sull’Amministrazione, in realtà non contengono affatto simile asserzione. Ed invero poiché le operazioni passive denunciate dal contribuente sono fonte di credito a suo vantaggio (nell’ambito dell’Iva) di detrazione dall’imponibile (nell’ambito delle imposte sui redditi), appare logico concludere che spetta al contribuente fornire la prova dell’esistenza di fatti da cui scaturisce un suo diritto”.

Simile tesi, afferma la Corte nella sentenza n. 21953/2007, è ribadita nella sentenza n. 17799 del 21 agosto 2007, “secondo cui l’onere per il contribuente di provare la veridicità delle fatture scatta soltanto quando gli organi di controllo fiscale adducono elementi che fanno almeno sospettare della non veridicità delle fatture; ed è assurda la tesi secondo cui tutte le fatture si presumerebbero false fino a prova contraria offerta dal contribuente”. Prosegue la Corte che “viene abitualmente citata come in contrasto con l’indirizzo finora esposto la sentenza n. 7144 del 23 marzo 2007 secondo cui in tema di Iva, ove l’Amministrazione finanziaria contesti al contribuente l’indebita detrazione di fatture perché relative a prestazioni inesistenti, spetta al contribuente l’onere di provare la legittimità e la correttezza dell’operazione mediante l’esibizione dei relativi documenti contabili. Pertanto, quando costui non è in grado di dimostrare la fonte che giustifica la detrazione, questa deve ritenersi indebita, sicché legittimamente l’ufficio provvede a recuperare a tassazione l’imposta irritualmente detratta (a questa sentenza può accostarsi la pronuncia n. 16896 del 31 luglio 2007)”.

La Corte, nel caso specifico, oggetto di nostro commento, ripercorre il dettato normativo – art. 2, del T.U. n. 917/86 – che individua, perché sussista la residenza fiscale nello Stato, tre presupposti, indicati in via del tutto alternativa: il primo, formale, rappresentato dall’iscrizione nelle anagrafe delle popolazioni residenti, gli altri due, di fatto, costituiti dalla residenza o dal domicilio nello Stato ai sensi del codice civile.

Se è vero che l’iscrizione del cittadino nell’anagrafe dei residenti all’estero non è elemento determinante per escludere la residenza fiscale in Italia, allorché il soggetto abbia nel territorio dello Stato il proprio domicilio, inteso come sede principale degli affari ed interessi economici, nonché delle proprie relazioni personali (Cass. n. 13803/01, 10179/03), è pur vero che “ai fini della determinazione del luogo della residenza normale, devono essere presi in considerazione sia i legami professionali e personali dell’interessato in un luogo determinato, sia la loro durata… Nell’ambito della valutazione dei legami personali e professionali dell’interessato, tutti gli elementi di fatto rilevanti devono essere presi in considerazione, vale a dire, in particolare, la presenza fisica di quest’ultimo nonché quella dei suoi familiari, la disponibilità di un’abitazione, il luogo di esercizio delle attività professionali e quello in cui vi siano interessi patrimoniali (v., in tal senso, sentenza 12 luglio 2001 in causa C-262/99, Louloudakis, punti 52, 53 e 55, i cui principi sono stati ribaditi da Corte giust. 7 giugno 2007, in causa C-156/04, Commissione c. Grecia)”.

Ma nel caso specifico il contribuente non ha dato prova contraria – agli elementi ed indizi in possesso dell’ufficio – che il centro di interessi fosse diverso da quello ritenuto dall’A.F..

Né ha dimostrato quale era la sede principale degli affari e degli interessi economici, anche attraverso le proprie relazioni personali.

Il centro principale degli interessi vitali del soggetto va individuato nel luogo in cui la gestione di detti interessi viene esercitata abitualmente, vale a dire in modo riconoscibile dai terzi. Ne deriva che deve prevalere un criterio di effettività, non un elemento meramente soggettivo.

15 aprile 2011

Francesco Buetto