I prezzi bassi giustificano lo scostamento

la giurisprudenza in tema di studi di settore è sempre più varia: oggi vediamo quanto conta lo sconto sui prezzi di vendita applicati rispetto alla concorrenza

Con ordinanza n. 4582 del 24 febbraio 2011 (ud. dell’11 novembre 2010) la Corte di Cassazione ha affermato che, nell’ambito dell’accertamento attraverso gli strumenti dei parametri e degli studi di settore, l’ufficio deve valutare la specifica realtà economica del contribuente al fine di individuare eventuali anomalie nella registrazione di scostamenti fra i dati statistici e quelli della dichiarazione. Nel caso di specie, il giudice del merito ha ritenuto fondate le giustificazioni sulla riduzione dei prezzi praticati per meglio sostenere la concorrenza di esercizi commerciali di maggiori dimensioni (sulla base del noto principio che il grande mangia il piccolo).

La Corte ribadisce che la ratio decidendi della sentenza impugnata è conforme alla giurisprudenza della Cassazione, secondo la quale “la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema unitario che non si colloca all’interno della procedura di accertamento di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, ma la affianca, essendo indipendente dall’analisi dei risultati delle scritture contabili, la cui regolarità, per i contribuenti in contabilità semplificata, non impedisce l’applicabilità dello standard, nè costituisce una valida prova contraria, laddove, per i contribuenti in contabilità ordinaria, l’irregolarità della stessa costituisce esclusivamente condizione per la legittima attivazione della procedura standardizzata“; e secondo la quale tale procedura di accertamento “costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standards in sè considerati -meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli standards o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello standard prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente. L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli standards al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte. In tal caso, però, egli assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli standards, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito” (Cass., sezioni unite, 18 dicembre 2009, n. 26635).

Brevi considerazioni

Da diversi anni, l’Amministrazione finanziaria, nei confronti dei soggetti che operano nei confronti di consumatori finali predilige, l’accertamento di tipo presuntivo piuttosto che l’accertamento analitico puro.

L’esigenza di abbandonare il principio di analiticità a favore dei cd.controlli indiretti(1), sia pure per talune categorie di contribuenti, è stata avvertita per superare la correttezza formale della contabilità.

Ma come tutti i controlli presuntivi non sono certi.

La sentenza in rassegna merita di essere evidenziata perché sostiene proprio questo: i prezzi bassi possono giustificare lo scostamento, così come una lieve differenza fra i ricavi dichiarati e quelli accertabili – anche in contraddittorio – non può costituire un indizio grave, preciso e concordante di evasione.

Come è noto, la Suprema Corte (Sentenza n.5052 del 4 febbraio – 10 giugno 1987) ha stabilito che “… in tema di prove su presunzioni non occorre che i fatti su cui la presunzione si fonda siano tali da far apparire l’esistenza del fatto ignorato come l’unica conseguenza possibile dei fatti accertati in giudizio secondo un legame di necessarietà assoluta ed esclusiva, bastando, invece, che l’operata inferenza sia effettuata alla stregua di un canone di probabilità, con riferimento ad una connessione possibile e verosimile di accadimenti, la cui sequenza e ricorrenza possono verificarsi secondo regole di esperienza colte dal Giudice, per giungere all’espresso convincimento circa tale probabilità di sussistenza e la compatibilità del fatto supposto a quello accertato…”.

Il giudice d’appello, infatti, nel caso specifico, aveva tra l’altro ritenuto che l’Ufficio, confermando il reddito scaturente dai parametri nonostante gli elementi di motivazione offerti dal contribuente nel contraddittorio, altro non ha fatto che trasformare un adempimento sostanziale (contraddittorio) “in una formalità senza senso ed effettuata solo ed esclusivamente perchè dovuta”, in palese contrasto con la volontà del legislatore; ed infatti l’amministrazione non aveva tenuto conto di quanto dedotto nella fase amministrativa dal contribuente, esercente l’attività di commercio al dettaglio di “ferramenta hobbistica“, per giustificare lo scostamento di L. 16.724.000, vale a dire che, per essere competitivo aveva diminuito i prezzi dei prodotti, del tutto inferiori a quelli dei vicini supermercati, anche per incentivare la domanda.

In definitiva, non può non apparire chiara l’importanza che assume nell’iter procedimentale di tale tipologia accertatrice, la fase preliminare del contraddittorio prevista dal legislatore per bilanciare il grave indizio a favore dell’ufficio, con la possibilità concreta del contribuente di far valere le sue ragioni e riportare l’esame delle poste fiscali in un approfondito accertamento delle condizioni del caso concreto, in relazione alla capacità contributiva del contribuente che va verificata caso per caso in corretta applicazione del dettato di cui all’art. 53 della Costituzione.

Nota

1) In generale, sul tema, si rinvia a Lupi, Il controllo indiretto del giro d’affari di artigiani, commercianti e professionisti. Verso gli studi di settore, in “il fisco”, n.38/93, pag.9489.

14 marzo 2011

Francesco Buetto