La Cassazione penale vieta l’attività fiscale ai consulenti del lavoro

si riapre la querelle sull’esercizio della professione del commercialista da parte dei consulenti del lavoro

La Cassazione penale riapre la querelle sull’esercizio della professione del commercialista da parte dei consulenti del lavoro; una recente sentenza (n. 10100/2011), contraria all’orientamento consolidato, sostiene che i consulenti del lavoro che esercitano attività di consulenza fiscale si inquadrano come “abusivi”.

 

Il fatto è stato innescato dal ricorso in Cassazione di un consulente del lavoro contro il sequestro preventivo dello studio professionale disposto dall’autorità giudiziaria locale, dopo che si era già visto rigettare l’istanza di riesame del provvedimento dal Tribunale. La Suprema Corte, anche accogliendo il ricorso annullando l’ordinanza di sequestro dei beni immobili per mancanza di motivazione e violazione di legge, si pronuncia positivamente in merito alla presunta violazione dell’ex art. 348 del codice penale. La norma punisce l’esercizio abusivo di una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato. I giudici di legittimità hanno ritenuto che si possa configurare, anche se in via meramente astratta, il reato di esercizio abusivo della professione, senza tuttavia poter valutare, perché attività ad essa preclusa, la sussistenza degli indizi di colpevolezza e la gravità degli stessi.

La posizione della Cassazione è incisiva perché afferma che l’attività di consulenza ed assistenza fiscale possano essere svolte solo da professionisti abilitati (dottori commercialisti ed esperti contabili) iscritti nei relativi albi, e non dai consulenti del lavoro in quanto (ritenuti) non abilitati all’esercizio di tale attività. Per stabilire se una determinata prestazione integri il reato previsto dall’ex art. 348 codice penale, non è necessario, per la Corte, rinvenire nella legge che regola la professione una clausola di riservatezza esclusiva riguardante quella specifica prestazione, ma è sufficiente l’accertamento che la prestazione erogata costituisca un atto tipico, caratterizzato da una professione per il cui esercizio manca l’abilitazione. Le posizioni consolidate hanno integrato, molto recentemente, le professioni di commercialista e consulente del lavoro avendo la seconda raggiunto una serie di riconoscimenti legali, nell’ambito delle attribuzioni in materia fiscale, che ne legittimano pienamente l’esercizio della professione in campo fiscale (tra gli esempi che si possono citare: il rilascio del visto di conformità e dell’asseverazione dei dati contabili delle aziende – Dl 490/1990 – per la quale attività sussiste una stretta correlazione funzionale tra la contabilità, il bilancio e la dichiarazione dei redditi del soggetto che richiede il visto). Le diverse teorie interpretative attribuiscono all’ex art. 348 del codice penale una funzione molto meno severa rispetto alla lettera della norma, avendo maggiormente attenzione alla generica necessità di tutelare il cittadino dal rischio di affidarsi, per determinate esigenze, a soggetti inesperti nell’esercizio della professione o indegni di esercitarla.

 

Ci sono varie pronunce di legittimità che inquadrano il termine “abusività”; la più importante è quella della Cassazione sezione VI, 8 gennaio 2003, n. 49. Si legge: “l’abusività, pur collegata, in via immediata, alla mancanza di abilitazione statale, in realtà è concetto più ampio, che comprende l’esercizio della professione da parte di chi è sfornito del necessario titolo (diploma, laurea) o manchi dell’abilitazione prescritta oppure non abbia adempiuto alle formalità richieste (iscrizione all’albo) oppure ancora sia decaduto o sia stato sospeso o interdetto dall’esercizio della professione. Il richiamato art. 348 codice penale è norma penale in bianco, quanto meno, in relazione al concetto di abusività, perché presuppone l’esistenza di altre disposizioni speciali extrapenali che prescrivono una particolare abilitazione per l’esercizio di alcune professioni e con le quali operare in simbiotica concorrenza, proprio per definire i contorni dell’abusività. Il concetto, invece, di esercizio di una professione, nucleo base della condotta considerata dall’art. 348 codice penale, è definibile, in base al linguaggio comune e ad esso soltanto deve farsi richiamo, sicché non ha senso l’indirizzo ermeneutico secondo cui gli atti rilevanti, ai fini della configurabilità del reato in esame, sarebbero soltanto quelli riservati in via esclusiva a soggetti dotati di speciale abilitazione, i cosiddetti atti tipici della professione, ma deve darsi rilievo anche agli atti cosiddetti caratteristici a quella strumentalmente connessi, a condizione che vengano compiuti in modo continuativo e professionale, perché anche in questa seconda ipotesi si ha esercizio della professione, per il quale è richiesta l’iscrizione nel relativo albo”.

 

 La professione di Consulente del lavoro è regolata da un preciso ordinamento statale contenuto nella legge 11 gennaio 1979, n. 12; tale ordinamento permette ai soggetti iscritti al relativo Ordine l’esercizio di una professione per la quale è necessario possedere un idoneo titolo di studio e sostenere un esame di abilitazione con prove di diritto tributario, contabilità e bilancio. La legge 11 gennaio 1979, n. 12, in combinato disposto con le altre norme che hanno esteso l’ambito delle competenze del consulente del lavoro, non può considerarsi ininfluente ai fini del legittimo esercizio di attività professionali che implicano la consulenza tributaria e fiscale in favore dei lavoratori autonomi e delle imprese. Il recente parere della Suprema Corte è da ritenersi interlocutorio in attesa del giudizio sul merito, per quanto sicuramente incidente sul libero convincimento dei giudici che si formerà nel corso  dei vari gradi del processo.

 

Per correttezza e completezza della cronaca si segnala che il Consiglio nazionale straordinario, allargato ai presidenti dell’Ancl e dell’Enpacl (rispettivamente il sindacato e la Cassa di previdenza), ha invitato i consulenti del lavoro a segnalare ai rispettivi Consigli provinciali (e questi, ai vertici nazionali) ogni azione di ostracismo, nei loro confronti, per quanto riguarda le attività di tenuta dei bilanci e l’assistenza tributaria. Al fine saranno dotati di fac-simile di diffida da usare, nel caso fosse loro impedito di svolgere tali attività e il Consiglio nazionale fornirà, in caso di bisogno, la tutela legale necessaria.

 

Angelo Facchini