La motivazione per relationem è sempre valida

la giurisprudenza sulla cosiddetta “motivazione per relationem” è sempre più ricca: vediamo gli ultimi sviluppi giurisprudenziali sull’argomento

Con ordinanza n. 3533 dell’11 febbraio 2011 (ud del 12 gennaio 2011) la Corte di Cassazione ha ribadito che “sulla base dei consolidati principi della giurisprudenza di questa Corte, la motivazione degli atti di accertamento per relationem, con rinvio alle conclusioni contenute nel verbale redatto dalla G.d.F. nell’esercizio dei poteri di polizia tributaria, non è illegittima per mancanza di autonoma valutazione da parte dell’ufficio degli elementi da quella acquisiti, significando semplicemente che l’ufficio stesso, condividendone le conclusioni, ha inteso realizzare un’economia di scrittura, che, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente, non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio (cfr. Cass. 1236/06, 25146/05, 10205/03, 2780/01)”.

Le nostre riflessioni

Abbiamo già avuto modo di affermare in nostri precedenti interventi(1) che la motivazione degli atti impositivi descrive l’insieme delle argomentazioni su cui si fonda la pretesa dell’ufficio, al fine di rendere edotto il contribuente delle ragioni di fatto e di diritto su cui gli atti medesimi si fondano, informando, altresì, il destinatario dell’atto sulle ragioni di un provvedimento autoritativo, suscettibile di incidere unilateralmente nella sfera giuridica del destinatario, e che la stessa deve essere distinta dalla prova, che investe il processo.

La stessa Corte di Cassazione ha comunque da tempo ammesso la possibilità di motivare l’atto di accertamento per relationem ad un p.v.c. della Guardia di Finanza o di altri organi verificatori (Cass.,23.07.98, n.7218), fermo restando (Corte di Cass. sez.I, 17 maggio 1990, n.4290) che la legittimità della motivazione per relationem è riscontrabile in tutti quei casi in cui il p.v. sia conoscibile, anche se in concreto non conosciuto dal destinatario dell’avviso per propria colpa (verbalizzazione del rifiuto di ricevere copia del p.v.c.).

Resta fermo che la motivazione può assolvere la funzione informativa, che le è propria, facendo riferimento ad elementi di fatto offerti da documenti diversi, solo se tali documenti sono allegati o sono comunicati al contribuente, ovvero per altro verso dal medesimo conosciuti (Cass. n. 1825/2010). Non è invece sufficiente (come peraltro pure talvolta affermato: v. Cass., 17/1/1990, n. 4290; Cass., 17/1/1997, n. 4599) che il documento richiamato sia semplicemente conoscibile dal contribuente, a meno che esso non riguardi un atto compiuto alla sua presenza (i.e. il processo verbale di constatazione) o che sia stato a lui comunicato nei modi di legge (v. Cass. 25 maggio 2001, n. 7149; Cass. n.1825/2010).

Appare quindi una forzatura continuare a sostenere oggi la carenza di motivazione di un atto impugnato, in quanto l’atto richiamato – noto al contribuente in quanto notificato – non sia stato allegato a quello principale: l’obbligo di allegazione risulta invece rigorosamente da osservare in tutti quei casi in cui il contribuente non abbia avuto legale conoscenza dell’atto richiamato.

Il rinvio dell’atto amministrativo finale ad un atto procedimentale può esser effettuato, peraltro, non solo alle conclusioni, ma anche, in tutto od in parte, ai fatti accertati e alle ragioni addotte dagli organi istruttori per giungere alle loro qualificazioni giuridiche dei fatti accertati.

Infatti, il procedimento tributario, è solo l’esercizio terminale di un potere che è frazionato tra organi amministrativi diversi, anche di enti pubblici diversi, in dipendenza della divisione del potere di provvedere. In particolare, ai fini che qui interessano, è rilevante il frazionamento, che è ispirato alla natura del processo decisionale.

