Reverse-charge: i confini sono troppo incerti

l’introduzione del reverse charge per telefonini e microprocessori presenta alcuni punti oscuri, soprattutto per quanto riguarda la vendita di beni usati

Con la decisione del Consiglio n. 2010/710/UE l’Italia è stata autorizzata ad applicare il principio del reverse charge per prodotti quali la telefonia mobile e microprocessori.

Quanto all’aspetto oggettivo, l’autorizzazione riguarda beni anche diversi dai microprocessori, in quanto fa riferimento a “dispositivi a circuito integrato quali microprocessori e unità centrali di elaborazione prima della loro installazione in prodotti destinati al consumatore finale”.

L’Agenzia delle entrate nella circolare 23 dicembre 2010, n. 59/E non individua i beni rientranti in questa categoria. Forse per semplicità richiama, anche nell’oggetto, le sole cessioni di “telefoni cellulari e microprocessori”. Un chiarimento sarà senz’altro necessario, onde permettere ai soggetti interessati di prepararsi per tempo alla data di entrata in vigore delle nuove disposizioni (1 aprile 2011).

La questione che, però, necessita di maggiori approfondimenti riguarda l’ambito soggettivo di applicazione dell’inversione contabile per i beni in questione. La circolare 59/E si limita ad affermare che il meccanismo si applichi solo nella fase precedente la vendita al dettaglio. In pratica, per le Entrate, non conta la qualifica dell’acquirente (privato o soggetto passivo Iva), ma la sola attività del cedente.

Ne deriva, secondo questa interpretazione, che l’acquisto di un cellulare o di un microprocessore da parte di un soggetto passivo Iva presso un dettagliante, ancorché per scopi legati all’attività economica svolta (es. strumentale) e indipendentemente dal numero o dal valore dei pezzi acquistati, non deve essere assoggettata a reverse charge, ma va utilizzato il sistema ordinario di applicazione dell’Iva a titolo di rivalsa. Diversamente, se l’acquisto avvenisse presso un grossista si applicherebbe il meccanismo dell’inversione contabile.

Lo sdoppiamento delle regole (reverse charge nelle fasi precedenti le vendite al dettaglio e sistema ordinario per quest’ultima fase) comporterà anche delle problematiche di individuazione del contenuto della nozione di “commercio al dettaglio”. Pare naturale riferirsi alla definizione di cui all’art. 4, D.Lgs. 114/1998 che distingue il:

a) commercio all’ingrosso: l’attività svolta da chiunque professionalmente acquista merci in nome e per conto proprio e le rivende ad altri commercianti, all’ingrosso o al dettaglio, o ad utilizzatori professionali, o ad altri utilizzatori in grande. Tale attività può assumere la forma di commercio interno, di importazione o di esportazione;

b) commercio al dettaglio: l’attività svolta da chiunque professionalmente acquista merci in nome e per conto proprio e le rivende, su aree private in sede fissa o mediante altre forme di distribuzione, direttamente al consumatore finale, ivi compreso il commercio elettronico (ai sensi dell’art. 21 della norma citata).

Come si può notare, il commercio al dettaglio include solo le vendite ai privati consumatori, mentre le vendite fatte ad altri commercianti o ad utilizzatori professionali (ossia, soggetti passivi d’imposta che utilizzano tali beni per l’esercizio della propria attività d’impresa o professionale), incluse le vendita ad altri dettaglianti, rientrano nel concetto di vendita all’ingrosso.

L’incertezza, generata dalle affermazioni della C.M. 59/E non perfettamente conformi alla definizione di commercio al dettaglio e all’ingrosso della L. 114/1998, è evidente se si pensa alla cessione di un cellulare da parte di un dettagliante ad altro dettagliante che acquista il bene, di cui è momentaneamente sprovvisto, per cederlo al proprio cliente finale. Il dettagliante cedente, che si limiti ad analizzare la sola attività svolta da esso svolta (come vorrebbe la circolare 59/E), potrebbe ritenere corretto applicare il reverse charge, mentre secondo la L. 114 questa operazione andrebbe inquadrata come vendita all’ingrosso.

Un’altra questione aperta riguarda la rivendita di beni usati.

Si pensi al caso della vendita di un telefono cellulare usato da parte di un’impresa o di un professionista che all’acquisto ha detratto l’Iva in misura parziale (i.e.. il 50%): l’operazione dovrebbe essere assoggettata al regime dell’inversione contabile, sia secondo la C.M. 59/E (in quanto non è effettuata nella fase di vendita al dettaglio), sia secondo la L. 114 (che qualifica l’operazione come vendita all’ingrosso).

Ma, posto 100 il corrispettivo pattuito, su quale base imponibile si deve calcolare l’Iva? Secondo il principio di simmetria l’Iva andrebbe applicata, secondo l’aliquota propria del bene, sul 50% del corrispettivo, ossia nella stessa misura in cui è stata operata la detrazione all’acquisto.

Ma non è chiaro come detta informazione possa essere portata a conoscenza del cessionario che, acquisendo lo status di debitore d’imposta, ha l’obbligo di assoggettare ad imposta l’operazione.

Note

1) Il par. 5 della C.M. 12.10.2007, n. 55/E parla del principio di simmetria come di un «criterio di ordine generale». Esso, infatti, è stato più volte espresso anche dalla Corte di Giustizia della Comunità Europea: sent. 8.3.2001, causa C-415/98; sent. 4.10.1995, causa C-291/92; sent. 8.5.2003, causa C-269/00; sent. 21.4.2005, causa C-25/03.

17 febbraio 2011

Claudio Sabbatini e Gioaccchino Pantoni