E' legittimo l'accesso all'autovettura

vediamo in quali casi la polizia tributaria può legittimamente perquisire l’autovettura del contribuente in sede di verifica fiscale

Con sentenza n. 2804 del 5 febbraio 2011 (ud. del 17 novembre 2010) la Corte di Cassazione si è occupata di un aspetto particolare dell’accesso, quello eseguito sull’autovettura.

Analizziamo la sentenza ed il principio espresso.

Il fatto

L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza con la quale, nella controversia concernente l’impugnazione di un avviso di rettifica Iva e relative sanzioni concernente il 1994, la C.T.R. Friuli Venezia Giulia aveva riformato la sentenza di primo grado (che aveva accolto il ricorso introduttivo), rilevando l’inutilizzabilità, a sostegno dell’accertamento opposto, del brogliaccio rinvenuto dalla G.d.F. nell’automezzo del contribuente e acquisito senza la prescritta autorizzazione della Procura della Repubblica.

La sentenza: il principio espresso

Per la Corte di Cassazione è manifestamente fondato il motivo opposto, atteso che dalla sentenza di primo grado emerge “che il brogliaccio fu rinvenuto all’interno dell’automezzo del contribuente (esercente attività di commercio all’ingrosso di abbigliamento e accessori), automezzo adibito al trasporto di beni viaggianti, e che tale accertamento in fatto dei giudici di primo grado non risulta essere stato oggetto di impugnazione; deve pertanto ritenersi che il furgone su cui fu rinvenuto il brogliaccio fosse un bene “appartenente” all’impresa, ossia un bene utilizzato per l’attività aziendale (neppure risultando in alcun modo eccepito che l’automezzo apparteneva a soggetto estraneo all’impresa o era adibito a trasporto per conto terzi) e che pertanto non necessitasse l’autorizzazione (v. sul punto Cass. nn. 10489/2003, 13612/2003, secondo le quali è legittimo l’avviso di rettifica della dichiarazione della società contribuente fondato su documentazione extracontabile rinvenuta all’interno dell’autovettura dell’amministratore, sottoposta a controllo da una pattuglia della Guardia di Finanza senza autorizzazione del Procuratore della Repubblica, in quanto l’autovettura stessa non era in quel momento adibita ad uso meramente personale o al trasporto per conto terzi ed era da ritenersi un bene appartenente all’impresa)”.

Aggiunge la Corte Suprema che “non risulta che per acquisire il brogliacco fu necessario procedere all’apertura coattiva di plichi sigillati, borse, casseforti, mobili o simili, che in ogni caso (sempre secondo l’accertamento dei primi giudici – così come riportato dalla sentenza d’appello oggetto di censura in questa sede – e non risultante impugnato) l’acquisizione del brogliaccio avvenne “col pieno consenso del proprietario dell’automezzo”, infine che Cass. n. 25253/2005, citata nella sentenza impugnata, risulta assolutamente inconferente (riferendosi alla diversa ipotesi di ispezione personale)”.

Brevi riflessioni

L’accesso da parte dei verificatori può essere effettuato solo con apposita autorizzazione scritta, rilasciata dal capo dell’ufficio che ordina la verifica.

L’autorizzazione deve contenere(1):

  • il nominativo e i poteri del soggetto che dispone la verifica;

  • l’ordine di accedere;

  • l’indicazione del soggetto da verificare;

  • le ragioni del controllo;

  • le effettive esigenze d’indagine esterna;

  • l’indicazione che la verifica, salvo casi eccezionali e urgenti adeguatamente documentati, si svolgerà durante l’orario ordinario di esercizio dell’attività e con modalità tali da arrecare la minore turbativa possibile allo svolgimento dell’attività stessa nonché alle relazioni commerciali o professionali;

  • le annualità da verificare;

  • la data dell’inizio della verifica;

  • la sottoscrizione del soggetto che autorizza la verifica.

Dalla lettura della sentenza emerge che è possibile compiere accessi e verifiche anche presso gli autoveicoli intestati all’impresa sottoposta a verifica e il controllo può essere effettuato con lo stesso ordine di accesso rilasciato per i locali destinati all’attività.

Ma nel caso di specie c’è di più: c’era il consenso del contribuente che sana, in ogni caso, l’accesso.

Resta fermo che, ai sensi dell’art. 52, c. 3, del D.P.R. n. n. 633/1972, è in ogni caso necessaria l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica o dell’autorità giudiziaria più vicina per procedere, durante l’accesso, a perquisizioni personali e all’apertura coattiva di pieghi sigillati, borse, casseforti, mobili, ripostigli e simili.

Anche per l’apertura di cassetti e borse e quant’altro risulti protetto da chiusure, è necessaria l’autorizzazione del magistrato, in quanto tali beni sono attratti nella categoria concettuale del domicilio.

