Principio di competenza: confermata l'inderogabilità

la Cassazione conferma che i costi, per essere riconosciuti fiscalmente, vanno imputati nell’esercizio di competenza

Con sentenza n. 2213 del 31 gennaio 2011 (ud. del 21 settembre 2010) la Corte di Cassazione ha confermato l’inderogabilità del principio di competenza.

Infatti, “le regole sull’imputazione temporale dei componenti negativi sono inderogabili, non essendo consentito al contribuente scegliere di effettuare la detrazione di un costo in un esercizio diverso da quello individuato dalla legge come esercizio di competenza, così da alterare il risultato della dichiarazione (Cass., 10 marzo 2008, n. 6331)”.

Le nostre riflessioni

Le conclusioni cui oggi è giunta la Corte di Cassazione non sono nuove ma sicuramente confermative di un indirizzo giurisprudenziale che si è espresso nel corso degli ultimi anni.

Ricordiamo che con sentenza n. 23987 dell’8 luglio 2008 (dep. il 24 settembre 2008) la Corte aveva affermato che la determinazione del reddito d’impresa soggiace al principio inderogabile della competenza quale regola di imputazione temporale dei componenti (positivi e negativi), essendo sottratti al contribuente ogni arbitrio e facoltà circa l’individuazione del periodo d’imposta e della relativa base imponibile alla quale i componenti sono chiamati a concorrere. Nel caso di specie, prosegue detta sentenza, “il recupero a tassazione dei ricavi nell’esercizio di competenza non può pertanto trovare ostacolo nella circostanza che essi siano stati dichiarati in un diverso esercizio, non potendosi lasciare il contribuente arbitro della scelta del periodo più conveniente in cui dichiarare i propri componenti di reddito, con innegabili riflessi sulla determinazione del proprio reddito imponibile (Cass. n. 17195/2006)”.

Ed ancora, con sentenza n. 10981 del 13 maggio 2009 (ud. del 16 aprile 2009) la Corte di Cassazione, in ordine al principio di competenza, riafferma che in tema di reddito d’impresa, le regole sull’imputazione temporale dei componenti negativi, dettate in via generale dall’ex art. 75 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, “sono inderogabili, non essendo consentito al contribuente scegliere di effettuare la detrazione di un costo in un esercizio diverso da quello individuato dalla legge come esercizio di competenza, così da alterare il risultato della dichiarazione. Ne l’applicazione di detto criterio implica di per se la conseguenza, parimenti vietata, della doppia imposizione, che è evitabile dal contribuente con la richiesta di restituzione della maggior imposta, la quale è proponibile, nei limiti ordinari della prescrizione ex art. 2935 cod. civ., a far data dal formarsi del giudicato sulla legittimità del recupero dei costi in relazione alla annualità non di competenza (cfr. anche Cass. Sentenze n. 16819 del 30/07/2007, n. 24474 del 2006, n. 16198 del 2001)”.

La soluzione delle Entrate

Come è noto, con circolare del n. 23 del 4 maggio 2010 l’Agenzia delle Entrate ha fornito importanti chiarimenti in ordine alla rettifica dell’imputazione temporale dei componenti negativi di reddito.

Il principio affermato

Per le Entrate, la deduzione – nel periodo di imposta di effettiva competenza – di costi oggetto di recupero per mancato rispetto del principio di competenza, può essere in ogni caso riconosciuta.

Il diritto al rimborso della maggiore imposta versata con riguardo a un periodo d’imposta antecedente o successivo a quello oggetto di accertamento, decorre dalla data in cui la sentenza che ha affermato la legittimità del recupero del costo non di competenza è passata in giudicato, ovvero dalla data in cui è divenuta definitiva, anche ad altro titolo, la pretesa dell’Amministrazione finanziaria al recupero del costo oggetto di rettifica. Da tale data, infatti, si deve ritenere affermato irrevocabilmente anche il diritto del contribuente a dedurre nel periodo di imposta di effettiva competenza il componente negativo”.

Il diritto al rimborso riguarda, comunque, le sole ipotesi in cui il recupero investi i costi. Nulla viene detto in ordine alla rettifica dei ricavi.

Le modalità

L’istanza di rimborso della maggiore imposta versata può essere presentata, ai sensi dell’articolo 21, comma 2, del decreto legislativo n. 546 del 1992, entro due anni dal passaggio in giudicato della sentenza ovvero dalla data in cui è divenuta definitiva, anche ad altro titolo, la pretesa dell’Amministrazione finanziaria al recupero del costo oggetto di rettifica.

In nessun caso, ovviamente, potrà accogliersi l’istanza di rimborso del contribuente, qualunque sia la norma invocata, nel caso in cui la pretesa dell’Amministrazione finanziaria al recupero del costo oggetto di rettifica non si sia resa definitiva.

Avverso l’eventuale silenzio rifiuto dell’amministrazione è ammesso ricorso, ai sensi dell’articolo 19 del decreto legislativo n. 546 del 1992, nel termine di prescrizione ordinaria decennale.

Il diritto al rimborso dell’imposta indebitamente versata non comporta il venir meno o la rideterminazione delle sanzioni originariamente irrogate per effetto del disconoscimento del costo non di competenza, né degli interessi dovuti.

La nuova posizione dell’Amministrazione finanziaria

La nuova posizione dell’Amministrazione finanziaria si fa forte di una serie di principi affermati dalla Corte di Cassazione, per quale è ormai principio consolidato che il contribuente non possa essere lasciato arbitro della scelta del periodo cui imputare i componenti negativi di reddito, stanti i principi contenuti nell’articolo 109 (già articolo 75) del T.U. n. 917/86 (oltre a quelle già citate, si vedano sul punto anche le sentenze della Suprema Corte n. 7912 del 9 giugno 2000 e n. 16198 del 27 dicembre 2001).

La stessa Corte di Cassazione, con la sentenza n. 6331 del 10 marzo 2008, ha inoltre specificato che “(…) la pratica conseguenza di una vietata (…) doppia imposizione, paventata dalla società ricorrente in rapporto alle circostanze del caso concreto, non risulta evento irrimediabilmente connesso all’applicazione del criterio sopra enunciato – ossia il criterio di competenza – (…), giacchè, in base ai principi generali, può essere evitata (…) mediante l’esercizio da parte del contribuente – con istanza di rimborso e conseguente impugnazione, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19 , del silenzio rifiuto su di esso eventualmente formatosi – dell’azione di restituzione della maggior imposta indebitamente corrisposta per la mancata esposizione nell’annualità di competenza dei costi negati in relazione a diversa imputazione temporale. Ciò, a decorrere dal perfezionamento del giudicato sulla legittimità del recupero dei costi in relazione all’annualità non di competenza, che, nella prospettiva di cui all’art. 2935 c.c. (…), segna – pur in presenza di termini per l’emendabilità della dichiarazione (cfr. il D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8 bis, ratione temporis peraltro inapplicabile alla fattispecie) – il momento in cui il diritto al rimborso può essere fatto valere”.

Più di recente, nella sentenza n. 16023 dell’8 luglio 2009, sempre la Suprema Corte ha ulteriormente chiarito il principio sopra affermato, nel senso che “(…) sulla base del divieto di doppia imposizione e della consolidata giurisprudenza di questa Corte in materia, la società potrà, dal momento del passaggio in giudicato della presente sentenza, presentare istanza di rimborso per recuperare la maggiore imposta indebitamente corrisposta e non potuta recuperare per non avere eseguito la corretta procedura di rimborso.”.

9 marzo 2011

Francesco Buetto