La riaffermazione della legittimità della motivazione per relationem non esclude che il rinvio possa essere dosato alla misura nella quale l’organo titolare del potere di adottare l’atto dotato di autonomia funzionale intenda recepire l’attività istruttoria e che la sua formulazione sia, perciò, adeguata allo scopo (in questo senso si confronti la sentenza n. 20643 del 30 luglio 2008, ud. del 21 maggio 2008, della Corte di Cassazione).

Ancora con sentenza n. 21951 del 27 ottobre 2010 (ud. del 13 luglio 2010) la Corte di Cassazione richiama tutta una serie di pronunce (Cass. 23 gennaio 2006, n. 1236; 21 marzo 2008, n. 7766; 10 febbraio 2010, n. 2907), con cui è stato precisato che “il rinvio dell’atto amministrativo finale ad un atto procedimentale può esser effettuato, peraltro, non solo alle conclusioni, ma anche, in tutto o in parte, ai fatti accertati e alle ragioni addotte dagli organi istruttori per giungere alle loro qualificazioni giuridiche dei fatti accertati. Infatti, il procedimento amministrativo, anche quello tributario, è la forma della funzione e il potere di adottare l’atto amministrativo finale è solo l’esercizio terminale di un potere che è frazionato tra organi amministrativi diversi, anche di enti pubblici diversi, in dipendenza della divisione del potere di provvedere. In particolare, ai fini che qui interessano, è rilevante il frazionamento, che è ispirato alla natura del processo decisionale umano e che la normazione effettua diffusamente, del potere di provvedere nei preliminari poteri d’iniziativa e d’istruttoria rispetto al finale potere di decidere. Se questo è lo stato della formazione sull’organizzazione amministrativa e sull’attività amministrativa, si appalesa come manifestamente fondata la pretesa delle amministrazioni finanziarie di interpretare la norma sulla motivazione per relationem del provvedimento amministrativo come attributiva, al titolare del potere di decidere, del potere di richiamare nel proprio atto il contributo, d’iniziativa o istruttorio, apportato da un altro organo amministrativo, il cui atto sia normativamente inserito nello stesso procedimento”.

E pertanto, è illegittima la decisione di secondo grado che “ha rifiutato erroneamente di attribuire qualsiasi rilevanza al PVC per il fatto che l’Ufficio lo avrebbe recepito acriticamente e ha, quindi, illegittimamente negato ogni efficacia di prova ai fatti accertati in sede istruttoria del procedimento amministrativo ed ha preteso infondatamente che l’Ufficio provasse nuovamente ciò che avrebbe potuto desumersi dagli atti procedimentali amministrativi”. Da ultimo, con ordinanza n. 25211 del 14 dicembre 2010 (ud. del 27 ottobre 2010) la Corte di Cassazione, nel ribadire il principio secondo cui costituisce ius receptum la legittimità della motivazione degli avvisi di accertamento “per relationem”, rinviando al contenuto del processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza, realizzandosi un’economia di scrittura – avendo l’ente impositore fatto proprie conclusioni e non un difetto di autonoma valutazione-, ha affermato che tale principio trova altresì applicazione laddove il p.v.c. abbia ad attingere da altri atti, anche del procedimento penale.

In proposito, osserva la Corte, la motivazione degli atti di accertamento “per relationem“, con rinvio alle conclusioni contenute nel verbale redatto dalla Guardia di Finanza nell’esercizio dei poteri di polizia tributaria, non è illegittima per mancanza di autonoma salutazione da parte dell’ufficio degli elementi da quella acquisiti, significando semplicemente che l’ufficio stesso, condividendone le conclusioni, ha inteso realizzare un’economia di scrittura, “che, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente, non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio (v. sul punto tra le altre Cass. n. 10205/ 2003)”.

Nota

1) Cfr. BUETTO, , in La motivazione per relationem al pvc, ottobre, 2005; , in La motivazione per relationem è legittima, 2010.

18 marzo 2011

Francesco Buetto