Anche in questo caso, l’eventuale assenso del contribuente legittima l’operato dei verificatori (cfr. C.T.C., sez.IX, con decisione n.2841 del 10 luglio 1995).

Sul punto si veda la sentenza n. 17210 del 23 luglio 2009 (ud. del 22 giugno 2009) con cui la Corte di Cassazione ha confermato che il vizio procedurale possa essere sanato dal consenso prestato dal contribuente.

In particolare, “se l’Amministrazione non osserva la procedura ed intende eseguire lo stesso l’accesso, il contribuente legittimamente può rifiutare la verifica, senza incorrere in nessuna conseguenza ai fini dell’accertamento. Viceversa, nel caso in cui, nonostante l’omissione dei prescritti adempimenti, il contribuente consenta l’accesso, l’inosservanza della procedura rimane priva di conseguenze e non intacca il risultato della verifica, avendo il contribuente manifestato comunque la volontà di collaborazione, nonostante la rilevata inosservanza”.

Nel caso di specie, è pacifico il fatto, che l’accesso, nonostante il presunto mancato rispetto degli adempimenti procedurali che avrebbero dovuto precederlo, è stato consentito dal contribuente.

Ne consegue che il contribuente, avendo comunque consentito l’accesso, “non poteva poi contestarne i risultati sotto il profilo dell’inosservanza delle prescrizioni procedurali cui egli, attraverso il suo comportamento concludente, aveva di fatto rinunciato”.

Merita di essere evidenziata in questa sede la recente sentenza n. 21446 dell’8 luglio 2009 (dep. il 9 ottobre 2009), della Corte di Cassazione, secondo cui “l’espresso riferimento all’assenso all’asporto dei materiali, prestato dalla C, circostanza quest’ultima – vale la pena di sottolinearlo – che non è stata mai contestata dalla ricorrente” viene “ a confutare l’ipotesi del preteso sequestro, posto che quest’ultimo, consistendo in un atto di coazione da parte dell’Autorità postula, per definizione, ai fini della sua configurabilità, la sottrazione ( materiale e giuridica) del bene alla disponibilità dell’avente diritto, in quanto tale, necessariamente effettuata contro la sua volontà”. In pratica, la Corte distingue l’acquisizione dal sequestro sulla base della sussistenza o meno del consenso.

Si registra, ancora, l’intervento della Cassazione – sentenza n. 9565 del 5 marzo 2007 (dep. il 23 aprile 2007) -, la quale afferma che occorre l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica solo per procedere ad “apertura coattiva” di borse, non essendo, invece, necessaria l’autorizzazione ove l’acquisizione di documenti contenuti in borse sia avvenuta con la collaborazione ed in continua presenza del figlio e della moglie del contribuente e, comunque, senza la manifestazione di alcuna contraria volontà.

Ed ancora, da ultimo, si osserva che la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 19837 del 13 giugno 2005, depositata il 12 ottobre 2005, ha ritenuto che non tutte le prove acquisite con procedura irrituale possono essere considerate di per sé inammissibili.

In questo contesto si inserisce la sentenza della Corte Suprema della Cassazione – la n. 26454 del 23 settembre 2008 (dep. il 4 novembre 2008) – secondo cui “in tema di imposte dirette (come di I.V.A.), gli avvisi di accertamento e di rettifica motivati con riferimento a dati acquisiti dall’amministrazione finanziaria a seguito di accessi nell’abitazione dei contribuenti, che non siano, o siano illegittimamente, autorizzati dal procuratore della Repubblica, sono invalidi ed insuscettibili di produrre effetti, non potendo attività compiute in dispregio del fondamentale diritto all’inviolabilità del domicilio essere assunte, di per sé, a giustificazione ed a fondamento di atti impositivi a carico dei soggetti che hanno dovuto subire le attività medesime (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 15230 del 03/12/2001, n. 12050 del 1998, n. 7368 del 1998)”.

Detta autorizzazione – prosegue la sentenza – “in ordine alla quale non sono applicabili le garanzie previste dal codice di procedura penale, è espressione di attività amministrativa, e la sua mancanza può essere fatta valere di fronte al giudice tributario, anche se con l’impugnazione dell’atto terminale del procedimento impositivo, in quanto rende inutilizzabili le prove acquisite a carico del contribuente”.

Nota

1) Sul punto, per completezza d’analisi, si rinvia alla migliore dottrina ANTICO, in ANTICO-CARRIROLO-FUSCONI-TUCCI-ZAPPI, L’accertamento fiscale, Il Sole24ore, Milano, 2010.

18 febbraio 2011

Roberta De Marchi