Legittima la cartella senza motivazione

la cartella di pagamento emessa sulla base degli elementi contenuti nella dichiarazione del contribuente è valida anche nel caso in cui non contenga una motivazione

La cartella di pagamento emessa sulla base degli elementi contenuti nella dichiarazione del contribuente è valida anche nel caso in cui non contenga una motivazione.

L’importante principio è contenuto nella sentenza 18 febbraio 2011, n. 3948, della Corte di Cassazione da cui emerge che l’obbligo di motivazione degli atti tributari non sussiste allorché l’atto impugnato attiene alla riscossione di somme relative ad un tributo dichiarato ma non versato, per cui l’ufficio non è tenuto a motivare i fatti da cui promana l’obbligazione fiscale e può richiamarsi alla dichiarazione fiscale del contribuente, senza che ciò configuri la violazione delle norme contenute nello Statuto del contribuente.

Secondo l’art. 7 della legge n. 212 del 2000 (Statuto del contribuente), gli atti dell’amministrazione finanziaria sono motivati secondo quanto prescritto dall’art. 3 legge n. 241 del 1990, indicando “i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione”. Trattasi, comunque, di principio di valenza generale che occorre calare nelle varie situazioni portate al vaglio dell’organo giurisdizionale. A tale riguardo, la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che nella motivazione devono essere chiariti i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che sono posti a base della pretesa. Solo se si conosce la norma che l’Amministrazione ha ritenuto di applicare si può poi stabilire se questa scelta sia corretta o meno in relazione al presupposto di fatto, e si può quindi garantire un diritto di difesa adeguato. Secondo la Suprema Corte, il compito della motivazione è proprio quello di far conoscere al destinatario il perché viene esercitato un certo potere (cfr. Cass. 30 novembre 2009, n. 25197 e Cass. sent. 1 ottobre 2010, n. 20535).

Nel caso di specie il curatore del fallimento di una società ha impugnatola cartella esattoriale con cui veniva intimato il pagamento di una certa somma in relazione all’IVA non versata, eccependo carenza di motivazione nonché irregolarità della notificazione della cartella. I giudici tributari di primo e secondo grado non hanno accolto i ricorsi della curatela che successivamente ha proposto ricorso per cassazione in cui la stessa denuncia la violazione dell’art. 7 legge n. 212 del 2000.

La Suprema Corte, avallando un certo orientamento della giurisprudenza di legittimità, ha ritenuto che sia per l’avviso di accertamento che per la cartella di pagamento sussiste da parte dell’ufficio un obbligo di indicare i presupposti giuridici, soprattutto al fine di mettere a conoscenza il contribuente dell’an e del quantum della pretesa fiscale, anche per approntare una efficace difesa e contrastare le ragioni del fisco(1).

La portata dell’obbligo di motivazione, nel pieno rispetto del principio di “buon andamento” contenuto nell’art. 97 Cost., va distinto, tuttavia, tra l’atto di mera liquidazione dell’imposta corrispondente a quanto dichiarato dal contribuente e quello di vero e proprio accertamento di un’imposta non dichiarata o maggiore di quella dichiarata, quindi svincolata dalla dichiarazione per omissione o infedeltà della stessa. Nel caso specifico, i giudici hanno ritenuto che l’atto impugnato attiene alla riscossione di somme relative all’IVA dichiarata ma non versata. Quanto precede perché l’emissione della cartella è avvenuta in base a quanto contenuto nella dichiarazione e, quindi, ai dati forniti dal contribuente, provenienza che poneva evidentemente l’ufficio nella condizione di formulare la propria richiesta in forza del semplice richiamo alla dichiarazione, senza la necessità di indicare i fatti costitutivi dell’obbligazione fiscale (cfr. Cass n. 26671 del 2009).

I giudici di legittimità hanno ritenuto, quindi, che la decisione impugnata, nella quale si da il giusto richiamo relativo “al controllo della dichiarazione dell’IVA per l’anno 2004”, ha applicato in modo corretto il principio sopra enunciato, fornendo adeguata motivazione nell’atto emesso.

Nota

1) Cass. n. 13094 del 2002; 14 dicembre 2005, n. 27653. Cfr. Cass. n. 1209 del 4.02.2000. Dato che l’avviso di accertamento ha carattere di “provocatio ad opponendum”, l’obbligo di motivazione resta soddisfatto tutte le volte che l’Amministrazione abbia posto il contribuente in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e, quindi, di contestare efficacemente “an” e “quantum debeatur”

24 marzo 2011

Enzo Di Giacomo